PORFIREA
moglie dell’apostolo Pietro
Un personaggio che il Poema dell’uomo-Dio ci permette di “scoprire” è quello della moglie di Pietro. Dalla Scrittura veniamo a sapere soltanto che Pietro ha una moglie e che nella casa di Cafarnao c'è anche la suocera di lui.
«Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo» (Mt 8,14-15).
«E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli» (Mc 1,29-31).
«Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all’istante, la donna cominciò a servirli» (Lc 4,38-39).
Come si vede, la figura della moglie di Pietro non è per nulla tratteggiata e non ne conosciamo neppure il nome.
Ora, pur non essendo chiaramente necessario saperne di più su di lei, altrimenti il Vangelo l’avrebbe riportato, è anche vero che il testo di Maria Valtorta ci presenta una figura femminile molto bella che, a prescindere da quanto possa effettivamente corrispondere alla realtà, è comunque edificante e capace di stimolare interessanti riflessioni dal punto di vista spirituale.
È dunque necessario leggere ciò che della moglie di Pietro scrive la Valtorta?
Assolutamente no!
Necessaria è la fede, senza la quale non possiamo essere salvati, e quanto scrive Maria Valtorta non è e non può essere oggetto di fede cattolica (cf. Card. J. Ratzinger, Commento teologico al messaggio di Fatima, 2000).
Tuttavia, se letto per quello che è, lo scritto della Valtorta può essere un valido strumento per stimolare la riflessione, soprattutto per quelle persone che trovano difficoltà nella meditazione del Vangelo.
Passando ai testi, Porfirea la incontriamo per la prima volta nel Poema dell’uomo-Dio a Betsaida, la sua città. La incontriamo accanto a Pietro in attesa dell’arrivo di Gesù. Siamo agli inizi del ministero pubblico e gli apostoli sono ancora soltanto quattro: i fratelli Pietro e Andrea e i fratelli Giovanni e Giacomo.
50. A Betsaida nella casa di Pietro. L'incontro con Filippo e Natanaele.
La visione […] riprende all’entrata di Betsaida. Comprendo che è questa città perché vedo Pietro, Andrea e Giacomo, e con loro delle donne, che attendono Gesù all’inizio dell’abitato.
«La pace sia con voi. Eccomi».
«Grazie, Maestro, per noi e per chi attende. Non è sabato, ma non le dirai le tue parole a chi aspetta di udirti?».
«Sì, Pietro. Le dirò. Nella tua casa».
Pietro è gongolante: «Vieni, allora. Questa è la moglie mia e questa la madre di Giovanni e queste amiche loro. Ma anche altri ti attendono: parenti e amici nostri».
«Avvertili che partirò a sera e prima parlerò loro».
Ho lasciato di dire che, partiti da Cafarnao al tramonto, li ho visti giungere a Betsaida al mattino.
«Maestro... io ti prego. Sosta una notte nella mia casa. Lungo il cammino per Gerusalemme, anche se io te lo abbrevio sino a Tiberiade con la barca. Povera la casa mia, ma onesta e amica. Resta con noi questa notte».
Gesù guarda Pietro e gli altri, che sono tutti in attesa. Li guarda scrutatore. Poi sorride e dice: «Sì». Nuova gioia di Pietro.
Della gente guarda dalle porte e ammicca. Un uomo chiama a nome Giacomo e gli parla piano additando Gesù. Giacomo annuisce e l’uomo va a confabulare con altri fermi su un crocevia.
Entrano nella casa di Pietro. Una cucina vasta e fumosa. In un angolo, reti e canapi e ceste da pesca. In mezzo, il focolare largo e basso, per ora spento. Dalle due porte opposte si vede la via e l’orticello col fico e la vite. Oltre la via, il cerulo muovere del lago. Oltre l’orticello, il muretto scuro di un’altra casa. «Ti offro quanto ho, Maestro, e come so...».
«Meglio e più non potresti, perché mi offri con amore».
Dànno a Gesù acqua per rinfrescarsi e poi pane e ulive. Gesù gusta pochi bocconi, tanto per mostrare che accetta, poi respinge ringraziando.
Dei bambini curiosano dall’orto e dalla via. Ma non so se siano figli di Pietro. So solo che lui fa gli occhiacci per tenere indietro i piccoli invadenti. Gesù sorride e dice: «Lasciali fare».
«Maestro, vuoi riposare? Lì vi è la mia stanza, là quella di Andrea. Scegli. Non faremo rumore mentre riposi». «Avrai pure una terrazza?».
«Sì, e la vite, per quanto sia ancor quasi nuda, vi fa un poco d’ombra».
«Conducimi in essa. Preferisco riposare lassù. Penserò e pregherò».
«Come vuoi. Vieni».
Dall’orticello una scaletta sale al tetto, che è una terrazza limitata da un basso muretto. Anche qui, reti e canapi. Ma quanta luce di cielo e quanto azzurro di lago!
Gesù siede su uno sgabello con le spalle appoggiate al muretto. Pietro armeggia con una vela, che stende sopra e a fianco della vite per fare un riparo al sole. Vi è brezza e silenzio. Gesù visibilmente ne gode.
«Io vado, Maestro».
«Va’. Tu e Giovanni andate a dire che al tramonto, qui, parlerò».
Gesù resta solo e prega a lungo. Fuor che due coppie di colombi, che vanno e vengono dai nidi, e un cinguettio di passeri, non c’è rumore o vivente intorno a Gesù che prega. Le ore passano calme e serene.
