LA CHIESA, MADRE E MAESTRA
«Alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli» (Lc 7,35)
Nel capitolo 12 del libro dell’Apocalisse possiamo leggere dello stolto tentativo del drago rosso per impedire niente di meno che la missione salvifica divina andando a colpire il Verbo che ha assunto la natura umana:
«Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato» (Ap 12,4).
Non potendo però nulla contro di lui, perché come dice Gesù: «il principe del mondo [...] non ha nessun potere su di me» (Gv 14,30), pensa allora male di provare con colei che ha partorito il bimbo. Ma anche contro di lei nulla può per la speciale protezione di cui la madre gode:
«il drago [...] si avventò contro la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente» (2 Ap 12,13-14).
Incapace di comprendere subito con chi ha a che fare, il drago rosso attacca di nuovo:
«Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque» (Ap 12,15).
Così facendo, però, subisce un’altra cocente umiliazione:
«la terra [infatti] venne in soccorso alla donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca» (Ap 12,16).
Nulla potendo contro il bambino e contro la donna, infuriato contro quest’ultima
«se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù» (Ap 12,17).
A proposito del perché così tanta furia del drago contro la donna e anche tanto timore di lei, ricordiamo qui quanto afferma san Luigi M. Grignion da Montfort nel suo famoso Trattato della vera devozione alla Santa Vergine:
«La
più terribile nemica del diavolo, creata da Dio, è Maria, la sua santa
Madre. Egli le donò [...] tanto odio contro questo maledetto nemico di
Dio, tanta abilità per scoprire la malizia di questo antico serpente,
tanta forza per vincere, atterrare, umiliare quest’empio orgoglioso, che
egli la teme non solamente più degli angeli e degli uomini, ma, in
certo qual senso, più di Dio stesso. Non già che l’ira e l’odio e la
potenza di Dio non siano infinitamente più grandi di quelli della
santissima Vergine, poiché le perfezioni di Maria sono limitate; ma
prima di tutto perché Satana essendo orgoglioso soffre infinitamente di
più d’essere vinto e punito da una piccola e umile serva di Dio:
l’umiltà di lei lo umilia più che la potenza di Dio.
In secondo luogo perché Dio diede a Maria un potere così grande contro
i diavoli che essi temono di più, come essi stessi furono obbligati a
confessare loro malgrado per bocca degli ossessi, uno solo dei suoi
sospiri per qualche anima, che le preghiere di tutti i santi; una sola
delle sue minacce contro di essi che tutti gli altri tormenti.
Ciò che Lucifero perdette per orgoglio, Maria lo acquistò per umiltà;
ciò che Eva rovinò e perdette per disobbedienza, Maria lo salvò per
obbedienza. Eva, obbedendo al serpente, perdette con sé tutti i suoi
figli e li consegnò a lui; Maria, rimanendo perfettamente fedele a Dio,
salvò con sé tutti i suoi figli e i suoi servi e li consacrò alla Maestà
di Dio».[1]
La guerra attualmente in corso da parte del drago rosso è dunque quella
contro i figli della donna che, in quanto tali, fanno parte del corpo
mistico del Figlio.
Anche la “donna” fa parte del corpo mistico
del Figlio, cioè della Chiesa una santa cattolica e apostolica, ma, a
differenza di tutte le altre membra, lei di quel corpo è madre.
Pertanto, mentre noi per essere “figli nel Figlio” dobbiamo nascere
dalla Chiesa ed essere perciò anche figli della Chiesa, lei fa invece
parte del corpo mistico di Cristo perché direttamente figlia del suo Figlio.[2]
Per noi vale perciò quanto ben dice san Cipriano di Cartagine:
«Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre»;[3]
Maria, invece, soprannaturalmente non ha una madre ma è lei stessa la
madre. Una madre che, nel momento stesso in cui diventa tale grazie al fiat
pronunciato all’Annunciazione, in qualche modo “partorisce” se stessa.
Con il suo sì, infatti, diviene nello stesso tempo madre della Chiesa e
suo primo membro.
Ciò la rende, per usare ancora le parole del “sommo poeta”, «umile e alta più che creatura».[4]
Ciò che esprime poeticamente l’Alighieri è espresso con forza anche dal massimo teologo della Chiesa Cattolica, il quale non esita ad attribuirle una certa dignità infinita:
«L'umanità di Cristo in quanto unita alla Divinità, la beatitudine creata in quanto godimento di Dio e la beata Vergine Maria in quanto Madre di Dio hanno una certa dignità infinita, derivante dal bene infinito che è Dio. E sotto questo aspetto non può essere creato nulla di migliore, come non vi può essere nulla che sia migliore di Dio».[5]
Così pure non manca di fare la devozione popolare che la invoca quale «Onnipotente per grazia».[6]
Non meraviglia, pertanto, sapere che durante il Concilio Ecumenico
Vaticano II l’assemblea si sia praticamente spaccata in due a riguardo
del trattare la mariologia all’interno del discorso ecclesiologico
oppure in un documento distinto. La votazione del 29 ottobre 1963 vide
1114 padri optare per la prima alternativa e 1074 per la seconda.
