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11 ottobre 2022

LUISA PICCARRETA (1865-1947) 4

 

 

SCRITTI DELLA PICCARRETA CONSIGLIABILI?

  (quarta parte) 


 

   Anche ammesso (e non concesso) che l’insegnamento della Piccarreta sia in tutto conforme alla dottrina cattolica, esso presenterebbe comunque una visione di Dio sbilanciata a motivo di una sottolineatura quasi esclusiva della sua Volontà.
    Tuttavia, come mostriamo di seguito, problematico non è soltanto lo sbilanciamento.

    [4 aprile 1912] Gesù è venuto e mi ha detto: “Figlia mia, la mia Volontà è il centro, le altre virtù sono la circonferenza”.

    La Piccarreta parla qui della volontà come di una virtù, ma la volontà propriamente è una facoltà (cf. CCC, nn. 1812-1813) e non una virtù. E così, analogamente, lo è anche in Dio.

    Analogamente perché Dio è assolutamente semplice nella sua assoluta perfezione e le sue operazioni si identificano con il suo stesso essere. Mentre per noi una cosa è essere e una cosa è pensare o volere, Dio è invece il suo stesso pensare, il suo stesso volere. In altre parole, Dio è il suo stesso operare sussistente.
    Se dunque noi distinguiamo in Dio la sua natura e i diversi tipi di operazioni che compie, lo facciamo perché è il modo che abbiamo per poter comprendere la perfezione di Dio che non siamo in grado di abbracciare con un nostro semplice atto intellettivo.
    Ora, come magistralmente spiega l’Aquinate, la scienza di Dio e la sua volontà rientrano tra le operazioni immanenti e la volontà è intimamente connessa con l’intelletto: «in ogni essere che ha l’intelletto c’è la volontà» (Tommaso d’Aquino, Somma di Teologia I, q. 19, a. 1).

    Questo fondamentale collegamento della volontà con l’intelletto lo ritroviamo in quella memorabile lezione magistrale tenuta dal Papa Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006. In quella lezione, il Papa ricorda che Dio è il Logos.

    «Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". […] Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. […]
    Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio. […]
    La fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 – certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo “λογικη λατρεία“ – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1)».

 

    [2 ottobre 1913] “La mia Volontà è tutto, tanto che gli stessi miei attributi, che sono? Un atto semplice della mia Volontà. Sicché se la giustizia, la bontà, la sapienza, la fortezza, fanno il loro corso, la mia Volontà le precede, le accompagna, le mette in atto di operare; insomma, non si spostano un punto dal mio Volere”.

    La problematica dovrebbe essere ormai chiara e, senza entrare qui in tanti dettagli che ci porterebbero a parlare anche della filosofia moderna e contemporanea, ricordiamo soltanto quanto abbiamo già ricordato sopra: la Volontà presuppone l’Intelletto ed entrambi presuppongono la Natura.
    
    Purtroppo, questo modo eufemisticamente impreciso di parlare di Dio continua nel tempo:

    [25 aprile 1918] “Cattivella mia, certo che sei cattiva: hai cattivato la mia volontà! Se cattivavi il mio amore, la mia Potenza, la mia Sapienza, ecc. cattivavi parte di Me, ma col cattivare la mia Volontà hai cattivato tutta la sostanza del mio Essere, che coronando tutte le mie Qualità, hai preso in uno tutto Me stesso”.

    [9 luglio 1918] “in Me la giustizia, la sapienza, la bontà, la fortezza, ecc. non sono altro che amore. Ma chi dirige questa fonte, questo amore e tutto il resto? Il mio Volere. Il mio Volere domina, regge, ordina, sicché tutte le mie qualità portano l’impronta del mio Volere, la vita della mia Volontà, e dove trovano il mio Volere fanno festa, si baciano insieme, ma dove no, corrucciate si ritirano”.