Poi Gesù si alza, gira per la terrazza, guarda il lago, guarda e sorride a dei bambini che giuocano sulla via e che gli sorridono, guarda sulla via, verso la piazzetta che è a un cento metri dalla casa. Poi scende. Si affaccia alla cucina: «Donna, Io vado a passeggiare sulla riva». Esce e va infatti sulla riva, presso i bambini.
Dopo il discorso di Gesù tenuto alla casa di Pietro, il Signore chiama anche Filippo e Natanaele-Bartolomeo ad essere suoi discepoli.
Sempre mentre Gesù è nella casa di Pietro, giunge Giuda Taddeo, cugino di Gesù, per invitarlo a Cana per partecipare alle nozze di Susanna. A mandarlo è Maria, la madre di Gesù.
Porfirea, che è annoverata tra le discepole di Gesù, compare per la seconda volta in un episodio in cui viene descritta come una buona cuoca:
180. Disputa nella cucina di Pietro a Betsaida. […]
Eccoci di nuovo nella cucina di Pietro. La cena deve essere stata abbondante, perché i piatti coi resti di pesce e di carne, di formaggi, di frutta secche o per lo meno avvizzite, di focacce di miele, si ammucchiano su una specie di credenza che ricorda un poco le nostre madie toscane, e anfore con calici sono ancora sparsi sulla tavola.
La moglie di Pietro deve aver fatto miracoli per fare contento il marito e deve avere lavorato tutta la giornata. Ora, stanca ma contenta, sta nel suo angolino e ascolta ciò che dice il suo uomo e ciò che dicono gli altri. Lo guarda, il suo Simone, che per lei deve essere un grande uomo anche se un poco esigente, e quando lo sente parlare con parole nuove su quella bocca che prima parlava solo di barche, di reti, di pesci e di denaro, ha persino uno sbattimento di palpebre come fosse abbagliata da troppa luce. Pietro, sia per la gioia di avere alla sua tavola Gesù, sia per la gioia dell’abbondante pasto consumato, è proprio in vena questa sera, e si rivela in lui il futuro Pietro che predica alle folle.
Non so quale osservazione di un compagno abbia originato la risposta scultorea di Pietro che dice: «Avverrà loro come ai fondatori della torre di Babele. La loro stessa superbia provocherà il crollo delle loro teorie e rimarranno schiacciati».
In un altro episodio, Pietro conduce l’orfanello Marziam verso casa sua per affidarlo alla moglie e, parlando con lui, ne tesse l’elogio.
214. «Lo dicono tutti [che è buona] e lo devo dire anche io che, se è sempre stata mansueta con sua madre e con me, è proprio segno che è buona. Ma non si chiama Maria, figlio. Ha uno strambo nome, perché il padre le mise quello della cosa che gli aveva dato ricchezza e Porfirea la volle chiamare. La porpora è bella e preziosa. Mia moglie non è bella, ma è preziosa per la sua bontà. E io le ho voluto bene perché era tanto quieta, casta, silenziosa. Tre virtù... eh! non sono facili a trovarsi! L’avevo sbirciata fin da quando era una fanciulla. Scendevo a Cafarnao col pesce e la vedevo alle reti, oppure alla fonte, o anche nell’orto di casa lavorare e tacere, e non era la svagata farfalla che vola qua e là, e neppure la sventata gallinella che gira l’occhio per ogni chicchiricchì di gallo. Non alzava mai il capo anche se sentiva voci d’uomo e quando io, innamorato della sua bontà e delle sue splendide trecce, le sue uniche bellezze, e anche... sì, e anche impietosito per la sua condizione di schiava in famiglia, le ho rivolto i primi saluti – allora aveva sedici anni – lei ha risposto a mala pena, calando ancora di più il suo velo e ritirandosi ancora di più in casa. Eh! ce n’è voluto per capire se non le parevo un orco e per mandare avanti il paraninfo!... Ma non me ne pento. Potevo girare tutta la Terra, ma un’altra così non la trovavo.
Non è vero, Maestro, che è buona?».
«Molto buona».
È Gesù stesso, poi, ad affidare l’orfanello Marziam a Porfirea.
228. In barca verso Betsaida, dove Marziam viene affidato a Porfirea.
Pietro mette al bambino la vesticciola, lo ravvia per presentarlo in ordine alla moglie. Eccoli tutti a terra, pecorelle comprese.
«E ora andiamo», dice Pietro. È proprio emozionato.
Dà la mano al bambino che è a sua volta emozionato, tanto che dimentica le pecorine di cui si occupa Giovanni e chiede, in un improvviso sorgere di paura: «Ma mi vorrà poi? E mi vorrà bene proprio?».
Pietro lo rassicura; ma forse la paura gli si contagia e dice a Gesù: «Diglielo Tu, Maestro, a Porfirea. Io credo di non sapere dire bene».
Gesù sorride, ma promette di occuparsene Lui.
La casa è presto raggiunta seguendo il greto della riva.
Dalla porta aperta si sente che Porfirea sta facendo le sue faccende domestiche.
«La pace a te!», dice Gesù affacciandosi sulla porta della cucina dove la donna sta mettendo in ordine delle stoviglie.
