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17 settembre 2022

LUISA PICCARRETA (1865-1947)

 

 

SCRITTI DELLA PICCARRETA CONSIGLIABILI?


    No! Questa la mia lapidaria risposta. Una risposta che cerca di mettere in pratica quanto il Signore dice in Mt 5,37: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno».

    Se sono così categorico non è per partito preso o perché non attribuisca per principio alcuna utilità alle rivelazioni “private”, ma perché in passato ebbi modo di leggerne alcune centinaia di pagine e ricordo chiaramente che non ne ricavai una “buona impressione”. Più precisamente, visionai rapidamente i volumetti intitolati Libri di cielo e, giunto all’inizio del volume 13°, ritenni che poteva bastare.

    Ora, non è mia intenzione presentare qui un’analisi minuziosa e particolareggiata di tutti i numerosi passaggi “critici” in cui mi sono imbattuto, ma soltanto mostrare brevemente con degli esempi perché tali scritti sono da evitare da parte di chi cerca un sano nutrimento per la propria vita spirituale.

    Prima di iniziare, però, credo opportuno rimarcare che la mia valutazione riguarda gli scritti della Piccarreta e non la sua persona.

    Inizio la rassegna con il riportare subito il passaggio all’inizio del volume 13° (il grassetto è mio) che mi ha portato ad interrompere la lettura.


VOLUME 13°

    [2 giugno 1921] E Gesù: “Figlia mia, […] tu devi sapere che Io, nel venire sulla terra, venni a manifestare la mia dottrina celeste, a far conoscere la mia Umanità, la mia Patria e l’ordine che la creatura doveva tenere per raggiungere il Cielo, in una parola, il Vangelo; ma della mia Volontà quasi nulla o pochissimo dissi, quasi la sorvolai, facendo capire che la cosa che più m’importava era la Volontà del Padre mio. Dei suoi pregi, della sua altezza e grandezza, dei grandi beni che la creatura riceve col vivere nel mio Volere, quasi nulla dissi, perché la creatura, essendo troppo bambina nelle cose celesti, non avrebbe capito nulla; solo le insegnai a pregare: «Fiat Voluntas tua, sicut in Cœlo et in terra», affinché si disponesse a conoscere questa mia Volontà per amarla e farla, e quindi ricevere i beni che Essa contiene. Ora, ciò che dovevo fare allora, gli insegnamenti che dovevo dare a tutti sulla mia Volontà, li ho dati a te, sicché col farli conoscere non fai altro che supplire a ciò che dovevo fare Io stando in terra, come compimento della mia venuta. Quindi, non vuoi tu che compia lo scopo della mia venuta sulla terra? Perciò lascia fare a Me; Io vigilerò tutto e disporrò tutto, e tu seguimi e sta’ in pace.”

    In questo brano ci sono molte cose “fuori posto”, ma è l’insieme che sconcerta.

    Mi limito qui a porre solo qualche domanda e a riportare, per un confronto, i tre numeri del Catechismo della Chiesa Cattolica che offrono una buona sintesi sulla differenza tra la Rivelazione e le rivelazioni private.


    Domande:

    - Gesù è venuto sulla terra per manifestare la sua dottrina o quella del Padre?

    - Gesù è venuto a far conoscere la sua umanità?

    - Ha senso dire che Gesù non ha detto quasi nulla della sua Volontà?

    - Si parla di vivere nel Volere del Figlio. Ma vivere nel Figlio o in Cristo non andava bene?

    - Gli Apostoli, ai quali fu affidata la Parola di Dio da Cristo Signore e dallo Spirito Santo (cf. CCC, n. 81), non erano in grado di riceverla?

    - Gesù, venendo sulla terra, non ha fatto ciò che pure doveva fare?

    - La Piccarreta supplirebbe alla mancanza di Gesù, facendo sì che lo scopo della sua venuta sulla terra finalmente si compia?

    - Ma per secoli e secoli che cristianesimo avremmo vissuto se Gesù fino alla Piccarreta non aveva ancora compiuto lo scopo per cui era venuto?

    - È dunque con la Piccarreta, e non con la morte dell’ultimo Apostolo, che avrebbe termine la Rivelazione?


CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA


Dio ha detto tutto nel suo Verbo

65 «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella. San Giovanni della Croce, sulle orme di tanti altri, esprime ciò in maniera luminosa, commentando Eb 1,1-2:

«Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire. [...] Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, ce l'ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse o novità al di fuori di lui».[1]


Non ci sarà altra rivelazione

66 «L'economia cristiana, in quanto è Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non c'è da aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo».[2] Tuttavia, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli.

67 Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni chiamate «private», alcune delle quali sono state riconosciute dall'autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di «migliorare» o di «completare» la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa.

    La fede cristiana non può accettare «rivelazioni» che pretendono di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette che si fondano su tali «rivelazioni».

 

    Sempre a proposito delle rivelazioni “private”, la Chiesa insegna che la fede in tali rivelazioni non è, e non può essere, la fede divina e cattolica, la quale è basata sulla Rivelazione, ma una fede umana.



   «L'insegnamento della Chiesa distingue fra la “rivelazione pubblica” e le “rivelazioni private”. Fra le due realtà vi è una differenza non solo di grado ma di essenza. […]
    

    1. L'autorità delle rivelazioni private è essenzialmente diversa dall'unica rivelazione pubblica: questa esige la nostra fede; in essa infatti per mezzo di parole umane e della mediazione della comunità vivente della Chiesa Dio stesso parla a noi. La fede in Dio e nella sua Parola si distingue da ogni altra fede, fiducia, opinione umana. La certezza che Dio parla mi dà la sicurezza che incontro la verità stessa e così una certezza, che non può verificarsi in nessuna forma umana di conoscenza. È la certezza, sulla quale edifico la mia vita e alla quale mi affido morendo. 

    

    2. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché mi rimanda all'unica rivelazione pubblica. Il Cardinale Prospero Lambertini, futuro Papa Benedetto XIV, dice al riguardo nel suo trattato classico, divenuto poi normativo sulle beatificazioni e canonizzazioni: “Un assentimento di fede cattolica non è dovuto a rivelazioni approvate in tal modo; non è neppure possibile. Queste rivelazioni domandano piuttosto un assentimento di fede umana conforme alle regole della prudenza, che ce le presenta come probabili e piamente credibili”. Il teologo fiammingo E. Dhanis, eminente conoscitore di questa materia, afferma sinteticamente che l'approvazione ecclesiale di una rivelazione privata contiene tre elementi: il messaggio relativo non contiene nulla che contrasta la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico, ed i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione (E. Dhanis, Sguardo su Fatima e bilancio di una discussione, in: La Civiltà Cattolica 104, 1953 II. 392-406, in particolare 397). Un tale messaggio può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell'ora attuale; perciò non lo si deve trascurare. È un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso».[3]

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[1] San Giovanni della Croce, Subida del monte Carmelo, 2, 22, 3-5: Biblioteca Mistica Carmelitana, v. 11 (Burgos 1929) p. 184.

[2] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 4: AAS 58 (1966) 819.

[3] J. Ratzinger, Commento teologico al messaggio di Fatima, 2000: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000626_message-fatima_it.html


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