Sorvoliamo ora sulle motivazioni che fecero pendere la bilancia in
favore della prima e rimarchiamo invece il fatto che sono entrambe
legittime perché tutte e due suffragate da buone ragioni. Se è infatti
vero, come insegna il grande sant’Agostino, che la Chiesa è più grande
di Maria perché quest’ultima non ne è che un membro:
«Santa è Maria, beata è Maria, ma è migliore la Chiesa che la Vergine
Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa: un membro santo,
un membro eccellente, un membro che tutti sorpassa in dignità, ma
tuttavia è sempre un membro rispetto all’intero corpo. Se è membro di
tutto il corpo, allora certo vale più il corpo che un suo membro. Il
Signore è capo, e il Cristo totale è capo e corpo. Che dire? Abbiamo un
capo divino, abbiamo per capo Dio»;[7]
d’altra parte, è però anche vero che senza la Madre di Dio la Chiesa non ci sarebbe.
Come poeticamente scrive san Bernardo:
«Hai
udito, Vergine, che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che
questo avverrà non per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito
Santo. L’angelo aspetta la risposta: deve fare ritorno a Dio che l’ha
inviato. Aspettiamo, o Signora, una parola di compassione anche noi, noi
oppressi miseramente da una sentenza di dannazione.
Ecco che ti
viene offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo
subito liberati. Noi tutti fummo creati nel Verbo eterno di Dio, ma ora
siamo soggetti alla morte: per la tua breve risposta dobbiamo essere
rinnovati e richiamati in vita.
Te ne supplica in pianto, Vergine
pia, Adamo, esule dal paradiso con la sua misera discendenza; te ne
supplicano Abramo e Davide; te ne supplicano insistentemente i santi
patriarchi che sono i tuoi antenati, i quali abitano anch’essi nella
regione tenebrosa della morte. Tutto il mondo è in attesa, prostrato
alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri,
la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la
salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutto il genere umano.
O
Vergine, da’ presto la risposta. Rispondi sollecitamente all’angelo,
anzi, attraverso l’angelo, al Signore. Rispondi la tua parola e accogli
la Parola: di’ la tua parola umana e concepisci la Parola divina, emetti
la parola che passa e ricevi la Parola eterna. [...]
Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il
grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di
tutte le genti batte fuori alla porta. Non sia che, mentre tu sei
titubante, egli passi oltre e tu debba, dolente, ricominciare a cercare
colui che ami. Lèvati su, corri, apri! Lèvati con la fede, corri con la
devozione, apri con il tuo assenso.
“Eccomi”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38)».[8]
Nell’Annunciazione, infatti, Maria dà il consenso a Dio «a nome di tutta la natura umana».[9]
È
perciò chiaro che il suo ruolo nell’economia salvifica, con i correlati
numerosi privilegi di cui rifulge (Immacolata sempre Vergine Madre di
Dio assunta in cielo in anima e corpo), la rende assolutamente speciale e
unica e ne giustifica una trattazione a parte.
In
ogni caso, la nostra salvezza, che è la Chiesa,[10] la dobbiamo a
Maria, al suo sì incondizionato al Padre, perché è dal suo sì che il
Figlio di Dio, capo e membra, viene concepito.
Infatti,
«Capo e membra sono – come afferma san Tommaso – per così dire, una sola persona mistica»[11]
e
«Maria diventa la “Donna”, nuova Eva, “Madre dei viventi”, Madre del “Cristo totale”».[12]
Se dunque noi possiamo essere innestati in Cristo, possiamo cioè essere
redenti/salvati, lo dobbiamo a lei. Ecco perché possiamo chiamarla
giustamente corredentrice.
Mentre per Maria la salvezza viene
direttamente da Dio, che la redime in modo speciale (Immacolata), per
noi la salvezza viene sempre da Dio ma attraverso la mediazione del
“binomio” Maria/Chiesa.
In altre parole, la differenza tra la Madonna e noi è che Maria non abbisogna di Maria.[13]
Per qualcuno, attribuire a Maria il titolo di corredentrice significherebbe negare la verità di Gesù Cristo unico redentore.