«Maestro! Simone!». La donna corre a prostrarsi ai piedi di Gesù e poi a quelli del marito. Poi si raddrizza e col suo viso buono, se non bello, dice arrossendo: «Era tanto che vi desideravo! Siete stati tutti bene? Venite! Venite! Sarete stanchi...».
«No. Veniamo da Nazaret dove abbiamo sostato qualche giorno e fummo a Cana per altra sosta. A Tiberiade erano le barche. Tu vedi che non siamo stanchi. Avevamo un bambino con noi, e Giuda di Simone indebolito da una malattia».
«Un bambino? Un discepolo così piccino?».
«Un orfano che abbiamo raccolto per via».
«Oh! caro! Vieni, tesoro, che ti baci!».
Il bambino, che era stato timoroso seminascosto dietro a Gesù, si lascia prendere dalla donna, che si è inginocchiata quasi per essere all’altezza di lui e si lascia baciare senza riluttanza.
«E ora ve lo portate dietro, sempre dietro, così piccino? Si stancherà...». La donna è tutta pietosa. Si tiene stretto il bambino fra le braccia e tiene la guancia appoggiata a quella del bambino.
«Veramente Io avevo un altro pensiero. Quello di affidarlo a qualche discepola, quando andiamo lontano dalla Galilea, del lago...».
«A me no, Signore? Io non ho mai avuto bambini. Ma nipotini sì, e so come si fa coi bambini. Sono la discepola che non sa parlare, che non ha tanta salute da seguirti come fanno le altre, che... oh! Tu lo sai! Sarò vile anche, se vuoi. Ma Tu sai in che tenaglia io sono. Tenaglia ho detto? No, sono fra due canapi che mi attirano in direzione opposta e non ho il coraggio di spezzarne uno. Lascia che almeno ti serva un pochino, essendo la mamma-discepola di questo bambino. Gli insegnerò tutto quello che le altre insegnano a tanti... Ad amare Te...».
Gesù le pone la mano sul capo, sorride e dice: «Il bambino è stato portato qui perché qui avrebbe trovato una madre e un padre. Ecco. Facciamo la famiglia». E Gesù mette la mano di Marziam in quelle di Pietro, che ha gli occhi lucidi, e di Porfirea. «E allevatemi santamente questo innocente».
Pietro sa già e perciò non fa che asciugarsi una lacrima col dorso della mano. Ma sua moglie, che non se lo aspettava, resta per un poco muta di stupore. Poi torna a inginocchiarsi e dice:
«Oh! mio Signore. Tu mi hai levato lo sposo facendomi quasi vedova. Ma ora mi dài un figlio... Tu dunque rendi tutte le rose alla mia vita, non solo quelle che mi hai prese, ma quelle che non ho mai avute. Che Tu sia benedetto! Più che se fosse nato dalle mie viscere mi sarà caro questo fanciullo. Perché questo mi viene da Te». E la donna bacia la veste di Gesù e bacia il bambino, se lo siede poi in grembo... È felice...
«Lasciamola alle sue espansioni», dice Gesù. «Resta tu pure, Simone. Noi andiamo in città per predicare. Verremo a sera tardi a chiederti cibo e riposo». E Gesù esce con gli apostoli lasciando in pace i tre... Giovanni dice: «Mio Signore, Simone oggi è beato!».
Gesù tesse grandi lodi di Porfirea.
240. A Betsaida da Porfirea e Marziam, che insegna alla Maddalena la preghiera di Gesù.
Quando stanno per giungere [a Betsaida], Gesù dice a Bartolomeo e all’inseparabile Filippo: «Andrete ad avvisare le vostre donne. Oggi verrò in casa vostra». E fissa i due in maniera eloquente.
«Sarà fatto, Maestro. Non concedi né a me né a Filippo di averti?».
«Non ci tratteniamo che fino al tramonto e non voglio privare Simon Pietro della gioia di godersi Marziam». La barca striscia sulla riva e si ferma. Scendono, e Filippo e Bartolomeo si staccano dai compagni per andare in paese.
«Dove vanno quei due?», chiede Pietro al Maestro, che è sceso per primo ed è al suo fianco.
«Ad avvisare le loro donne».
«Vado anche io ad avvisare Porfirea, allora».
«Non occorre. Porfirea è tanto buona che non occorre prepararla a nulla. Il suo cuore non sa che dare dolcezza».
Simon Pietro splende sentendo la lode della sua sposa e non dice altro.
Sono intanto scese le donne, per le quali è stata messa una tavola a fare da barcarizzo, e vanno a casa di Simone.
Li vede per primo Marziam, che sta uscendo con le sue pecorelle per portarle a brucare l’erba fresca sulle prime pendici di Betsaida, e con uno strillo di gioia dà l’annuncio, correndo a rifugiarsi sul petto di Gesù che si è curvato per baciarlo. Poi va da Pietro. Accorre, con le mani infarinate, Porfirea, e si curva nel saluto.
«Pace a te, Porfirea. Non ci attendevi tanto presto, non è vero? Ma ti ho voluto portare mia Madre e due discepole, oltre che la mia benedizione. Mia Madre desiderava rivedere il bambino... Eccolo là fra le sue braccia. E le discepole desideravano conoscerti... Questa è la moglie di Simone. La discepola buona e silenziosa, attiva nella sua ubbidienza più di molti altri. Queste sono Marta e Maria di Betania. Due sorelle. Vogliatevi bene».