    Vero che la Piccarreta non ha studiato teologia e che il suo modo di esprimersi bisogna valutarlo tenendone conto, tuttavia rimane vero che teologicamente scrive delle “enormità” e le attribuisce direttamente al Signore.
    Volendo lasciare un po’ di spazio all’ironia, potremmo dire che il Dio che ha parlato a Mosè non si è rivelato come Io voglio ciò che voglio, ma come «Io sono colui che sono! […] Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi» (Es 3,14). E così pure Gesù nel Vangelo: «allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28), «prima che Abramo fosse, Io Sono» (Gv 8,58).

    Inoltre, ma questa non è una cosa importante, non sembra che il suo “argomentare” sia molto in linea con la spiritualità dell’Ordine di cui è terziaria.
    Per chi volesse veramente formarsi un quadro teologico sensato e chiaro sull’argomento, ci permettiamo di suggerire lo studio delle splendide questioni 3-26 della I parte della Somma di Teologia di san Tommaso d’Aquino (https://lnx.edizionistudiodomenicano.it/somma-teologica/prima-parte/files/assets/basic-html/index.html#Copertina).


    Continuiamo ora con la breve analisi di qualche altro brano presente nei volumi Libri di Cielo.

    [17 marzo 1914] “Figlia mia, chi fa la mia Volontà entra a parte delle azioni «ad intra» delle Divine Persone. Solo per chi fa il mio Volere è riservato questo privilegio, non solo di prendere parte a tutte le nostre opere «ad extra», ma da queste passa alle opere «ad intra». Ecco perché mi è duro non contentare chi vive del mio Volere”.

    Che senso dare all’ultima frase? Ha senso?    

    Invece, per quanto riguarda il prendere parte alle operazioni «ad intra» delle Divine Persone, riportiamo soltanto un brano di san Tommaso d’Aquino: 

    «Per una persona divina essere posseduta da una creatura, o trovarsi in una creatura in modo nuovo, è qualcosa di temporale. Perciò in Dio missione e donazione sono denominazioni soltanto temporali. Generazione e spirazione sono denominazioni esclusivamente eterne. Processione e uscita sono insieme temporali ed eterne» (Somma di Teologia I, q. 43, a. 2).

     Dopo aver ricevuto diverse critiche alle sue affermazioni sopra riportate, il Gesù che parla alla Piccarreta cerca di giustificarle:

    [29 giugno 1914] “E sebbene le nostre opere «ad intra» sono eterne, pure le creature godono degli effetti di quelle opere nella loro vita, a seconda del loro amore. Ora, che meraviglia è, se la volontà dell’anima è una con la Mia e, mettendola dentro di Me, si rende indissolubile (sempre fino a tanto che non si sposta dalla mia Volontà), se ho detto che prende parte alle opere «ad intra»? […]
    Perché dunque è stato sproposito, che ho detto che chi fa la mia Volontà prende parte alle azioni «ad intra»?”

    Semplicemente perché le operazioni «ad intra» (esclusivamente eterne) sono divine e noi non siamo Dio. È vero che noi siamo chiamati a partecipare alla vita divina, ma nella misura possibile ad una creatura. Dio ci chiama a divenire figli nel Figlio e non a divenire, cosa assurda, sic et simpliciter Dio.

    Domanda: Quali sarebbero dunque gli effetti delle operazioni «ad intra» sulle creature?

    Quello che invece possiamo dire, come spiega l’Aquinate, è che pur essendo il creare comune a tutta la Trinità, in qualche modo è vero che 

    «le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle rispettive processioni. Come infatti abbiamo dimostrato […], Dio è causa delle cose per mezzo del suo intelletto e della sua volontà, come l’artigiano nei confronti dei suoi manufatti. Ora, l’artigiano si pone all’opera servendosi di un verbo [parola intima o idea] concepito dall’intelligenza, e spinto da un amore [o inclinazione] della sua volontà verso un qualche oggetto. E così anche Dio Padre ha prodotto le creature per mezzo del suo Verbo, che è il Figlio, e per mezzo del suo Amore, che è lo Spirito Santo. E sotto questo aspetto le processioni delle Persone sono la ragione della produzione delle creature, in quanto esse includono gli attributi essenziali della scienza e della volontà» (Ibid. I, q. 45, a. 6). Cf. CCC, nn. 258-259.267.

