SCRITTI DELLA PICCARRETA CONSIGLIABILI?
(quinta parte)
Nei testi della Piccarreta si parla del vivere nel “Divin Volere” come il punto più alto della vita spirituale, come del vertice della mistica. Tuttavia, dal modo in cui poi ne tratta in tanti brani, sembrerebbe una modalità operativa umana più che divina. Sembra, infatti, che l’entrare nella “Divin Volontà” e operare in essa dipenda dalla creatura, che sia un qualcosa alla sua portata.
Inoltre, sembrerebbe che non sia necessario essere già piuttosto purificati per entrare nella mistica.
[25 luglio 1917] E Gesù: “Tu devi sapere che l’atto più nobile, più sublime, più grande, più eroico è fare la mia Volontà e operare nel mio Volere; quindi a quest’atto, che nessun altro atto potrà eguagliare, Io faccio pompa di tutto il mio amore e generosità, e non appena l’anima si decide a farlo, Io, per darle l’onore di tenerla nel mio Volere, nell’atto che i due voleri s’incontrano per fondersi uno nell’altro e farne uno solo, se è macchiata la purifico, se le spine della natura umana la involgono, le frantumo, e se qualche chiodo la trafiggesse, cioè il peccato, Io lo spolverizzo, perché niente di male può entrare nella mia Volontà; anzi, tutti i miei attributi la investono e cambiano la debolezza in fortezza, l’ignoranza in sapienza, la miseria in ricchezza, e così di tutto il resto. Negli altri atti rimane sempre qualcosa di sé, ma in questo rimane spogliata di tutta se stessa ed Io la riempio tutta di Me”.
Testi come questo fanno comprendere perché si incontrano poi persone che pensano basti dire: “faccio questo nella Divin Volontà” ed è fatta. Ovviamente, queste persone nemmeno si rendono conto di quello che dicono e sono per lo più incapaci di andare oltre la ripetizione di frasi fatte alle quali non sanno associare un contenuto intelligibile. Altre, più riflessive, non si capacitano invece sul come fare le cose nella “Divin Volontà” e, prima ancora, si chiedono che cosa esattamente dovrebbero fare.
Cos’è che Dio vuole, quale il contenuto della sua Volontà?
Basta fare qualsiasi cosa e dire: lo faccio nella tua Divin Volontà?
Secondo santa Teresa d’Avila, «per divenire vere anime di Dio non basta volerlo» (Castello interiore III,1,6). La spiritualità cattolica, infatti, insegna che ordinariamente il cammino per arrivare alla vetta è lungo e faticoso e passa per un percorso ascetico finalizzato all’acquisizione e crescita delle virtù.
Lo stesso dottore mistico san Giovanni della Croce parla di uno stato purificativo che precede quello illuminativo e quello unitivo (cf. CB, argomento). E proprio perché il cammino è graduale, il santo carmelitano ritiene fondamentale fornire i criteri per poter discernere se per un’anima sia arrivato il tempo di cominciare a "lasciare a Dio le operazioni".
Se è infatti vero che la perfezione è nella passività all’azione divina, è anche vero che smettere di operare prima del tempo comporterebbe il rimanere in ozio e perciò il tornare indietro. Il passaggio dalla cosiddetta fase ascetica a quella mistica o passiva, anch’essa graduale, è una fase piuttosto delicata. Tuttavia, non ci sono dubbi per Giovanni sul fatto che tale passaggio (da principiante a proficiente) supera le possibilità umane.
«Infatti, anche se il principiante si esercita molto nel mortificare in sé tutte queste sue azioni e passioni, non vi riuscirà mai del tutto, neppure ad avvicinarsi finché Dio non lo farà in lui passivamente per mezzo della purificazione della notte suddetta» (1N 7,5).
Il quando dipende da Dio, ma è necessario «però che l’anima da parte sua faccia quanto può per purificarsi e per perfezionarsi onde meritare dal Signore di essere sottoposta a quella cura divina mediante la quale Egli la risana da quelle imperfezioni da cui ella non era riuscita a liberarsi del tutto» (1N 3,3).