Ma per quale motivo tale titolo ne sarebbe la negazione?
In base a quanto abbiamo detto è infatti evidente che Gesù Cristo è l’unico redentore, cioè il redentore di tutti. È chiaro, infatti, che sia per Maria che per tutti noi la redenzione viene da Gesù Cristo. Come chiaramente attesta la Scrittura:
«In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).
Non è, e non può essere, in discussione la verità di fede secondo cui senza Gesù Cristo non c’è redenzione.
La differenza tra noi e Maria è data “soltanto” dal fatto che il Redentore raggiunge noi per la di lei speciale mediazione. Questo, chiaramente, non fa di Maria la Redentrice ma, per singolare grazia e privilegio, la corredentrice.
Ora, però, avendo giustamente parlato del binomio Maria/Chiesa in
ordine alla nostra salvezza,[14] qualcuno potrebbe domandarsi: ma allora
anche la Chiesa è corredentrice nel senso in cui lo intendiamo per
Maria?
La risposta è no. Come abbiamo detto, la Chiesa è in qualche modo la
redenzione, la salvezza, vale a dire il frutto dello “sposalizio” tra
Dio ed una tanto umile quanto grande creatura umana.
Tuttavia,
per l’intimo legame esistente tra Maria e la Chiesa, si dà un ulteriore
livello di collaborazione/partecipazione nella redenzione che coinvolge
tutte le membra del corpo mistico. Di questa partecipazione parla
l’Apostolo delle Genti quando scrive:
«sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
Riportiamo a tal proposito un bel testo esplicativo del card. Biffi:
«Il tema della “maternità ecclesiale” è svolto con pienezza di
particolari nel capitolo 12 dell’Apocalisse, che descrive la Chiesa
nella figura della “Nuova Eva” [...]
Gli antichi scrittori maturano e sviluppano [...] l’affermazione di
una compartecipazione della Chiesa all’azione salvatrice e
santificatrice del Figlio di Dio, che è espressa appunto dall’idea di
“maternità”. [...]
[Si dà] una vera azione della Chiesa nei
sacramenti [...]. Cristo stesso è per me vivo e operante – e non
soltanto un defunto personaggio della storia, conoscibile solo
attraverso indagini libresche e ricerche erudite – in quanto è presente e
attivo nella realtà della comunione ecclesiale; una realtà che mi
precede, alla quale io sono invitato ad aprirmi perché anche in me si
accenda la vita nuova.
Nessun uomo trova la norma della propria
fede e del proprio essere cristiano dentro di sé, ma nella fede e nella
vitalità della Chiesa. Questo vale per tutti, dal papa al più oscuro dei
credenti: nessuno è iniziatore del cristianesimo, ma ognuno è “erede”:
“erede” perché “figlio”, generato dalla ricchezza spirituale della
Chiesa. [...]
Benché vada riconosciuta una diversità di grado e
di intensità in questa condivisione, non possiamo negare che ogni
credente, per quel che gli compete, debba dirsi soggetto e titolare
della facoltà generativa della “Nuova Eva”. [...]
[Da Cristo
redenti], diventiamo, a misura che siamo autenticamente redenti,
“corredentori”. Nessuno, che sia così rinnovato, è estraneo all’opera di
rinnovamento dei suoi fratelli e dell’intero universo. [...] La mia
purificazione si avvale della sofferenza e della penitenza degli altri,
così come “io completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di
Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). [...]
La funzione materna è esercitata dai singoli nella vita ecclesiale in maniera diversa e con diversa intensità.
Chi nella Chiesa riceve la missione di essere maestro, pastore,
ministro della riconciliazione e della presidenza eucaristica, assolve
in forma privilegiata e incomunicabile a questo compito. [...] Ciascuno
di noi però – nel suo pellegrinaggio terreno – si è imbattuto per sua
fortuna in qualche uomo e in qualche donna che, senza essere investiti
di particolare autorità nella comunità dei battezzati, [...] sono stati
in modo decisivo interpreti e attuatori della maternità della Chiesa nei
nostri confronti, secondo un sapiente progetto di Dio che ha disposto
per il nostro bene tali incontri provvidenziali.
Infine crediamo
si possa fondatamente supporre che, indipendentemente dai rapporti
esteriori e “storici”, l’intera ricchezza spirituale e la comunione col
Signore Gesù crocifisso e risorto, che già impreziosiscono il cuore dei
credenti, influiscano in modo misterioso ma reale sulla nuova nascita e
la crescita soprannaturale di tutti i nuovi figli di Dio.