    «Quindi nelle creature razionali, in cui si trovano la volontà e l’intelligenza, si ha una rappresentazione della Trinità a modo di immagine, in quanto si riscontra in esse un verbo mentale e un amore che ne deriva.
    Invece troviamo in tutte le creature la rappresentazione della Trinità a modo di vestigio, in quanto si trovano in ogni creatura degli aspetti che è necessario attribuire, come alla loro causa, alle Persone divine» (Ibid. I, q. 45, a. 7).

 

    Sempre a proposito di questioni teologiche riguardanti la Santissima Trinità, la Piccarreta scrive:

    [8 febbraio 1915] “Figlia mia, l’unione dei nostri voleri è tanta, da non distinguersi quale sia il volere dell’uno e quale quello dell’altro. È questa unione di Volontà che forma tutta la perfezione delle Tre Divine Persone, perché come siamo uniformi nella Volontà, questa uniformità porta uniformità di santità, di sapienza, di bellezza, di potenza, di amore e di tutto il resto del nostro Essere. Sicché Ci specchiamo a vicenda l’Uno nell’Altro, ed è tanto il nostro compiacimento nel guardarci, da renderci pienamente felici. Onde l’Uno riverbera nell’Altro, ed Uno scarica nell’Altro ogni qualità del nostro Essere, come tanti mari immensi, diversi di gaudi. Perciò, se qualche cosa fosse dissimile tra Noi, il nostro Essere non potrebbe essere perfetto né pienamente felice”.

    In realtà, la teologia cattolica insegna che in Dio non ci sono tre volontà e quindi tre voleri  tanto uniti da non distinguersi l’uno dall’altro, ma una sola volontà come pure un solo intelletto.
    Diversamente, infatti, dovremmo parlare di triteismo, cioè di tre dèi che vanno perfettamente d’accordo in quanto vogliono le stesse cose (unione di Volontà).

    Invece, come insegna il Magistero della Chiesa:

    «La Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dèi, ma un Dio solo in tre Persone: “la Trinità consostanziale”.[1] Le Persone divine non si dividono l’unica divinità, ma ciascuna di esse è Dio tutto intero: “Il Padre è tutto ciò che è il Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto alla natura”.[2] “Ognuna delle tre Persone è quella realtà, cioè la sostanza, l’essenza o la natura divina”[3]» (CCC, n. 253).

    «Infatti “tutto è una cosa sola in loro, dove non si opponga la relazione”[4]» (CCC, n. 255).

    [4 giugno 1919] Ed il mio dolce Gesù, con una luce che mi mandava all’intelletto, mi ha detto: “Figlia mia, le pene che mi diede la Divinità superano di gran lunga le pene che mi diedero le creature, sia nella potenza come nell’intensità, molteplicità e lunghezza di tempo, ma però non ci fu ingiustizia, né odio, ma sommo amore e accordo reciproco di tutte e Tre le Divine Persone, impegno che Io avevo preso su di Me, di salvare le anime a costo di subire tante morti per quante creature uscivano fuori alla luce della Creazione e che il Padre con sommo amore mi aveva accordato.

    Di nuovo si parla di "accordo reciproco" (= incontro di volontà) delle Persone divine.

    Inoltre, per quanto riguarda il discorso sulla passione ricevuta da Gesù da parte della divinità, le pene che mi diede la Divinità superano di gran lunga le pene che mi diedero le creature, bisognerebbe ricordare quanto insegna il Catechismo:

     «Cristo ha due volontà e due operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti, in modo che il Verbo fatto carne ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che ha divinamente deciso con il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza. [5] La volontà umana di Cristo “segue, senza opposizione o riluttanza, o meglio, è sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente”[6]» (CCC, n. 475).