Ma la Piccarreta sembra insistere nell’indicare altro:
[16 febbraio 1921] Mentre stavo pensando al santo Volere Divino, il mio dolce Gesù mi ha detto: “Figlia mia, per entrare nel mio Volere non ci sono vie, né porte, né chiavi, perché il mio Volere si trova da per tutto, scorre sotto i piedi, a destra e a sinistra, sopra il capo e dovunque. La creatura non deve fare altro che togliere la pietruccia della sua volontà, che, ad onta che sta nel mio Volere, non prende parte né gode dei suoi effetti, rendendosi come estranea nel mio Volere, perché la pietruccia della sua volontà le impedisce come all’acqua di scorrere dal lido per correre altrove, perché le pietre glielo impediscono; ma se l’anima toglie la pietruccia della sua volontà, nel medesimo istante lei scorre in Me ed Io in lei; trova tutti i miei beni a sua disposizione, forza, luce, aiuto, ciò che vuole. Ecco perché non ci sono vie, né porte, né chiavi; basta che si voglia e tutto è fatto. Il mio Volere prende l’impegno di tutto e di darle ciò che le manca, e la fa spaziare nei confini interminabili della mia Volontà.
Tutto al contrario per le altre virtù: quanti sforzi ci vogliono, quanti combattimenti, quante vie lunghe! E mentre pare che la virtù le sorrida, una passione un po’ violenta, una tentazione, un incontro inaspettato, la sbalzano indietro e la mettono da capo a fare la via”.
Togliere la pietruccia della volontà non è così semplice. Anzi, con le nostre sole forze è impossibile. Santa Teresa di Lisieux, che ebbe fin da piccola la grazia di capirne l’importanza, pregava il Signore «di toglierle la libertà, perché la libertà le faceva paura, lei si sentiva così debole, così fragile, che voleva unirsi per sempre alla Forza divina!» (Scritto autobiografico A, n. 109).
E prima di lei, santa Teresa d’Avila scrive:
«Sappiamo già cosa vuol dire unione: due cose distinte congiunte in una» (Vita 18,3).
«Dall’alto si scoprono molte cose; ed ella vede il nulla dei beni terreni e la poca stima che si meritano. Non vuol più avere alcuna propria volontà, supplica il Signore a toglierle il libero arbitrio e gliene rimette le chiavi. Il giardiniere si è trasformato in capitano, non vuol far altro che il volere di Dio, non essere padrone di sé, né di alcun altra cosa, neppure di un frutto del giardino. Se in esso vi è qualcosa di buono, Sua Maestà lo distribuisca come vuole, perché non vuol più nulla di proprio, ma solo abbandonarsi a ciò che Dio crede più conforme alla sua gloria e volontà» (Vita 20,22).
Secondo la santa spagnola occorre prima esercitarsi nell’obbedienza e allora, «fatti padroni di noi stessi, potremo consacrarci a Lui perfettamente, offrendogli una volontà pura affinché l’unisca alla sua» (Fondazioni 5,12).
Dunque, bisogna prima esercitarsi. Bisogna cioè che cerchiamo di conoscere, non senza l’aiuto di Dio, ciò che il Signore ci ha rivelato e ci sforziamo di metterlo in pratica. La prima cosa possiamo farla meditando il Vangelo, approfondendo la nostra conoscenza della dottrina autenticamente cattolica, leggendo qualche classico della spiritualità; per il secondo punto, invece, abbiamo l’aiuto dei sacramenti e dei sacramentali, le pie devozioni, ecc. Inoltre, non dobbiamo dimenticare l’aiuto che ci può venire da una buona guida spirituale.
Nonostante il nostro impegno, però, occorrerà comunque un intervento speciale di Dio per mutare in divina la modalità del nostro operare.
[27 marzo 1918] Gesù mi ha detto: “Figlia mia, […] non uscire mai dal mio Volere ed Io ti farò giungere dove vuoi, anzi, tra te e Me ci passerà tale elettricità di comunicazione, che tu non farai nessun atto senza di Me ed Io non farò nessun atto senza di te. Sicché, quando ti manca qualche cosa, entra nella mia Volontà e troverai pronto ciò che vuoi, quante Messe vuoi, quante Comunioni vuoi, quanto amore vuoi; nella mia Volontà nulla manca. Non solo, ma troverai le cose in modo divino e infinito”.
La caratteristica della vita mistica, lo abbiamo sopra ricordato, è data dal fatto che è Dio a sempre più operare nell’anima e quest’ultima diviene sempre più passiva. Quando ad agire è Dio, il compito dell’anima è “soltanto” quello di lasciarlo operare senza frapporre ostacoli.
