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27 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: Apostoli 2

 

GLI APOSTOLI

(seconda parte) 


    TOMMASO, è giovane e di professione orefice. I suoi genitori e la sorella gemella, che è sposata, vivono a Rama di Giudea. È di carattere gioviale e allegro e il suo volto pienotto e bonario. Ha poi un vocione potente (baritono profondo) che torna assai utile quando c’è da smistare la folla.
    Tommaso incontra Gesù insieme a Giuda di Keriot e il Signore li fa attendere prima di prenderli con sé.
 
54. [Giuda di Keriot dice a Gesù:] «Prendimi con Te».
«Prenderti? Ora? Subito? No».

«Perché, Maestro?».

«Perché è meglio pesare sé stessi prima di prendere vie molto erte».

«Non credi alla mia sincerità?».

«L’hai detto. Credo al tuo impulso. Ma non credo alla tua costanza. Pensaci, Giuda. Io ora andrò via e tornerò per la Pentecoste. Se stai nel Tempio, mi vedrai. Pesa te stesso.
E tu chi sei?».

«Un altro che ti vide. Vorrei esser teco. Ma ora ne ho sgomento».

«No. La presunzione è rovina. Il timore può esser ostacolo, ma se viene da umiltà è aiuto. Non temere. Anche tu pensa, e quando verrò...».

«Maestro, sei tanto santo! Ho paura di non esser degno. Non d’altro. Perché sul mio amore non temo...».

«Come ti chiami?».

«Tommaso, detto Didimo».

«Ricorderò il tuo nome. Va’ in pace».

Gesù li congeda e si ritira nella casa ospitale per la cena.
I sei che sono con Lui vogliono sapere molte cose. «Perché, Maestro, hai fatto differenza fra i due?... Perché una differenza ci fu. Tutti e due avevano lo stesso impulso...», chiede Giovanni.
«Amico, anche lo stesso impulso può avere diverso succo e fare diverso effetto. Certo che i due hanno lo stesso impulso. Ma uno non è uguale all’altro nel fine. E quello che pare il meno perfetto è il più perfetto, perché non ha fomite di gloria umana. Mi ama perché mi ama».

    Ma Tommaso non riesce ad allontanarsi.

Bussano alla porta. È Tommaso da capo. Entra e si butta ai piedi di Gesù. «Maestro... io non posso attendere il tuo ritorno. Lasciami con Te. Sono pieno di difetti, ma ho questo amore, solo, grande, vero, il mio tesoro. È tuo, è per Te. Lasciami, Maestro...».
Gesù gli pone la mano sul capo. «Resta, Didimo. Seguimi. Beati quelli che sono sinceri e tenaci nel volere. Voi benedetti. Più che parenti mi siete, perché mi siete figli e fratelli non secondo il sangue che muore ma secondo il volere di Dio e il vostro volere spirituale. Ora Io dico che non ho più stretto parente di colui che fa la volontà del Padre mio, e voi la fate perché volete il bene».

    Tra gli apostoli sembra essere il più capace in cucina. 

118. Nella cucina traffica Tommaso e pare un cuoco provetto, tanto sa dosare fuoco e fiamma e pulire svelto le verdure che il bel Giuda si è degnato di portare dal paese vicino.

    Ma non con il pesce.

«Lo vedi che di fame non si muore?», dice Tommaso all’Iscariota. E poi dice: «Dammi il pesce, Andrea. Che bello! Ma come si fa a prepararlo?... Qui non so fare».
«Ci penso io», dice Andrea. «Sono pescatore», e si mette in un angolo a sventrare i suoi pesci ancora vivi. 

Il vino dell’Ultima Cena proviene dalle famose vigne del padre.
Nella visita di Gesù a Rama in casa della sorella di Tommaso, infatti, il padre lo promise a Gesù stesso:

363. Gesù esce di casa andando con gli apostoli e con tutti i parenti maschi di Tommaso a vedere alcune vigne che pare abbiano un pregio speciale. Tanto il vecchio come il cognato di Tommaso illustrano la posizione del vigneto e la rarità delle piante, che per ora non hanno che foglioline tenerelle.
E Gesù benignamente ascolta queste spiegazioni, interessandosi di potature e di sarchiamenti come della cosa più utile della Terra. Alla fine dice sorridendo a Tommaso: «Te la devo benedire questa dote della tua gemella?».
«Oh! mio Signore! Io non sono Doras né Ismaele. So che il tuo alito, la tua presenza in un luogo è già benedizione. Ma se vuoi alzare la tua destra su queste piante fallo, e certo santo sarà il loro frutto».
«E abbondante no? Che ne dici, padre?».
«Basta santo. Santo basta! Ed io lo pigierò e te lo manderò per la Pasqua prossima, e lo userai nel calice del rito».
«È detto. Ci conto. Voglio nella Pasqua futura consumare il vino di un vero israelita».
 