Qui il
mistero della maternità della Chiesa arriva al massimo del suo valore,
restando ovviamente un mistero: una meraviglia che solo in cielo ci sarà
dato di capire e lodare adeguatamente».[15]
In questa riflessione si sarà notata la mancanza di un cenno a riguardo della collaborazione speciale della madre di Dio, ma il card. Biffi “rimedia” immediatamente proseguendo la riflessione con un paragrafo su La maternità ecclesiale di Maria:
«Sul
Calvario la Vergine Maria, primo mirabile risultato del sacrificio
redentore, sta come perfetta immagine e prima attuazione della Chiesa
“madre”. In quel momento solo in lei – che desume il suo valore
integralmente dal “Nuovo Adamo” – è rimasta intatta e splendente la vita
di fede, di speranza, di carità, che si è offuscata in tutti gli altri.
Soltanto lei perciò può unirsi in quel momento a Cristo nel farsi
comprincipio della espansione dell’esistenza riscattata: la pienezza
della sua grazia – frutto dell’obbedienza redentrice del suo Figlio e
Signore – entra a partecipare alla rinascita spirituale degli apostoli.
Perciò all’apostolo è detto: “Ecco la tua madre” (Gv 19,27).
Alla
fede di Maria si congiunge poi la fede rianimata degli apostoli e dei
primi discepoli nel contribuire ad avvivare la fede di tutta la prima
comunità cristiana, in virtù dell’effusione del Paraclito. A Gerusalemme
difatti, nel giorno di Pentecoste, [...] inizia la collaborazione umana
all’attività generativa dello Spirito; è dunque il primo nucleo della
Chiesa “madre” che con la sua fecondità invaderà la terra (cf. At 1,14).
Maria, come si vede, in questa trama di influssi materni è un caso assolutamente singolare. Nessuno collabora ad accendere in lei la vita soprannaturale: tutto in lei proviene solo dal Figlio suo che manda anche su di lei lo Spirito Santo. Invece la sovrabbondanza della sua vita soprannaturale impreziosisce del suo affetto materno la nuova esistenza di tutti i credenti in ogni età della storia».[16]
Ora, dopo aver accennato all’unicità del ruolo di Maria nell’economia salvifica, continuiamo la nostra riflessione.
Se dunque la Chiesa è il corpo di Cristo, cioè è lo stesso Cristo nel suo corpo,[17] allora è evidente che, assolutamente parlando, anche contro la Chiesa nulla può il drago rosso.
Di conseguenza, non gli rimane che prendersela con i singoli membri della Chiesa per strapparli dal corpo di Cristo, cioè dalla salvezza.[18]
Contro di loro, cioè noi, il drago è scatenato. Questo perché noi
possiamo essere attaccati e indotti a rinnegare il Signore, possiamo
cioè morire spiritualmente perdendo con il peccato la vita
soprannaturale.
Mentre infatti la Chiesa è santa e non può venire
meno, la nostra “santità” può invece essere persa a causa del “peccato
mortale” (si chiama così proprio per indicare che procura la morte
soprannaturale).
Eppure, quanti “cattolici” oggi parlano male della Chiesa?
Ne parlano male perché, magari senza rendersene conto, non pensano più da cattolici. In passato si è sempre detto: un conto sono gli uomini di chiesa, un altro la Chiesa. I primi sono fallibili, possono venire meno, ma la Chiesa no perché è fondata sulla roccia. La Chiesa è santa, la Chiesa è stabile e non può essere sopraffatta.
Contro di essa, lo assicura Gesù stesso,
«le porte degli inferi non prevarranno» (Mt 16,18).
Nel mondo rovesciato in cui ormai siamo, invece, molti “fedeli” pensano che sia la Chiesa che deve aggiornarsi, che deve convertirsi al loro verbo; sembra che siano loro ad essere santificanti e la Chiesa da santificare.
Praticamente, sembrano dire: Guarda, o Signore, la mia fede e non i peccati della tua Chiesa; vale a dire l’esatto contrario di quanto limpidamente esprime la liturgia eucaristica:
Dómine Iesu Christe, qui dixísti Apóstolis tuis: Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: ne respícias peccáta mea, sed fidem Ecclésiae tuae; eámque secúndum voluntátem tuam pacificáre et coadunáre dignéris.
Verità che, in qualche modo, ritroviamo anche nel Novus Ordo Missae:
Signore Gesù Cristo (...): non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà.