Pertanto, chi dice: “quando ti manca qualche cosa, entra nella mia Volontà e troverai pronto ciò che vuoi”, sta indicando all’anima una modalità operativa umana. È infatti l’anima che è chiamata a valutare ciò che le serve ed è la stessa anima che entra di sua iniziativa in Dio per prendere ciò di cui pensa di avere bisogno. Praticamente, è lei che si dirige da sola e in qualche modo Dio sarebbe a sua disposizione.
Poi aggiunge che nella sua Volontà non soltanto troverebbe tutto, ma lo troverebbe “in modo divino e infinito”. E allora per quale motivo cercare i sacramenti, che per contrapposizione si suppongono essere invece umani e finiti?
E infatti qualche mese dopo le dice:
[4 dicembre 1918] “quando ti vedo andare in cerca di Me nei tabernacoli delle chiese Io ti dico: non sei tu la mia vera prigione d’amore per Me? Cercami nel tuo cuore ed amami”.
A che pro una simile affermazione?
Ora, che Dio non sia «legato ai suoi sacramenti» (CCC, n. 1257) è risaputo, ma è anche vero che «mediante la passione di Cristo noi siamo stati liberati […] partecipando noi alla sua passione mediante la fede, la carità e i sacramenti della fede» (Ibid. III, q. 49, a. 5).
«In questo tempo della Chiesa, Cristo vive e agisce ormai nella sua Chiesa e con essa in una maniera nuova, propria di questo tempo nuovo. Egli agisce per mezzo dei sacramenti; è ciò che la tradizione comune dell'Oriente e dell'Occidente chiama “l’economia sacramentale”; questa consiste nella comunicazione (o “dispensazione”) dei frutti del mistero pasquale di Cristo nella celebrazione della liturgia “sacramentale” della Chiesa» (CCC, n. 1076).
L’Eucaristia, poi, «sacramento dei sacramenti» (CCC, n. 1330), «è “fonte e culmine di tutta la vita cristiana”.[1] […] Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua”.[2]» (CCC, n. 1324).
[26 dicembre 1919] Stavo pensando tra me: “Come può essere che il fare la Volontà di Dio oltrepassi gli stessi sacramenti?”, e Gesù, movendosi nel mio interno, mi ha detto: “Figlia mia, e perché i sacramenti si chiamano sacramenti? Perché sono sacri, hanno il valore e il potere di conferire la Grazia, la santità. Però questi sacramenti agiscono secondo le disposizioni delle creature, tanto che molte volte restano anche infruttuosi, senza poter conferire i beni che contengono. Ora, la mia Volontà è sacra e santa e contiene tutta la virtù di tutti i sacramenti insieme. Non solo non deve lavorare a disporre l’anima a ricevere i beni che contiene questa mia Volontà, ma non appena l’anima si è disposta a fare la mia Volontà, si è già disposta da sé, e la mia Volontà, trovandola in tutto preparata e disposta, anche a costo di qualunque sacrificio, senza indugio si comunica all’anima, versa i beni che contiene e vi forma gli eroi, i martiri del Divin Volere, i portenti più inauditi.
E poi, che fanno i sacramenti, se non unire l’anima con Dio? Che cosa è fare la mia Volontà? Non è forse unire la volontà della creatura col suo Creatore, sperdersi nel Volere Eterno, il nulla salire al Tutto e il Tutto discendere nel nulla? È l’atto più nobile, più divino, più puro, più bello, più eroico che la creatura può fare. Ah, sì, te lo confermo, te lo ripeto: la mia Volontà è Sacramento e oltrepassa tutti i sacramenti insieme, ma in modo più ammirabile, senza intermedio di nessuno, senza alcuna materia. Il sacramento della mia Volontà si forma tra la Volontà mia e quella dell’anima: le due volontà si annodano insieme e formano il sacramento. La mia Volontà è vita e l’anima è già disposta a ricevere la vita, è santa e [l’anima] riceve la santità, è forte e [l’anima] riceve la fortezza, e così di tutto il resto. Invece, gli altri miei sacramenti, quanto devono lavorare per disporre le anime, se pure ci riescono.