    SIMONE ZELOTE, già discepolo del Battista. È anziano ed e amico di Lazzaro con proprietà attigua alla sua a Betania. Perseguitato politico, perché a suo tempo legato agli Zeloti, si era salvato perché era diventato lebbroso. Guarito da Gesù diviene suo discepolo e gli fa conoscere l’amico Lazzaro.

    Queste sono le indicazioni che Gesù dà a Tommaso perché possa riconoscerlo:

55. «È alto e magro. Di colorito oscuro come un sangue misto, occhi profondi e nerissimi sotto sopracciglia di neve, capelli bianchi come il lino e piuttosto ricci, naso lungo, camuso verso la punta come quello dei Libi, labbra grosse, specie l’inferiore, e sporgenti. È tanto olivastro che il labbro è tendente al violaceo. Sulla fronte una cicatrice di antica data è rimasta, e sarà l’unica macchia, ora che sarà mondato da croste e sudiciume».
«È un vecchio, se è tutto bianco».
«No, Filippo. Lo sembra, ma non lo è. La lebbra lo ha fatto canuto».

    Molto equilibrato e colto, Simone fungerà spesso da moderatore fra gli apostoli.
 
224. [Dice Gesù:] «quando Io non sarò più fra voi, ricordate che, dovendo giudicare di una conversione e di una potenza di santità, dovete sempre tenere per misura l'umiltà. Se in uno perdura orgoglio non illudetevi che sia convertito. E se in uno anche detto "santo" regna superbia, siate certi che santo non è. Potrà ciarlatanescamente e ipocritamente fare il santo, simulare prodigi.
Ma non è tale. L'apparenza è ipocrisia, i prodigi satanismo. Avete capito?».
«Sì, Maestro»... Tacciono tutti molto pensierosi. E se le bocche stanno chiuse, i pensieri si indovinano chiari dai loro sguardi, dalle loro espressioni. Una grande voglia di sapere tremola come un etere intorno a loro, emanandosi da loro...»
Lo Zelote si studia di distrarre i compagni per avere tempo di parlare loro in disparte e certo consigliarli ancora a tacere. Ho l'impressione che lo Zelote abbia molto questo ministero nel gruppo apostolico. È il moderatore, il conciliatore, il consigliere dei compagni, oltre che essere colui che capisce tanto bene il Maestro.

    Dopo l’ultima Cena viene incaricato da Gesù di raccogliere gli apostoli e portarli da Lazzaro a Betania dopo la Sua morte.
 
602. «Non vi separate... Divisi, sareste un nulla. Uniti, sarete ancora una forza. Simone, promettimi questo. Tu sei pacato, fedele, hai parola e impero anche su Pietro. E hai un grande obbligo con Me. Te lo ricordo per la prima volta, per importi l’ubbidienza. Guarda, siamo al Cedron. Di lì sei salito a Me lebbroso e di lì sei partito mondato. Per quello che ti ho dato, dammi. Dàllo all’Uomo ciò che Io ho dato all’uomo. Ora il lebbroso sono Io...».
«Nooo! Non lo dire!», gemono insieme i due discepoli.
«Così è! Pietro, i fratelli miei saranno i più accasciati. Come un delinquente si sentirà l’onesto mio Pietro e non avrà pace. E i fratelli... Non avranno cuore di guardare la loro e la mia Madre... Te li raccomando...».
«Ed io, Signore, di chi sarò? A me non pensi?».
«O mio fanciullo! Tu sei affidato al tuo amore. È tanto forte che ti guiderà come una madre. Non ti do ordine né guida. Ti lascio sulle acque dell’amore. Sono in te un fiume tanto calmo e profondo che non mi mettono dubbio sul tuo domani. Simone, hai inteso? Promettimi, promettimi!». È penoso vedere Gesù tanto angosciato... Riprende: «Prima che vengano gli altri! Oh! grazie! Sii benedetto!». 
 
    Pertanto, soltanto due apostoli non sono venuti meno durante la passione: Giovanni e Simone.
 
621. [Dice Filippo:] «Oh! Lazzaro! Lazzaro! Io sono fuggito... e ieri, oltre Gerico, ho saputo che è morto!... Io... io non mi posso perdonare di essere fuggito...».

«Tutti siamo fuggiti. Meno Giovanni che è rimasto a Lui fedele e Simone che ci ha radunati per ordine suo dopo che da vili fuggimmo. E poi... di noi apostoli, nessuno fu fedele», dice Bartolomeo.