Il grande card. Biffi, nell’arguto volumetto del 1998 già citato, si domanda:
«Che cosa dobbiamo dire della Chiesa? È qualcosa di bello o qualcosa di brutto? Ce ne dobbiamo vantare – noi che vi apparteniamo – o ce ne dobbiamo soprattutto vergognare? Possiamo parlarne agli altri con fierezza e con gioia, come si ricorda volentieri, discorrendo, un congiunto o un amico che si è fatto onore; o è consigliabile evitare l’argomento, perché i legami ecclesiali ci imbarazzano come una parentela o una frequentazione poco decorosa?».[19]
La domanda sorge spontanea perché
«negli articoli divulgativi dei giornali e delle riviste [...] c’è
spesso l’impegno – quasi un programma – a mettere in cattiva luce la
realtà cattolica, ad assimilarla alle altre aggregazioni cristiane e
persino alle altre forme di religione, o addirittura a giudicarla
perdente in questi confronti.
[E perciò, retoricamente, si chiede
se] dobbiamo aderire a chi con insistenza e intrepida sicurezza parla
dei “peccati della Chiesa” e delle sue storiche malefatte».[20]
Da notare che per il card. Biffi non sono tanto un problema i non cattolici, ma i cattolici stessi che, in quanto tali, dovrebbero muoversi sulla base della Rivelazione:
«Qui ci preoccupa dunque non tanto l’errore e la cecità del non credente, quanto lo scombussolamento mentale, le ambiguità, le allucinazioni dottrinali dei nostri fratelli di fede».[21]
Vediamo, in effetti, che
«la “santa madre Chiesa” è locuzione che si va facendo sempre più rara.
L’avversione a ritenere “santa” la Sposa del Signore approda
logicamente a una specie di allergia a riconoscerla “madre”. [...]
Nel
linguaggio contestatorio di alcuni cristiani la Chiesa acquista la
figura, più che di madre, di una figlia riottosa da educare, quando non
addirittura di una peccatrice da castigare.
La parola di Dio e il
modo tradizionale di esprimersi non sono però su questa linea. Nella
lettera ai Galati (4,22-26) san Paolo raffronta la Gerusalemme storica
[...] alla Gerusalemme messianica [...]. In questa “Gerusalemme
dall’alto” egli vede [...] la Chiesa; e di essa dice: “È la nostra
madre” (Gal 4,26)».[22]
Il cattolico, infatti, è e non può non essere fiero, orgoglioso della
Chiesa e infinitamente grato a Dio di farne parte; nello stesso tempo
non può non essere timoroso di poter venire meno nel cammino e
ritrovarsi fuori dalla salvezza.
La grandezza della Chiesa risiede nel fatto che non è soltanto una realtà umana ma, come abbiamo già avuto modo di ricordare e ben ricorda anche il Concilio Ecumenico Vaticano II, è una realtà teandrica, cioè umano-divina.[23] Come infatti il Capo è umano-divino, così lo è pure il suo Corpo.
Nel Vangelo leggiamo che Gesù, una volta risorto, manda i discepoli in missione dicendo:
«Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21).
Possiamo interpretare questo passo notando che il Padre non ha semplicemente mandato un messaggero, come faceva quando mandava i profeti, ma il Figlio. E così anche il Figlio non manda una realtà semplicemente umana, ma come lui umano-divina. I discepoli, cioè la Comunità strutturata secondo la volontà del Signore, è una realtà teandrica ed è per questo suo statuto ontologico che siamo autorizzati a porla accanto alla Santissima Trinità. Nella professione di fede che recitiamo a Messa, infatti, è lei l’unica realtà che nominiamo dopo Dio: Credo Ecclesiam. Con la differenza che mentre proclamiamo di credere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, non proclamiamo di credere “nella” Chiesa, ma “la” Chiesa, per distinguere la creatura dal Creatore.[24]
La Chiesa è dunque una realtà teandrica concepita al momento dell’Annunciazione grazie all’azione dello Spirito Santo e al sì di Maria; una realtà la cui gestazione giunge a maturazione il Giovedì Santo nel Cenacolo con l’istituzione del Sacerdozio e dell’Eucaristia.
Ormai completamente formata, manca “solo” il travaglio del parto e il suo venire alla luce il giorno di Pentecoste. E non è un caso che anche a Pentecoste la figura centrale, come ci ricorda opportunamente il terzo mistero glorioso del santo Rosario, sia la Madonna. È lei, la corredentrice, che in modo analogo al giorno dell’Annunciazione, riceve lo Spirito Santo che si riverbera immediatamente sui Dodici riuniti nel Cenacolo. Colei che ha concepito la Chiesa è anche colei che soprannaturalmente la partorisce.[25]
Il corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, inizia così con la Pentecoste il suo percorso nel mondo e subito conosce la persecuzione. Cosa che, come insegna l’apostolo Pietro, non dovrebbe sorprenderci:
«Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi» (1Pt 4,12-14).