Questi canali che ho lasciato alla mia Chiesa, quante volte restano malmenati, disprezzati, conculcati! […] Ah, sì, solo il sacramento della mia Volontà può cantare gloria e vittoria. È pieno nei suoi effetti ed intangibile, non può essere offeso dalla creatura, perché per entrare nella mia Volontà deve deporre la sua volontà, le sue passioni, e allora la mia Volontà si abbassa a lei, la investe, la immedesima e ne fa dei portenti. Perciò, quando parlo della mia Volontà vado in festa, non la finisco mai, è piena la mia gioia e non entra amarezza tra Me e l’anima; ma degli altri sacramenti il mio Cuore nuota nel dolore: l’uomo me li ha cambiati in fonti di amarezze, mentre Io li ho dati come tante fonti di Grazia”.
Domande: Lasciando da parte altre questioni,
ha senso parlare della Volontà divina come di un Sacramento (cf. CCC, nn. 515; 738; 774; ecc.)?
Dato che sacramento vuol dire segno e strumento (cf. CCC, n. 1111), in che modo la “Divin Volontà” lo sarebbe?
E poi perché subito dopo non basterebbe più ad esserlo, ma lo sarebbe in unione con la volontà dell’anima?
A scanso di equivoci, non stiamo qui affermando che la Piccarreta non riconosca il valore dei sacramenti, ma che i suoi scritti sono anche su questo punto per lo meno ambigui e possono perciò confondere e sviare.
E poi, di nuovo, la creatura sembra capace di disporsi completamente da sé. Quando Dio la trova “in tutto preparata e disposta, […] senza indugio si comunica all’anima”. Dio “non deve lavorare a disporre l’anima a ricevere i beni che contiene questa mia Volontà”. Una volta che l’anima ha deposto la sua volontà, le sue passioni, “allora la mia Volontà si abbassa a lei”.
Anche il paragone che riporta, oltre ad essere improprio, ribadisce il capovolgimento.
[20 giugno 1918] Gesù mi ha detto: “Figlia mia, […] ciò che fa il sacerdote sull’ostia Io lo faccio con loro. E non una volta, ma ogni qual volta ripete gli atti nella mia Volontà, come calamita potente mi chiama ed Io, quale ostia privilegiata, me la consacro, le vado ripetendo le parole della Consacrazione, e questo lo faccio con giustizia, perché l’anima, col fare la mia Volontà, si sacrifica di più di quelle anime che fanno la Comunione e non fanno la mia Volontà. […] Io non posso aspettare, il mio Amore non resiste, per comunicarmi loro quando al sacerdote fa comodo di dar loro un’ostia sacramentale; perciò faccio tutto da Me. Oh, quante volte mi comunico prima che il sacerdote si senta comodo di comunicarla lui! Se ciò non fosse, il mio Amore resterebbe come inceppato e legato nei sacramenti. No, no, Io sono libero; i sacramenti li ho nel mio Cuore, ne sono il padrone e posso esercitarli quando voglio”.
E mentre ciò diceva, pareva che girava dappertutto, per vedere se ci fossero anime che facessero la sua Volontà per consacrarle. Come era bello vedere l’amabile Gesù girare come in fretta, per fare l’ufficio di sacerdote, e sentirlo ripetere le parole della Consacrazione su quelle anime che facevano e vivevano nel suo Volere! Oh, beate quelle anime che subiscono la consacrazione di Gesù, facendo il suo SS. Volere!
Dunque, non è la consacrazione di Gesù che fa vivere le anime nel suo “Divin Volere”, ma è perché compiono il suo “Divin Volere” che le anime vengono consacrate. Il che è un po’ come dire che le ostie che il sacerdote consacra sono quelle che già sono il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù Cristo.
Va bene che gli scritti della Piccarreta rientrano in un genere che consente “libertà poetiche”, tuttavia riteniamo per lo meno comprensibile il fatto che non tutti apprezzino paragoni come quello che segue.
[25 dicembre 1920] “Figlia mia, […] la mia sorte sacramentale è più dura ancora della mia sorte infantile. La grotta, sebbene fredda, era spaziosa, aveva un’aria da respirare; l’ostia è anche fredda e tanto piccola, che quasi mi manca l’aria. Nella grotta ebbi una mangiatoia con un poco di fieno per letto; nella mia vita sacramentale anche il fieno mi manca e per letto non ho altro che metalli duri e gelati”.