«Quelli che Tu mi conduci mi sono più cari del sangue mio, Maestro. Vieni. La mia casa si fa più bella ogni volta che Tu vi metti piede».
Maria si avvicina sorridente e abbraccia Porfirea dicendole:
«Vedo che in te è veramente viva la madre. Il bambino ha già prosperato ed è felice. Grazie».
«Oh! Donna più di ogni altra benedetta! So che per te io ho avuto la gioia di essere chiamata mamma. E tu sappi che non ti darò il dolore di non esserlo con tutto il migliore che è in me. Entra, entra con le sorelle…».
241. [Gesù...] parla con gli apostoli o con sua Madre e Marta.
Parlano della bontà di Porfirea, così semplice e così amorosa.
Il Signore affida a Giovanna di Cusa gli orfanelli Maria e Mattia. Prima però passano dalla casa di Pietro:
299. Gesù esce dalla casa di Pietro avendo per mano i piccoli Mattia e Maria, che la mano di Porfirea ha ravviati con cura materna sostituendo la vesticciuola di Maria con una di Marziam. Ma Mattia è troppo piccino per godere la stessa grazia e trema ancora nella sua sbiadita tunichella di cotone, tanto che Porfirea, pietosa, torna in casa e ne esce con un pezzo di coperta e vi avvolge il bambino come se la coperta fosse un mantello. Gesù la ringrazia mentre ella si inginocchia nel commiato e si ritira dopo un ultimo bacio ai due orfanelli.
«Pur di avere dei bambini, quella lì avrebbe preso anche questi», commenta Pietro, che ha osservato la scena e che a sua volta si china ad offrire ai due bambini un pezzo di pane cosparso di miele che teneva in serbo sotto un sedile della barca».
Di Porfirea si dice che è timida:
313. Appare il volto allegro di Simon Pietro, ancora seduto sul carro, che bussa con il manico della frusta... Al suo fianco, timida ma sorridente, è Porfirea, seduta su casse e cassette come fossero un trono.
Marziam corre fuori e si arrampica sul carro per salutare la sua madre adottiva. Escono anche gli altri fra i quali Gesù.
Paziente:
314. Il pasto è finito. Maria raccoglie le rimaste pere e le mette in un vaso dandole ad Andrea, che esce per tornare dicendo:
«Sempre più piove. Io direi che è meglio...».
«Sì. Attendere è sempre più agonia. Vengo subito a preparare la bestia. E voi pure venite, coi cofani e quant’altro. Anche tu, Porfirea. Svelta! Sei tanto paziente che l’asino ne è conquiso e si lascia vestire (dice proprio così) senza fare puntigli. Dopo ci penserà Andrea, che ti somiglia. Su, via tutti!». E Pietro spinge fuori dalla stanza e dalla cucina tutti meno Maria, Gesù, Giovanni di Endor e Sintica.
Prudente:
366. «Accendi dei rami, Pietro», ordina Gesù.
«Perché?».
«Perché voglio leggervi ciò che scrivono Giovanni e Sintica. Per questo, tu che sei malcontento sappilo, per questo non ho fatto venire le tre donne».
«Ma mia moglie c’era quella sera!...».
«Ma escludere soltanto Salome, delle vecchie discepole, sarebbe stato brutto... Del resto ciò ti darà modo di sfogare la tua lingua narrando alla tua moglie prudente ciò che ora senti».
367. Porfirea, che non è più stata a Gerusalemme da tanti anni, ha persino lacrime di commozione negli occhi mentre, inconsapevolmente, stringe il braccio del suo uomo che le indica non so che con la mano, e si abbandona un poco sopra di lui, simile ad una sposa novella, innamorata dello sposo, ammirata di lui, beata di essere da lui istruita.
Amante di piante e fiori:
348. La piccola casa pare un roseto per le rose sparse ogni dove dalle discepole. Ma la pianta di Porfirea, posata sulla tavola, raccoglie la più viva ammirazione di Maria, che la fa portare in luogo acconcio secondo le indicazioni della moglie di Pietro.
384. I giovani vanno, ridendo, e i più anziani si danno a fare pulizia strappando attenti le erbe parassite. «Oh! così si vede che è un orto. Non c’è l’insalatina. Ma porri, agli, verdure, erbe fini e legumi ce ne sono. E zucche! Quante zucche. Bisogna potare la vite, liberare il fico e...».
«Ma Simone, non rimaniamo qui!...», dice Matteo.
«Ma ci verremo più volte. Lo ha detto Lui. E non ci darà noia avere un poco d’ordine intorno. Guarda, guarda! Anche un gelsomino, poveretto, sotto questa cascata di zucche. Se vedesse Porfirea questa pianta così afflitta, ci piangerebbe sopra e le parlerebbe come ad un bambino. Già, perché prima di avere Marziam parlava coi suoi fiori come a figli...
Tommaso chiede a Pietro cosa hanno fatto in casa. E Pietro ci parla anche della suocera:
435. «Pescato... verniciato le barche... aggiustato le reti... Adesso Marziam esce spesso coi garzoni, cosa che fa diminuire gli improperi di mia suocera contro “il fannullone che fa morire di fame la moglie dopo che le ha portato anche un bastardo”. E pensare che Porfirea non è mai stata tanto bene come ora che ha Marziam, per il cuore e... per tutto il resto. Le pecorelle da tre sono diventate cinque, e presto saranno di più... Non è poco utile per una piccola famiglia come la nostra! E Marziam, con la pesca, sopperisce a quel che io non faccio più che molto di rado. Ma quella donna ha lingua viperina per quanto sua figlia l’ha di colomba... Ma anche Tu hai lavorato, vedo...».