D’altronde, Gesù stesso è chiaro al riguardo:
«Ricordatevi della parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 15,20).
Il discepolo deve dunque necessariamente ricalcare in qualche modo le orme del maestro, perché
«tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2Tm 3,12).
E perciò, come insegna il CCC ai numeri 675.677 di seguito riportati, anche la conclusione dell’avventura terrena della compagine ecclesiale si svolgerà in analogia a quella del suo Capo, cioè anche la Chiesa sarà chiamata a subire la passione, morte e risurrezione e con essa si concluderà la storia.
L’ultima prova della Chiesa
675 Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti (cf. Lc 18,8; Mt 24,12). La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra (cf. Lc 21,12; Gv 15,19-20) svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne (cf. 2Ts 2,4-12; 1Ts 5,2-3; 2Gv 7; 1Gv 2,18.22).
677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione (cf. Ap 19,1-9). Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa (cf. Ap 13,8) secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male (cf. Ap 20,7-10) che farà discendere dal cielo la sua Sposa (cf. Ap 21,2-4). Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo giudizio (cf. Ap 20,12) dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa (cf. 2Pt 3,12-13).
Stando così le cose, non dobbiamo aspettarci per la Chiesa “magnifiche
sorti e progressive”, ma uno «scatenarsi ultimo del male» contro di
essa. Il drago rosso, infatti, cercherà di sbarazzarsene in modo analogo
a quanto già operato contro il suo Capo. Essendo la Chiesa la salvezza,
il demonio farà di tutto per sfigurarla e allontanare da essa quante
più persone possibile. Lo straordinario scatenamento del male nei giorni
della passione del Signore si ripeterà dunque prima della parusìa,
ossia prima del ritorno del Signore nella gloria per giudicare i vivi e i
morti.
Al demonio sarà permesso di infiltrarsi nel tempio di Dio
e, dall’interno, di poter mettere in piedi una impostura religiosa che
inganni, se fosse possibile, anche gli eletti.[26] Ma, per grazia di
Dio, non sarà possibile al demonio ingannarli perché questi «hanno accolto l’amore della verità per essere salvi» (2Ts 2,10), «hanno creduto alla verità» (2Ts 2,12), sono rimasti saldi e hanno mantenuto le tradizioni apprese (cf. 2Ts 2,15).
Come dice il Signore stesso nel Vangelo:
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27).
Gli eletti, dunque, non si lasceranno ingannare e non seguiranno la falsa voce del falso Pastore.
Ora, se alla luce della fede guardiamo con attenzione i tempi che stiamo vivendo non può sfuggirci il fatto che essi sembrano riconducibili a quelli descritti dall’Apocalisse di san Giovanni e che preludono al ritorno di Cristo nella gloria.
È vero che nessuno può sapere con esattezza quando ci sarà la parusìa (cf. Mt 24,36; Mc 13,32), ma il Signore stesso ci esorta a discernere:
«Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte» (Mc 13,28-29).
E allora, per chi può e vuol vedere, non siamo forse oggi in presenza di un’evidente “impostura religiosa” con relativa “apostasia dalla verità”? Al centro non si è forse messo l’uomo “al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”?
Solo a titolo di esempio, ricordiamo che Gesù stesso ha insegnato come pregare e oggi, nel centro stesso della cristianità, si è arrivati alla presunzione di correggerne l’insegnamento.
Pertanto, parlando in generale, non è più l’uomo che deve riverentemente ascoltare Dio e convertirsi a lui, ma è Dio che deve adattarsi all’uomo e mettersi al passo col mondo che evolve.
Siamo perciò praticamente arrivati alla sostituzione dei principi cattolici con i principi di quella corrente che è stata giustamente definita «sintesi di tutte le eresie».[27]
____________________
[1]
SAN LUIGI M. GRIGNION DA MONTFORT, Trattato della vera devozione alla
Santa Vergine e il Segreto di Maria, EP 1989, nn. 52-53.
[2] Cf. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso c. XXXIII, 1.
[3] CCC, n. 181.
[4] DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso c. XXXIII, 2.
[5] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae I, q. 25, a. 6, ad 4 (trad. it. a cura dei Frati Domenicani, ESD, Bologna 2014).
[6] Supplica alla Madonna di Pompei.
[7]
SANT’AGOSTINO, in Liturgia delle Ore vol. IV, seconda lettura ufficio
del 21 novembre (Presentazione della Beata Vergine Maria).
[8] SAN BERNARDO, in Liturgia delle Ore vol. I, seconda lettura ufficio del 20 dicembre. [9] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae III, q. 30, a. 1.