    «Cristo, essendo vero Dio e vero uomo, ha una intelligenza e una volontà umane, perfettamente armonizzate e sottomesse alla sua intelligenza e alla sua volontà divine, che egli ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo» (CCC, n. 482).

    Pertanto, sarebbe forse meglio parlare di "passione della divinità". È Dio, è la persona del Verbo, che subisce la passione. 

    «Da cui le parole di Cirillo: “Se uno si rifiuta di confessare che il Verbo di Dio ha sofferto ed è stato crocifisso nella carne, sia scomunicato”. Perciò la passione di Cristo va attribuita al supposito di natura divina in forza della natura passibile che assunse, non già in forza della natura divina impassibile» (Tommaso d’Aquino, Somma di Teologia III, q. 46, a. 12).

 
    In proposito può essere interessante conoscere l’opinione dell’Aquinate, per il quale

    «se parliamo dei patimenti propri delle varie potenze, è chiaro che Cristo soffrì nelle sue potenze inferiori, poiché in ciascuna di esse, fatte per agire nell’ambito delle realtà temporali, si riscontrava qualcosa che causava il dolore di Cristo, come si è dimostrato sopra. Invece la ragione superiore in Cristo non soffriva nulla dalla parte dell’oggetto, cioè di Dio, il quale non era per l’anima di Cristo causa di dolore, bensì di godimento e di gioia. – Se poi consideriamo la sofferenza che una potenza può ricevere a motivo del soggetto in cui risiede, allora tutte le potenze dell’anima di Cristo soffrivano. Queste infatti sono tutte radicate nell’essenza dell’anima, che veniva raggiunta dalla passione per il patire del corpo di cui è l’atto» (Ibid. III, q. 46, a. 7).

    «In quanto Dio, Cristo consegnò se stesso alla morte con il medesimo atto di volontà con cui lo consegnò il Padre. In quanto uomo invece consegnò se stesso con un volere che era ispirato dal Padre» (Ibid. III, q. 47, a. 3, ad 2).


    «Cristo, accettando la passione per carità e obbedienza, offrì a Dio un bene superiore a quello richiesto per compensare tutte le offese del genere umano. Primo, per la grandezza della carità con la quale volle soffrire. Secondo, per la dignità della sua vita, che era la vita dell’uomo-Dio, e che egli offriva come soddisfazione. Terzo, per l’universalità delle sue sofferenze e la grandezza dei dolori accettati, di cui sopra abbiamo parlato. Perciò la passione di Cristo fu una soddisfazione non solo sufficiente per i peccati del genere umano, ma anche sovrabbondante» (Ibid. III, q. 48, a. 2).

    Si comprende, pertanto, che la passione di Cristo è unica e non replicabile da nessuna creatura proprio perché non è la passione di una semplice creatura.

    «Essendo l’umanità di Cristo “strumento della divinità”, ne segue che tutte le azioni e sofferenze di Cristo producevano strumentalmente, in virtù della divinità, la salvezza dell’uomo. E in questo modo la passione di Cristo è la causa efficiente della salvezza umana» (Ibid. III, q. 48, a. 6).

 

    Da quel che abbiamo spiegato, ciascuno dovrebbe comprendere da sé il "valore" della seguente rivelazione piccarretiana.

     [14 marzo 1919] “Figlia mia, siccome ti ho scelto per prima a fare vita nel mio Volere, voglio che anche tu prenda parte alle pene che riceveva la mia Umanità dalla Divinità, nella mia Volontà. Ogni qual volta entrerai nel mio Volere troverai le pene che mi diede la Divinità, non quelle che mi diedero le creature, che, sebbene volute anche dalla Volontà Eterna, siccome me le diedero le creature, erano in modo finito. Perciò ti voglio nel mio Volere, dove troverai pene in modo infinito ed innumerevoli; avrai chiodi senza numero, molteplici corone di spine, morti ripetute, pene senza termine, tutte simili alle mie, in modo divino ed immense, che si estenderanno in modo infinito a tutti, passati, presenti e futuri. Sarai la prima che, non numerate volte, come quelli che partecipano alle piaghe della mia Umanità, ma tante volte quante me ne fece soffrire la mia Divinità, insieme con Me sarai l’agnellina uccisa dalle mani del Padre mio, per risorgere ed essere uccisa di nuovo”.