Dopo che Marziam ha assistito affranto alla morte del nonno, Porfirea lo accoglie piena di compassione:
446. Arrivo e accoglienze a Cafarnao.
Non so se spontaneamente o se perché avvisata da qualcuno, Porfirea è già sulla spiaggetta di Cafarnao quando le barche vi giungono, e sono tre anziché due, cosa che mi fa pensare che qualcuno sia già andato avanti, a Cafarnao, ad avvisare che il Maestro giunge ed a prendere una barca per le donne e Marziam. E con Porfirea sono le figlie di Filippo e Miriam di Giairo, oltre alla madre di Giacomo e Giovanni.
Ma io noto molto Porfirea che, incurante delle ondette del lago, ancora un poco mosso, che scorrono sul greto con le loro corse ridarelle e sfacciatelle, entra nell’acqua sino a mezza gamba e si sporge dentro alla barca, là dove è Marziam, e lo bacia dicendogli: «Ti vorrò bene anche per lui. Per tutti ti vorrò bene, figlio caro!», e lo dice molto commossa; e non appena la barca è ferma e ne scendono coloro che erano in essa, Porfirea stringe a sé Marziam, non cedendo a nessuno il compito di far sentire al giovinetto che è molto amato.
Va così a riunirsi al gruppo dell’altra barca per venerare il Maestro e poterlo fare prima che quelli di Cafarnao e i molti discepoli, che attendono da tempo l’arrivo di Gesù, si impadroniscano del Maestro sottraendo alle discepole la gioia di averlo per loro. Le donne sono compatte intorno al Maestro e solo i bambini di Cafarnao possono rompere questo cerchio delle discepole, insinuando i loro corpicini a forza fra donna e donna per potere arrivare a Gesù, che va lentamente verso casa.
Gesù va a prendere commiato da lei prima della Passione; la informa di ciò che accadrà e le raccomanda di impedire che Marziam si trovi a Gerusalemme durante quei giorni.
465. A Betsaida per un incarico segreto a Porfirea e partenza affrettata da Cafarnao.
«Dirigi la barca a Betsaida», ordina Gesù che è con Giovanni in una piccola barca, proprio un guscio di noce, a metà del lago che schiarisce lentamente col crescere del giorno.
Giovanni ubbidisce senza parlare. […]
«Approda prima del paese. Voglio andare da Porfirea senza che altri mi veda, e tu raggiungimi poi al luogo solito e attendimi nella barca».
«Sì, Maestro. E se alcuno mi vede?».
«Trattieni tutti senza dire dove sono. Farò presto».
Giovanni osserva sulla spiaggia un punto buono per approdare e lo trova […]
Gesù salta sulla sponda. Giovanni punta il remo contro la stessa, fa forza per spingere la barca di nuovo nel lago. Vi riesce. Alza il volto luminoso del suo sorriso buono e dice: «Addio, Maestro».
«Addio, Giovanni», e Gesù si avvia fra le piante mentre Giovanni bordeggia con la sua barchetta.
Gesù piega verso l’interno, passa fra ortaglie alle spalle di Betsaida. Va lesto per evitare di entrare in paese quando questo si anima. Giunge senza fare incontri alla casa di Pietro. Bussa alla porta della cucina. Dopo qualche secondo la testa di Porfirea si affaccia guardinga al disopra del muretto del tetto. Vede e fa un «Oh!» di stupore. Raccoglie con una mano i suoi splendidi capelli — l’unica sua bellezza — che ha sciolti sulle spalle e corre giù dalla scaletta, scalza come è, nell’affrettata toletta del mattino.
«Signore! Tu! Solo?».
«Sì, Porfirea. Marziam dove è?».
«Dorme. Dorme ancora. È rimasto un poco triste, un poco languido il fanciullo... e lo risparmio un poco. È anche l’età... la crescita... Mentre dorme non pensa e non piange...». «Piange sovente?».
«Sì, Maestro. Io credo che sia la sua debolezza attuale. E cerco irrobustirlo... e consolarlo... Ma egli dice: “Io resto solo. Tutti quelli che amo se ne vanno. Quando non ci sarà più Gesù...”, e lo dice come Tu fossi per lasciarci... Certo... ha avuto molto dolore nella sua vita... Ma io, ma Simone, lo amiamo... Tanto, credilo, Maestro».
«Lo so. Ma la sua anima sente... Porfirea, ho bisogno di parlarti proprio di queste cose. Per questo sono venuto, senza Simone, a quest’ora. Dove possiamo andare per parlare in modo che Marziam non ci senta e che nessuno disturbi?».
«Signore... Non ho che... la mia stanza nuziale, oppure la stanza delle reti... Sopra c’è Marziam, c’ero io pure perché, per sfuggire il calore, siamo andati a dormire là sopra...».
«Andiamo nella stanza delle reti. È più lontana e Marziam non ci sentirà anche se si sveglia».
«Vieni, Signore», e Porfirea lo guida nel rustico stanzone ingombro di un po’ di tutto: reti, remi, provviste, fieno per le pecore, un telaio...
Porfirea si affretta a sgombrare una specie di tavola addossata alla parete e spolverarla con un batuffolo di stoppa perché il Maestro si sieda.