[10]
CCC, n. 760: «Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama
mondo, così la sua intenzione è la salvezza dell'uomo, ed essa si
chiama Chiesa (Clemente d’Alessandria)».
[11] CCC, n. 795: «Caput et membra, quasi una persona mystica».
[12] CCC, n. 726.
[13]
Possiamo ricordare a questo proposito la bella riflessione di santa
Teresa di Gesù Bambino che troviamo nella lettera del 19 ottobre 1892
alla sorella Celina: «A proposito della santa Vergine, bisogna che ti
confidi uno dei modi semplici che uso con lei. Qualche volta mi
sorprendo a dirle: “Devo riconoscere, mia santa Vergine, di essere più
fortunata di voi, perché io ho voi per Madre, mentre voi non avete una
Madonna da amare... È vero che siete la Madre di Gesù, ma questo Gesù
l'avete dato a me interamente.. e lui, sulla croce, vi ha dato a noi per
Madre. Così noi siamo più ricchi di voi: possediamo Gesù e anche voi ci
appartenete! Un tempo, nella vostra umiltà, vi auguravate di essere un
giorno la piccola serva della vergine fortunata che avrebbe avuto
l'onore di essere la Madre di Dio, ed ecco che io ora, non solo sono la
vostra serva, ma la vostra figlia. Voi siete la Madre di Gesù e al tempo
stesso la mia Madre!”. Senza dubbio, la santa Vergine deve sorridere
della mia ingenuità, e tuttavia ciò che le dico è tanto vero!» (S.
TERESA DI GESÙ BAMBINO, Gli Scritti, OCD, Roma 19904, pp. 569-570).
[14]
A proposito del perché sia Maria sia la Chiesa possono essere indicate
come la donna di Ap 13 riportiamo il bel testo del beato Isacco: «Il
Cristo è unico, perché Capo e Corpo formano un tutt’uno. Il Cristo è
unico, perché è figlio di un unico Dio in cielo e di un’unica madre in
terra. Si hanno insieme molti figli e un solo figlio. Come infatti Capo e
membra sono insieme un solo figlio e molti figli, così Maria e la
Chiesa sono una sola e molte madri, una sola e molte vergini. Ambedue
madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito
Santo senza concupiscenza, ambedue danno al Padre figli senza peccato.
Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella
remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo. Tutt’e due
sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza
l’altra. Perciò giustamente nelle Scritture divinamente ispirate quel
ch’è detto in generale della vergine madre Chiesa, s’intende
singolarmente della vergine madre Maria; e quel che si dice in modo
speciale della vergine madre Maria, va riferito in generale alla vergine
madre Chiesa; e quanto si dice d’una delle due può essere inteso
indifferentemente dell’una e dell’altra» (BEATO ISACCO DELLA STELLA, in
Liturgia delle Ore vol. I, seconda lettura ufficio del sabato della
seconda settimana di Avvento).
[15] G. BIFFI, La sposa chiacchierata, Jaca Book, Milano 1998, pp. 103-108.
[16] Ibid., p. 108.
[17]
San Paolo «cadendo a terra udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo,
perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io
sono Gesù, che tu perseguiti!”» (At 9,4-5). Dunque, perseguitare i
membri della Chiesa significa perseguitare il Signore stesso. Sant’Agostino scrive: «Ecco il Cristo totale, capo e corpo, uno solo formato da molti» (CCC, n. 796). E
ancora: «Gesù Cristo è un solo uomo con il suo capo e il suo corpo.
Salvatore del corpo e membra del corpo sono due in una carne sola, in
un’unica voce, in un’unica sofferenza e, quando sarà passata l’iniquità,
in un’unica pace. Perciò le sofferenze di Cristo non si limitano al
solo Cristo, o per meglio dire, le sofferenze di Cristo non si trovano
se non in Cristo. Se
infatti intendi Cristo come capo e corpo, le sofferenze di Cristo non si
trovano se non in Cristo. Se invece intendi Cristo solo come capo, le
sofferenze di Cristo non si trovano solamente nel Cristo. Se le
sofferenze di Cristo si limitassero al solo Cristo, o meglio al solo
capo, come potrebbe dire l’apostolo Paolo a riguardo di un suo membro:
Per completare nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo?
(cf. Col 1,24)» (SANT’AGOSTINO, in Liturgia delle Ore vol. III, seconda
lettura ufficio del 12 maggio).