A quanto pare, alla Piccarreta sembra non andar bene neppure l’umiltà. Secondo lei, infatti, sarebbe di più e meglio per l’anima mettersi nel “suo vero nulla”.
[6 dicembre 1917] Gesù mi ha detto: “[…] E poi l’anima si mette nel suo vero nulla (non nell’umiltà, che sempre si sente qualche cosa di se stessa) e come nulla entra nel Tutto e opera con Me, in Me e come Me, tutta spogliata di sé, non badando né a merito, né a interesse proprio, ma tutta intenta solo a rendermi contento, dandomi padronanza assoluta dei suoi atti, senza voler sapere di quello che ne faccio. Solo un pensiero la occupa, di vivere nel mio Volere, pregandomi che gliene dia l’onore. Ecco perché l’amo tanto e tutte le mie predilezioni e il mio amore sono per quest’anima che vive nel mio Volere; e se amo gli altri, è in virtù dell’amore che le voglio e che scende da quest’anima, come il Padre ama le creature in virtù dell’amore che vuole a Me”.
Lasciando da parte l’ultimo periodo che meriterebbe un discorso troppo lungo, cosa dobbiamo pensare di quanto dice a proposito dell’umiltà?
Di Maria, lo sappiamo, il Signore «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48).
[23 marzo 1921] “Figlia mia, […] Io girai e rigirai la terra, guardai una per una tutte le creature, per trovare la più piccola fra tutte. Fra tante trovai te, la più piccola fra tutte. La tua piccolezza mi piacque e ti scelsi, ti affidai ai miei angeli, affinché ti custodissero, non per farti grande, ma perché custodissero la tua piccolezza, e ora voglio incominciare la grande opera del compimento della mia Volontà; né con ciò ti sentirai più grande, anzi, la mia Volontà ti farà più piccola e continuerai ad essere la piccola figlia del tuo Gesù, la piccola figlia della mia Volontà”.
Viene il dubbio che, con il “vero nulla”, si voglia lasciar intendere che esista una piccolezza maggiore di quella proveniente dall’umiltà.
In realtà, però, come potrebbe operare un’anima che come nulla entrasse nel Tutto? Il nulla non è e non opera.
Si potrà obiettare che è solo un modo per dire che la creatura è nulla senza il creatore e non che è nulla in senso assoluto. Va bene, ma allora il “vero nulla” è esattamente quello indicato dall’umiltà che, come regola direttiva, ha la conoscenza di sé. «Nel conoscere quello che l’uomo può e quello che posso io, - dice il Signore a santa Teresa d’Avila - sta la vera umiltà» (Relazioni spirituali 28).
Non è perciò un problema per l’anima il riconoscimento della bontà in sé (sentire qualche cosa di se stessa) quando questo riconoscimento la porta a magnificare il Signore. D’altronde, nel secondo brano anche la Piccarreta dice che Dio cerca la creatura più piccola. E la piccolezza, per quanto piccola, è pur sempre qualcosa. Come pure dice, giustamente, che non riconoscere i doni di Dio [5 dicembre 1921] “è una somma ingratitudine”.
E allora a che pro confondere parlando di “vero nulla” in contrapposizione all’umiltà?
Nella spiritualità cattolica è infatti chiarissimo il ruolo centrale dell’umiltà.
«“La preghiera - leggiamo nel Catechismo - è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti”.[3] Da dove partiamo pregando? Dall’altezza del nostro orgoglio e della nostra volontà o “dal profondo” (Sal 130,1) di un cuore umile e contrito? È colui che si umilia ad essere esaltato.[4] L’umiltà è il fondamento della preghiera. “Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare” (Rm 8,26). L’umiltà è la disposizione necessaria per ricevere gratuitamente il dono della preghiera: l’uomo è un mendicante di Dio[5]» (CCC, n. 2559).
L’umiltà «rende l’uomo sottomesso e aperto a ricevere l’infusione della grazia divina togliendo l’ostacolo della superbia. […] E in questo senso si dice che l’umiltà è il fondamento dell’edificio spirituale» (Ibid. II-II, q. 161, a. 5, ad 2). Lo è quale removens prohibens. L’umiltà è perciò, più precisamente, lo scavo che viene fatto per potervi poi gettare il fondamento che è la fede.
«L’uomo tanto più si eleva presso Dio quanto più a lui si sottomette con l’umiltà» (Ibid. II-II, q. 161, a. 2, ad 2).