«Non importa, donna. Non sono stanco».
Porfirea alza i suoi miti occhi al viso sbattuto, affaticato di Gesù, e sembra voglia dire: «Sì, che lo sei». Ma, abituata a tacere, non parla.
«Ascolta, Porfirea. Tu sei una buona donna e una buona discepola. Io ti ho molto amata da quando ti conobbi e con molta gioia ti ho accolta discepola e ti ho affidato il fanciullo. Ti so prudente e virtuosa come poche. E so che sai tacere. Virtù rarissima nelle donne. Per tutte queste cose Io sono venuto a parlarti in segreto e a confidarti una cosa che nessuno sa, neppure gli apostoli, neppure Simone. Te la confido perché ti devo dire come ti devi regolare in futuro con Marziam... e con tutti... Sono sicuro che tu accontenterai il Maestro tuo in ciò che ti chiede e sarai prudente come sempre...».
Porfirea, che è divenuta proprio di porpora sentendo l’encomio del suo Signore, non fa che assentire col capo, troppo commossa — lei così timida e abituata ad essere premuta sempre da volontà prepotenti, che impongono senza sapere se lei è disposta ad acconsentire... — troppo commossa per poter dire, con le parole, che acconsente.
«Porfirea... Io non tornerò mai più da queste parti. Mai più sino a che tutto sia compiuto... Tu sai, non è vero, ciò che devo compiere?...».
Porfirea, a queste parole, ha lasciato andare i suoi capelli che ancora teneva raccolti sulla nuca con la sinistra e ha, più che un grido, un singhiozzo che soffoca portandosi le due mani al volto, mentre scivola in ginocchio gemendo: «Lo so, Signore, mio Dio...», e piange con silenzioso pianto, che non si accusa che per le lacrime che stillano a terra dalle dita compresse sul volto.
«Non piangere, Porfirea. Per questo sono venuto. Io sono pronto... e pronti sono coloro che, servendo il Male, serviranno il Bene, in verità, perché faranno sorgere l’ora della Redenzione. Potrebbe compiersi anche ora, perché tanto Io che essi siamo preparati... e ogni altra ora che scorre o evento che avverrà non saranno che... perfezionamento al loro delitto... e al mio Sacrificio. Ma anche queste ore, ancora numerose, che succederanno prima di quell’ora, serviranno... Vi è ancora qualche cosa da compiere e da dire, perché tutto ciò che era da compiersi per la mia conoscenza sia fatto... Ma Io non tornerò più qui... Guardo per l’ultima volta questo luogo... ed entro per l’ultima volta in questa casa onesta... Non piangere... Non ho voluto andarmene senza darti l’addio e la benedizione del tuo Maestro. Porterò con Me Marziam. Lo porterò con Me andando ora verso i confini fenici e poi quando scenderò in Giudea per i Tabernacoli. Non mi mancherà modo di rimandarlo prima del pieno inverno. Povero fanciullo! Godrà di Me per qualche tempo.
E poi... Porfirea, non è bene che Marziam sia presente nella mia ora. Perciò tu non lo lascerai partire per la Pasqua...».
«Il precetto, Signore...».
«Io lo assolvo dal precetto. Sono il Maestro, Porfirea, e sono Dio, tu lo sai. Come Dio posso assolvere, in anticipo, da una omissione che non è neppur tale, perché Io la ordino per un motivo di giustizia. L’ubbidienza al mio comando è già di suo assoluzione all’omissione del precetto, perché l’ubbidienza a Dio — e questa è anche un sacrificio per Marziam — è sempre superiore a ogni altra cosa. E sono Maestro. Non è buon Maestro chi non sa misurare le qualità e le reazioni di un suo discepolo e non sa meditare sulle conseguenze che uno sforzo, superiore a ciò che il discepolo può sopportare, può produrre nello stesso. Anche nell’imporre la virtù bisogna essere prudenti e non pretendere un massimo, che la formazione spirituale o le forze generali dell’essere non possono dare. Esigendo una virtù o un dominio spirituale troppo forti rispetto al grado di forze spirituali, morali e anche fisiche raggiunto dalla creatura, si può produrre una dispersione delle forze già accumulate e un frantumamento dell’essere nei suoi tre gradi: spirituale, morale, fisico. Marziam, povero bambino, ha troppo sofferto già e ha troppo conosciuto la brutalità dei suoi simili, sino a rasentare l’odio per essi. Non potrebbe sopportare ciò che sarà la mia Passione: mare di amor doloroso in cui laverò i peccati del mondo, e mare di odio satanico che cercherà di sommergere tutti coloro che Io ho amato e annullare tutto il mio lavoro di Maestro. In verità ti dico che anche i più forti piegheranno sotto la marea di Satana, almeno per breve tempo... Ma Io non voglio che Marziam pieghi e beva quell’onda desolante... È un innocente... e mi è caro... Io ho pietà, molta, di chi ha già sofferto più che le forze proprie non consentano... Ho richiamato all’al di là lo spirito di Giovanni di Endor...».
«È morto Giovanni? Oh! Marziam aveva scritto molti rotoli per lui... Un altro dolore per il fanciullo!...».