[18]
«Il Signore Gesù, unico Salvatore, non stabilì una semplice comunità di
discepoli, ma costituì la Chiesa come mistero salvifico: Egli stesso è
nella Chiesa e la Chiesa è in Lui (cf. Gv 15,1ss.; Gal 3,28; Ef 4,15-16;
At 9,5); perciò, la pienezza del mistero salvifico di Cristo appartiene
anche alla Chiesa, inseparabilmente unita al suo Signore. Gesù Cristo,
infatti, continua la sua presenza e la sua opera di salvezza nella
Chiesa ed attraverso la Chiesa (cf. Col 1,24-27),[47] che è suo Corpo
(cf. 1Cor 12,12-13.27; Col 1,18).[48] E così come il capo e le membra di
un corpo vivo pur non identificandosi sono inseparabili, Cristo e la
Chiesa non possono essere confusi ma neanche separati, e costituiscono
un unico «Cristo totale».[49] Questa stessa inseparabilità viene
espressa nel Nuovo Testamento anche mediante l'analogia della Chiesa
come Sposa di Cristo (cf. 2Cor 11,2; Ef 5,25-29; Ap 21,2.9).[50] Perciò,
in connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione
salvifica di Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di
fede cattolica l’unicità della Chiesa da lui fondata. Così come c’è un
solo Cristo, esiste un solo suo Corpo, una sola sua Sposa: «una sola
Chiesa cattolica e apostolica».[51] Inoltre, le promesse del Signore di
non abbandonare mai la sua Chiesa (cf. Mt 16,18; 28,20) e di guidarla
con il suo Spirito (cf. Gv 16,13) comportano che, secondo la fede
cattolica, l’unicità e l’unità, come tutto quanto appartiene
all’integrità della Chiesa, non verranno mai a mancare.[52] I
fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica —
radicata nella successione apostolica[53] — tra la Chiesa fondata da
Cristo e la Chiesa Cattolica: «È questa l’unica Chiesa di Cristo [...]
che il Salvatore nostro, dopo la risurrezione (cf. Gv 21,17), diede da
pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e
la guida (cf. Mt 28,18ss.); egli l’ha eretta per sempre come colonna e
fondamento della verità (cf. 1Tm 3,15)» (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE, Dichiarazione Dominus Jesus, 6 agosto 2000, n. 16).
[19[ G. BIFFI, La sposa chiacchierata, Jaca Book, Milano 1998, p. 23.
[20] Ibid., p. 25.
[21] Ibid., p. 26.
[22] Ibid., p. 102.
[23] La Chiesa ha «la caratteristica di essere nello
stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili,
fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e
tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in
essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile
all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla
città futura, verso la quale siamo incamminati [cf. Eb 13,14]» (CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum concilium, n. 2); «Cristo, unico
mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua
Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale
organismo visibile,[9] attraverso il quale diffonde per tutti la verità e
la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo
mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la
Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono
considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola
complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino [10].
Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al
mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al
Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito,
così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo
Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cf. Ef
4,16) [11]. Questa è
l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa,
cattolica e apostolica [12] e che il Salvatore nostro, dopo la sua
resurrezione, diede da pascere a Pietro (cf. Gv 21,17), affidandone a
lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cf. Mt 28,18ss), e
costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cf. 1 Tm 3,15)» (Ibid., Costituzione
dogmatica Lumen Gentium, n. 8).
[24] Cf. CCC, n. 750.
[25]
Su questo punto credo che meriti di essere segnalata, per quanto sia
solo una rivelazione privata, l’edificante visione riportata da Maria
Valtorta: http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/10/
dcxl-la-discesa-dello-spirito-santo-fine-del-ciclo-messianico
[26]
Cf. 2Ts 2,1.3-4: «Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e
alla nostra riunione con lui [...] Nessuno vi inganni in alcun modo!
Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo
iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza
sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a
sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio»; Mc
13,22-23: «sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e
portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti. Voi però
state attenti! Io vi ho predetto tutto»; Mt
24,4-5.11-13.15.21-25: «Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno
nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno.
[...] Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il
dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi
persevererà sino alla fine, sarà salvato. [...] Quando dunque vedrete
l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel
luogo santo - chi legge comprenda -, [...] vi sarà allora una
tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora,
né mai più ci sarà. E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun
vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno
abbreviati. Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là,
non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e
faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se
possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho predetto».
[27]
PIO X, Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis,
parte II. Nella stessa enciclica leggiamo che per i modernisti è «lor principio generale che in una
religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui
fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine,
vogliam dire all’evoluzione. Dogma dunque, Chiesa, culto, Libri sacri,
anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che
sottostiano alle leggi dell’evoluzione. [...] Per detto adunque e per
fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di
stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. [...] Dicono che i dogmi e la
loro evoluzione debbano accordarsi colla scienza e la storia».