Non c’è dubbio, pertanto, che quel che Gesù vuole è «l'umiltà del cuore» (santa Teresa di Gesù Bambino, lett. 140) che ci fa «convinte del nostro nulla» (Ibid., lett. 215).
Dopo aver invitato l’anima ad entrare nel Tutto come nulla, poco tempo dopo la Piccarreta aggiunge un’altra parola ambigua: scomparire.
[8 aprile 1918] Ritornando sul punto del vivere nel Volere Divino, mi era stato detto che era come vivere nello stato di unione con Dio, ed il mio sempre amabile Gesù nel venire mi ha detto: “Figlia mia, c’è gran differenza tra il vivere unito con Me e vivere nel mio Volere”. […]
“Ora, vivere unito con Me non è scomparire; si vedono due esseri insieme, e chi non scomparisce non può entrare nell’ambito dell’eternità per prendere parte a tutti gli atti divini. Pondera bene e vedrai la gran differenza”.
Ora, è vero che il termine scomparire lo si potrebbe mettere tra virgolette o comunque intendere in modo ortodosso, ma, anche qui, il problema è che tale termine viene esplicitamente contrapposto al termine corretto, vale a dire “unito”. Secondo questo brano della Piccarreta, infatti, vivere in unione con Dio non basterebbe.
Pertanto, se presa alla lettera, tale proposta “piccarretiana” sarebbe veramente una santità non ancora conosciuta in ambito cattolico, ma forse potrebbe esserlo già in una religione orientale. Nell’autentica spiritualità cattolica, infatti, si parla sempre e solo di unione con Dio.
«La missione dello Spirito di adozione sarà di unirli a Cristo e di farli vivere in lui» (CCC, n. 690).
«Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo» (CCC, n. 2014).
«Nell’unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, cioè la santità» (CCC, n. 1709).
Tale unione può essere più o meno forte, ma anche al vertice della vita spirituale rimane comunque sempre unione con Dio. Tanto che san Francesco di Sales scrive addirittura un capitolo sui diversi gradi di unione con Dio degli stessi beati (cf. Teotimo, libro III, cap. 15. Cf. anche CCC, n. 956).
Il dottore mistico san Giovanni della Croce, per fare un altro esempio, parla dell’alto stato di perfezione come «unione dell’anima con Dio» (S, argomento).
«L’anima che vuole pervenire all’unione totale con Dio, - afferma il mistico spagnolo - deve sbarazzarsi e liberarsi da tutti gli altri appetiti volontari anche se piccoli, sia da quelli più gravi, che tendono al peccato mortale, sia da quelli meno gravi, che spingono al peccato veniale, sia da quelli meno gravi ancora, che tendono alle imperfezioni. La ragione di ciò va ricercata nel fatto che questa unione consiste nella totale trasformazione della nostra volontà in quella di Dio di modo che in essa niente vi sia di contrario al volere dell'Altissimo, ma ogni suo atto dipenda totalmente dal beneplacito divino.
Per tale ragione affermo che in questo stato di unione non esistono più due volontà, ma una sola, quella di Dio, la quale è anche volontà dell'anima» (1S 11,2-3).
Certo che se si pensa che tutta la spiritualità cattolica parla di “unione con Dio” perché non ha conosciuto la nuova e superiore santità rivelata alla Piccarreta, allora c’è poco da argomentare.
Crediamo che le osservazioni critiche che abbiamo presentato, benché siano soltanto poco più che spunti di riflessione, siano sufficienti per mettere in guardia dall’attribuire troppa importanza a tali scritti in ordine alla propria formazione spirituale.
APPENDICE
Del Catechismo della Chiesa Cattolica riportiamo, come materiale utile per il confronto e il discernimento, un numero sulla preghiera e la spiegazione che esso offre sulla terza domanda del Padre nostro.
CCC, n. 2564: «La preghiera cristiana è una relazione di alleanza tra Dio e l'uomo in Cristo. È azione di Dio e dell'uomo; sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con la volontà umana del Figlio di Dio fatto uomo».