 

    Concludiamo riportando un'altra dottrina eufemisticamente problematica:

    [13 febbraio 1919] Continuando il mio solito stato, cercavo con ansia il mio sempre amabile Gesù, e Lui tutto bontà è venuto e mi ha detto: “Figlia diletta del mio Volere, vuoi venire nella mia Volontà a sostituire in modo divino tanti atti non fatti dagli altri nostri fratelli, tanti altri fatti umanamente e altri atti, santi, sì, ma umani e non in ordine divino? […] Gli stessi santi si uniscono con Me e fanno festa, e aspettano con ardore che una loro sorella sostituisca gli stessi atti loro, santi nell’ordine umano, ma non nell’ordine divino. Mi pregano che subito faccia entrare in questo ambiente divino la creatura e che tutti i loro atti siano sostituiti solo col Volere Divino e con l’impronta dell’Eterno. L’ho fatto Io per tutti; ora voglio che lo faccia tu per tutti”.

    Al di là delle numerose questioni che così poche righe riescono a sollevare, facciamo qui una sola domanda: può essere una persona umana a elevare (tra l'altro sostituendoli) gli atti delle altre persone alla modalità divina? Non è questo possibile soltanto alla divinità, “appropriatamente” allo Spirito Santo?

    San Tommaso insegna che

    «nessun altro effetto, all'infuori della grazia santificante, può far sì che una persona divina sia presente in un modo nuovo nella creatura razionale» (Ibid. I, q. 43, a. 3) e «l’uomo […] non può causare la grazia» (Ibid. I, q. 43, a. 8), come pure «non è possibile che una creatura abbia la facoltà di creare, né per virtù propria, né come strumento o per delega» (Ibid. I, q. 45, a. 5). 

    In altre parole, per quanto una creatura possa partecipare alla vita divina, Dio è soltanto uno: Credo in unum Deum.

    Ma le rivelazioni piccarretiane non si lasciano scalfire dalle critiche e proseguono imperterrite a navigare nello stesso brodo.

    [7 gennaio 1921] “Tu non sarai altro che il suono della mia voce, la portatrice del mio Volere, la distruttrice delle virtù in modo umano e colei che farà risorgere le virtù in modo divino, improntate da un punto eterno, immenso, infinito. […] come la Creazione uscì dal «FIAT», così nel «FIAT» sarà completata. Sicché solo le figlie del mio Volere nel «FIAT» completeranno tutto, e nel «FIAT» mio, che prenderà vita in loro, avrò amore, gloria, riparazione, ringraziamenti e lode completa, per tutto e per tutti”.


    Per finire un “indovinello”:

    [10 gennaio 1921] “E poi, credi tu che sia cosa da nulla e facile spostarti da dentro il mio Volere? Sposteresti un punto eterno e, se sapessi che significa spostare un punto eterno, ne tremeresti di spavento…!”.

    Che significherà mai “spostare un punto eterno”?

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1) Concilio di Costantinopoli II (anno 553), Anathematismi de tribus Capitulis, 1: DS 421.
2) Concilio di Toledo XI (anno 675), Symbolum: DS 530.
3) Concilio Lateranense IV (anno 1215), Cap. 2, De errore abbatis Ioachim: DS 804.
4) Concilio di Firenze, Decretum pro Iacobitis (anno 1442): DS 1330.
5) Cf Concilio di Costantinopoli III (anno 681), Sess. 18a, Definitio de duabus in Christo voluntatibus et operationibus: DS 556-559.
6) Concilio di Costantinopoli III, Sess. 18a, Definitio de duabus in Christo voluntatibus et operationibus: DS 556.



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