«E te lo puoi perdonare?».

«No. Ma penso riparare come posso col non cadere nell’abbattimento sterile. Dobbiamo unirci fra noi. Unirci a Giovanni. Sapere le sue ultime ore. Giovanni lo ha sempre seguito», risponde a Filippo il compagno Bartolomeo.
«E non fare morire la sua Dottrina. Bisogna predicarla al mondo. Tenere viva quella almeno, posto che, troppo pesanti e tardi, non sapemmo provvedere in tempo a salvarlo dai suoi nemici», dice lo Zelote. «Non potevate salvarlo. Nulla lo poteva salvare. Egli me lo ha detto. Lo ridico un’altra volta», dice sicuro Lazzaro.

«Tu lo sapevi, Lazzaro?», chiede Filippo.

«Lo sapevo. La mia tortura è stata di sapere, dalla sera del sabato, la sua sorte da Lui, e nei particolari, nel sapere come noi avremmo agito...».

«No. Tu no. Tu hai solo ubbidito e sofferto. Noi abbiamo agito da vili. Tu e Simone siete i sacrificati all’ubbidienza», prorompe Bartolomeo.

«Sì. All’ubbidienza. Oh! come è pesante fare resistenza all’amore per ubbidienza all’Amato!
    Vieni, Filippo. Nella mia casa sono quasi tutti i discepoli. Vieni tu pure». «Mi vergogno di apparire al mondo, ai compagni...».

«Tutti uguali siamo!», geme Bartolomeo.

«Sì. Ma io ho un cuore che non si perdona».
«Ciò è orgoglio, Filippo. Vieni. Egli mi ha detto la sera del sabato: “Essi non si perdoneranno. Di’ loro che Io li perdono, perché so che non sono loro che agiscono liberamente. Ma è Satana che li travia”. Vieni».
Filippo piange più forte, ma cede. E, curvo come fosse divenuto vecchio in pochi giorni, va a fianco di Lazzaro fino al cortile dove tutti lo attendono. E lo sguardo che egli dà ai compagni, e quello che i compagni dànno a lui, è la confessione più chiara del loro accasciamento totale.
 

    GIUDA TADDEO, figlio di Alfeo e di Maria Cleofa, fratello di Giacomo il Minore e cugino di Gesù. Da piccolo partecipò con suo fratello Giacomo alle lezioni che Maria SS. dava a Gesù. Va a Betsaida per portare a Gesù l’invito a partecipare alle nozze di Cana.

    Dal punto di vista fisico,

51. Giuda Taddeo è un bell’uomo nella pienezza della bellezza virile. Alto, sebbene non quanto Gesù, ben proporzionato nella sua robustezza, bruno, come lo era S. Giuseppe da giovane, di un olivastro non terreo e con occhi che hanno qualcosa di comune con quelli di Gesù, perché sono di una tinta azzurra, ma tendente al pervinca. Ha barba quadrata e bruna, capelli mossi, meno a ricciolo di quelli di Gesù, bruni come la barba.

    Franco e di nobile aspetto, ha per l’Iscariota suo omonimo una spiccata antipatia, che Gesù cerca di correggere, ma che ogni tanto esplode.

498. «Egli è il Maestro, e io... sono io... Ma fossi io Lui, oh! l’uomo di Keriot non sarebbe con noi!», dice il Taddeo con dei lampi negli occhi bellissimi che ricordano quelli di Cristo.
«Tu credi? Tu sospetti? Cosa?», dicono in diversi.
«Nulla. Nulla di preciso. Ma quell’uomo non mi piace».
«Non ti è mai piaciuto, fratello. Una ripulsione irragionevole perché sorta al primo incontro. Tu me lo hai confessato. È contraria all’amore. Dovresti vincerla, non fosse altro che per dar gioia a Gesù», dice calmo e persuasivo Giacomo d’Alfeo.
«Hai ragione, ma... non ci riesco. 
 
    Di seguito un’esplosione particolarmente forte dopo che l’Iscariota ha parlato in maniera irrispettosa del Signore.
 
600. «Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l’Iscariota.
«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l’altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: “Hai ragione”. Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.
«E non è follia un’idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sé. Ora è uno stanco di mente».
«Il che significa demente. Non è vero?», chiede l’altro cugino Giuda, in apparenza calmo.
«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre, giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi... lo amammo tanto che l’amore ci fu velo. Ma quelli che l’amarono non idolatramente — tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima — videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah!».
Giuda Taddeo, che, alto come l’Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c’è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».
Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi!... È chiaro che tutti approvano.

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