CCC, nn. 2822-2827:
III. «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»
2822 La volontà del Padre nostro è «che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4). Egli «usa pazienza [...], non volendo che alcuno perisca» (2 Pt 3,9).[6] Il suo comandamento, che compendia tutti gli altri e ci manifesta la sua volontà, è che ci amiamo gli uni gli altri, come egli ci ha amato.[7]
2823 «Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, aveva [...] prestabilito [...], il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose [...]. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà» (Ef 1,9-11). Noi chiediamo con insistenza che si realizzi pienamente questo disegno di benevolenza sulla terra, come già è realizzato in cielo.
2824 È in Cristo e mediante la sua volontà umana che la volontà del Padre è stata compiuta perfettamente e una volta per tutte. Gesù, entrando in questo mondo, ha detto: «Ecco, io vengo, [...] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7).[8] Solo Gesù può affermare: «Io faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,29). Nella preghiera della sua agonia, egli acconsente totalmente alla volontà del Padre: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà!» (Lc 22,42).[9] Ecco perché Gesù «ha dato se stesso per i nostri peccati [...] secondo la volontà di Dio» (Gal 1,4). «È appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo» (Eb 10,10).
2825 Gesù, «pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8); a maggior ragione, noi, creature e peccatori, diventati in lui figli di adozione. Noi chiediamo al Padre nostro di unire la nostra volontà a quella del Figlio suo per compiere la sua volontà, il suo disegno di salvezza per la vita del mondo. Noi siamo radicalmente incapaci di ciò, ma, uniti a Gesù e con la potenza del suo Santo Spirito, possiamo consegnare a lui la nostra volontà e decidere di scegliere ciò che sempre ha scelto il Figlio suo: fare ciò che piace al Padre:[10]
«Aderendo a Cristo, possiamo diventare un solo Spirito con lui e così compiere la sua volontà; in tal modo essa sarà fatta perfettamente in terra come in cielo».[11]
«Considerate come [Gesù Cristo] ci insegni ad essere umili, mostrandoci che la nostra virtù non dipende soltanto dai nostri sforzi, ma anche dalla grazia di Dio. Egli comanda ad ogni fedele che prega, di farlo con respiro universale, cioè per tutta la terra. Egli, infatti, non dice: "Sia fatta la tua volontà" in me o in voi, "ma in terra, su tutta la terra"; e ciò perché dalla terra sia eliminato l'errore e sulla terra regni la verità, sia distrutto il vizio, rifiorisca la virtù, e la terra non sia diversa dal cielo».[12]
2826 È mediante la preghiera che possiamo discernere la volontà di Dio[13] ed ottenere la costanza nel compierla.[14] Gesù ci insegna che si entra nel regno dei cieli non a forza di parole, ma facendo «la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21).
2827 «Se uno [...] fa la sua volontà, egli [Dio] lo ascolta» (Gv 9,31).[15] Tale è la potenza della preghiera della Chiesa nel nome del suo Signore, soprattutto nell'Eucaristia; essa è comunione di intercessione con la santissima Madre di Dio[16] e con tutti i santi che sono stati «graditi» al Signore per non aver voluto che la sua volontà:
«Possiamo anche, senza offendere la verità, dare alle parole: "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra" questo significato: sia fatta nella Chiesa come nel Signore nostro Gesù Cristo; sia fatta nella Sposa, che a lui è stata fidanzata, come nello Sposo che ha compiuto la volontà del Padre».[17]
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1) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11: AAS 57 (1965) 15.
2) Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum ordinis, 5: AAS 58 (1966) 997.
3) San Giovanni Damasceno, Expositio fidei, 68 [De fide orthodoxa 3, 24]: PTS 12, 167 (PG 94, 1089).
4) Cf Lc 18,9-14.
5) Cf Sant'Agostino, Sermo 56, 6, 9: ed. P. Verbraken: Revue Bénédictine 68 (1958) 31 (PL 38, 381).
6) Cf Mt 18,14.
7) Cf Gv 13,34; 1 Gv 3; 4; Lc 10,25-37.
8) Cf Sal 40,8-9.
9) Cf Gv 4,34; 5,30; 6,38.
10) Cf Gv 8,29.
11) Origene, De oratione, 26, 3: GCS 3, 361 (PG 11, 501).
12) San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum homilia 19, 5: PG 57, 280.
13) Cf Rm 12,2; Ef 5,17.
14) Cf Eb 10,36.
15) Cf 1 Gv 5,14.
16) Cf Lc 1,38.49.
17) Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 2, 6, 24: CCL 35, 113 (PL 34, 1279).
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