«Gli dirò Io della morte di Giovanni... Dicevo che l’ho levato dalla vita per preservare lui pure dall’urto di quell’ora. Anche Giovanni aveva troppo sofferto dagli uomini. Perché risvegliare i sentimenti sopiti? Dio è buono. Prova i suoi figli. Ma non è un incauto esperimentatore... Oh! se gli uomini sapessero fare altrettanto! Quante meno rovine di cuori, o anche semplicemente quante meno burrasche pericolose nei cuori!... Ma, tornando a Marziam, egli non deve venire alla Pasqua futura. Per ora tu non parlerai. Quando sarà il momento gli dirai così: “Il Maestro mi ha dato ordine di non mandarti a Gerusalemme. E ti promette un premio singolare se tu gli ubbidirai”. Marziam è buono e ubbidirà...
Porfirea, questo Io voglio da te. Il tuo silenzio, la tua fedeltà, il tuo amore».
«Tutto ciò che vuoi, mio Signore. Tu onori troppo la tua povera serva... Non merito tanto... Va’ in pace, Maestro e Dio. Io farò ciò che Tu vuoi...». Ma il dolore la vince e si abbatte col viso a terra — prima era sempre rimasta in ginocchio, rilassata sui calcagni, cogli occhi fissi sul volto di Gesù — si abbatte a terra, tutta coperta dal mantello dei suoi capelli corvini, e singhiozza forte: «Ma che dolore, Maestro! Oh! che dolore! Cosa finisce! Cosa finisce per il mondo! Cosa per noi che ti amiamo! Cosa per la tua serva! L’Unico! L’Unico che mi ha proprio amata! che non mi ha mai sprezzata! che non ha fatto il prepotente con me! che mi ha trattata come le altre, io così ignorante, povera, stolta! Oh! io e Marziam, perché a me lo ha detto Marziam per il primo, ci eravamo poi messi in pace... Tutti dicevano che non poteva esser vero... Tutti: Simone, Natanaele, Filippo... le loro donne... e loro sanno, loro sono sapienti... e Simone... eh! il mio Simone, se Tu lo hai scelto deve valere qualcosa!... e tutti! tutti dicevano che non può essere... Ma ora Tu lo dici, Tu lo dici... e non si può dubitare della tua parola...». È proprio desolata e commovente nel suo dolore.
Gesù si curva sino a metterle una mano sul capo: «Non piangere così... Marziam sentirà... Lo so... Nessuno ci crede, nessuno vuol giungere a credere... e la stessa loro sapienza e lo stesso loro amore sono causa del loro non credere... Ma così è... Porfirea, Io me ne vado. Prima di lasciarti ti benedico per ora e per sempre. Pensa sempre che ti ho amata e che sono stato contento del tuo amore per Me. Non ti dico: persevera in esso. So che lo farai, perché il ricordo del tuo Maestro sarà sempre la tua dolcezza e in essa ti rifugerai. La tua dolcezza e la tua pace, anche nell’ora della morte. Pensa allora che il tuo Maestro è morto per aprirti il Paradiso e che ti attende là... Su, alzati. Io vado a svegliare Marziam e a trattenerlo. Tu cancella le tracce del tuo pianto e poi raggiungici. Giovanni mi attende per portarmi a Cafarnao. Se hai cose da mandare a Simone, preparale. Ricordati che egli necessiterà delle sue vesti pesanti....».
Porfirea, vera creatura di sommissione e pronta ubbidienza, bacia i piedi di Gesù e fa l’atto di alzarsi; poi un’onda di amore le fa perdere la testa e, arrossendo vivamente, prende le due mani di Gesù e le bacia una, due, dieci volte. Poi si alza e lo lascia andare...
Gesù esce, sale sulla terrazza, penetra sotto una specie di padiglione fatto di vele tese su corde, sotto il quale sono i due giacigli. Marziam dorme ancora quasi a viso in giù, premuto sul piccolo guanciale. Non si vede che uno zigomo del viso brunetto e un braccio lungo e magro uscire dal lenzuolo che lo copre. Gesù si siede in terra presso il lettuccio e carezza lievemente le ciocche scomposte che ricadono sulla guancia pallida del dormente, il quale fa un movimento ma non si sveglia ancora. Gesù ripete l’atto e poi si china a baciare sulla fronte il volto che ora è scoperto. Marziam apre gli occhi e vede Gesù al suo fianco, curvo su di lui. Quasi non crede, forse pensa di sognare, ma Gesù lo chiama e allora il giovinetto sorge a sedere e si getta fra le braccia di Gesù, vi si rifugia...
«Tu qui, Maestro?».
«Sono venuto a prenderti per portarti con Me per qualche mese. Sei contento?». «Oh! E Simone?».
«È a Cafarnao. Sono venuto Io e Giovanni...».
«È tornato anche lui? Sarà felice! Gli darò ciò che ho scritto».
«Non parlo di Giovanni di Endor, ma di Giovanni di Zebedeo. Non sei contento?». «Sì. Gli voglio bene. Ma anche all’altro... quasi di più...».
«Perché, Marziam? Giovanni di Zebedeo è tanto buono».
«Sì, ma l’altro è tanto infelice e io pure lo sono stato e un poco lo sono ancora... Fra gente che soffre ci si intende e ci si ama...».
«Saresti contento di sapere che non soffre più e che è molto felice?».
«Sì che lo sarei. Ma egli non può essere felice altro che se è con Te. Oppure... È forse morto, Signore?». «È nella pace e bisogna essere contenti di questo, senza egoismi, perché egli è morto da giusto e perché ora non c’è più separazione fra il suo spirito e il nostro. Abbiamo un amico di più che prega per noi». Marziam ha due lacrimoni sul viso, veramente molto smagrito e pallido, ma mormora: «È vero». Gesù non dice altro in merito, né fa osservazioni sullo stato fisico e morale di Marziam, che è visibilmente indebolito. Ma anzi dice: «Su, andiamo. Ho già parlato con Porfirea. Certo ha preparato le tue vesti. Mettiti in ordine tu pure, ché Giovanni ci attende. Faremo una sorpresa a Simone. Non è quella la sua barca che torna a Cafarnao? Forse ha pescato nel ritorno...».
«È quella, sì. Dove andiamo, Signore?». «A settentrione e poi in Giudea».
«Per tanto?».
«Per tanto».
Marziam, animato dall’idea di stare con Gesù, si alza lesto e scende di corsa a lavarsi nel lago, e torna con ancora i capelli umidi, gridando: «Ho visto Giovanni. Mi ha fatto un cenno di saluto. È alla foce, fra le canne...».
«Andiamo».
Scendono. Porfirea sta finendo di chiudere due sacche e spiega: «Ho pensato di mandare poi le vesti pesanti. Per mio fratello, per i Tabernacoli, al Getsemani. Camminerete più spediti tanto te che il padre», e mentre finisce di legare le cinghie accenna a quanto ha preparato: latte, pane, frutta...
«Prenderemo tutto e mangeremo in barca. Voglio andare prima che la riva si affolli. Addio, Porfirea. Dio ti benedica sempre e la pace dei giusti sia sempre in te. Vieni, Marziam»...
Traversano presto il breve tratto di strada e, mentre Marziam va da Giovanni, Gesù va alla barca, subito raggiunto dai due che corrono fra i canneti e saltano in barca puntando subito il remo per mettersi in acqua fonda.
Porfirea è anche obbediente:
566. Gesù dice: «Salgo sul terrazzo per congedare e benedire la gente»;
e allora Pietro si riscuote e dice: «Ma dove è Marziam? Ho visto tutti i discepoli e non lui». «Non c’è Marziam», risponde Salome, la madre di Giacomo e Giovanni.
«Non c’è Marziam? Perché? È malato?».
«No. Sta bene. E bene sta tua moglie. Ma non c’è Marziam. Porfirea non lo ha lasciato venire». «Stolta femmina! Fra un mese è Pasqua ed egli deve ben venire per la Pasqua! Poteva farlo venire con voi da ora, dare una gioia al figlio e una a me. Ma è più tarda di una pecora a capire le cose e...». «Giovanni e Simone di Giona, e tu Lazzaro con Simone Zelote, venite con Me. Voi tutti state qui dove siete, sinché ho congedato la gente, separando da essa i discepoli», ordina Gesù ed esce coi quattro chiudendo la porta.
Traversa il corridoio, la cucina, esce nell’orto seguito da Pietro che brontola e dagli altri. Ma prima di mettere piede sulla terrazza si ferma sulla scaletta, si volge posando una mano sulla spalla di Pietro che alza il volto scontento.
«Ascoltami bene, Simon Pietro, e cessa di accusare e rimproverare Porfirea. Ella è innocente. Ella ubbidisce a un ordine mio. Sono Io che le ho comandato, avanti ai Tabernacoli, di non far venire Marziam in Giudea...».
«Ma la Pasqua, Signore!».
«Sono il Signore. Tu lo dici. E come Signore posso ordinare qualunque cosa, perché ogni mio ordine è giusto. Perciò non ti turbare con gli scrupoli. Ti ricordi ciò che è detto nei Numeri?
“Se alcuno della vostra nazione è immondo per un morto o è in viaggio lontano, faccia la Pasqua del Signore nel quattordicesimo giorno del secondo mese, verso sera”».
«Ma Marziam non è immondo, almeno spero che Porfirea non voglia proprio morire ora; e non è in viaggio...», obbietta Pietro.
«Non importa. Io voglio così. Ci sono cose che rendono più immondi di un morto. Marziam... Non voglio che si contamini. Lasciami fare, Pietro. Io so. Sii capace di ubbidire come lo è tua moglie e Marziam stesso. Faremo con lui la seconda Pasqua, al quattordicesimo del secondo mese. E saremo così felici, allora. Te lo prometto».
Pietro fa una mossa come per dire: «Rassegnamoci», ma non obbietta nulla.
L’ultimo brano ci mostra il desiderio di Pietro di rivedere la moglie.
634. Marziam, come tutti i molto giovani d’anni, è meno timoroso con Gesù degli altri e si abbandona all’abbraccio di Gesù, ora che è certo che Gesù non è in collera con lui, con tutta confidenza. Anzi si rifugia tutto, come un pulcino sotto l’ala materna, nel cerchio del braccio che lo stringe a Sé e, col cessare dell’affanno che lo faceva triste e inquieto da tanti giorni, si addormenta beato.
«È un fanciullo ancora», osserva lo Zelote.
«Sì. Ma quanta pena ha avuto! Me lo disse Porfirea quando, avvisata da Giuseppe di Tiberiade, me lo condusse», gli risponde Pietro. Poi, al Maestro: «Anche Porfirea a Gerusalemme?». Quanto desiderio nella voce di Pietro!
«Tutte. Le voglio benedire prima di salire al Padre mio. Hanno servito anche esse, e molte volte meglio degli uomini».
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