29 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: Apostoli 3

 

GLI APOSTOLI

(terza parte) 


        GIUDA di Simone di Keriot, è giovane, intelligente e colto ed era nel Tempio. È  ambizioso e permaloso. Anche lui, come Tommaso, è dotato di una voce non comune in potenza e bellezza. Voce da tenore. Invidioso poi dei compagni ricorre a tutto pur di emergere (comprese pratiche magiche). Infine delatore, accusatore e traditore di Gesù e dei suo compagni. Crede addirittura di poter all’occorrenza sostituirsi al Messia.

66. «Ti saluto, Maestro. Sono Giuda di Keriot. Non mi riconosci? Non ricordi?». «Ricordo e riconosco. Sei quello che qui mi hai parlato con Tommaso, la scorsa Pasqua».

«E al quale Tu hai detto: “Pensa e sappi decidere prima del mio ritorno”. Ho deciso. Vengo». «Perché vieni, Giuda?». Gesù è proprio mesto.
«Perché... te l’ho detto dall’altra volta il perché. Perché io sogno il regno d’Israele e re ti ho visto». «Per questo vieni?».

«Per questo. Metto me stesso e tutto quanto posso di mio: capacità, conoscenze, amicizie, fatica, al tuo servizio e al servizio della tua missione per ricostituire Israele».

I due ora sono di fronte, vicini, in piedi e si guardano fissamente. Gesù serio sino alla mestizia, l’altro esaltato dal suo sogno, sorridente, bello e giovane, leggero e ambizioso.

«Io non ti ho cercato, Giuda».

«L’ho visto. Ma io ti cercavo».
 
    Fin da subito Giuda di Keriot non piace a tanti: Pietro, Simone, Giuda Taddeo, … e anche alla Madonna:
 
101. «Ma l’uomo di Keriot... quello non mi piace, Figlio. Il suo occhio non è limpido e il suo cuore meno ancora. Mi fa paura».
«Con te è tutto rispetto».
«Troppo rispetto. Anche con Te è tutto rispetto. Ma non è per Te Maestro; è per Te futuro Re, da cui spera utile e lustro. Era un nulla, appena un poco da più degli altri a Keriot. Spera di avere al tuo fianco un ruolo di importanza e... oh! Gesù, non voglio offendere la carità, ma penso, anche se pensare non lo voglio, che in caso che Tu lo deluda egli non esiterà a sostituirsi a Te, a cercare di farlo. È ambizioso, avido e vizioso. Più adatto ad essere cortigiano di un re terreno che un apostolo tuo, Figlio mio. Mi fa paura!». E la Mamma guarda il suo Gesù con due occhi sgomenti nel viso pallido. […]
«Non ho paura di Levi. Egli si è redento perché si è voluto redimere. Ha lasciato il suo peccato insieme al suo banco di gabelliere e si è fatto un’anima nuova per venire con Te. Ma Giuda di Keriot no. Anzi l’orgoglio fa sempre più sua la sua vecchia anima brutta. Ma Tu le sai queste cose, Figlio. Perché me le chiedi? Io non posso che pregare e piangere per Te. Tu sei il Maestro. Anche della tua povera Mamma».
 
    Ciò nonostante, quando poi Giuda manifesta l'intenzione di stare un po' con lei per essere spiritualmente aiutato, Maria è pietosa nei suoi confronti e ne parla con Gesù:
   
262. Cerca il suo Gesù e lo trova assorto in meditazione profonda.

«Figlio, sono io... Ascoltami!».

«Oh! Mamma! Vieni a pregare con Me? Che gioia, che sollievo mi dai!».
«Che, Figlio mio? Sei affaticato nello spirito? Triste? Dillo alla tua Mamma!».
«Affaticato, lo hai detto, e afflitto. Non tanto per la fatica e le miserie che vedo nei cuori, quanto per
l’immutabilità di quelli che sono i miei amici. Ma non voglio essere ingiusto con loro. Uno solo mi affatica. Ed è Giuda di Simone...».

«Figlio, di lui venivo a parlarti...».
«Ha fatto del male? Ti ha dato dolore?».
«No. Ma mi ha fatto la pena che avrei vedendo uno molto infetto... Povero figlio! Quanto è malato nel
suo spirito!».

«E tu ne hai pietà? Non ne hai più paura? Un tempo l’avevi...».
«Figlio mio, la mia pietà è ancora più grande della mia paura. E vorrei aiutare Te e lui a salvare il suo
spirito. Tu tutto puoi e non hai bisogno di me. Ma Tu dici che tutti devono cooperare col Cristo nel redimere... e questo figlio è così bisognoso di redenzione!».

«Che devo fare più che non faccia per lui?».

«Tu non puoi fare di più. Ma potresti lasciarmi fare. Egli mi ha pregata di lasciarlo sostare nella nostra casa, perché gli pare che là potrà liberarsi dal suo mostro... Tu scuoti il capo?

Non vuoi? Glielo dirò...».

«No, Mamma. Non è che non voglia. Scuoto il capo perché so che è inutile. Giuda è come uno che affoga e che, nonostante senta di affogare, respinge per orgoglio la fune gettatagli per trarlo a riva. Manca in lui la volontà di venire a riva. Ogni tanto, preso dal terrore di affogare, cerca e invoca l’aiuto, ci si attacca... e poi, ripreso dall’orgoglio, lascia l’aiuto, lo respinge, vuol fare da sé... e sempre più si appesantisce per l’acqua melmosa che inghiotte. Ma perché non si dica che ho lasciato intentato un rimedio, si faccia anche questo, povera Mamma... Sì, povera Mamma che ti sottoponi, per amore di un’anima, alla sofferenza di avere vicino... uno che ti fa paura».

    Anche la buona madre di Giuda, Maria di Simone di Keriot, continuamente soffre e prega per il figlio e, dopo il tradimento, la troviamo irriconoscibile tanto è sfigurata dall’angoscia. Gesù risorto le appare:
 
632. Maria, ad occhi chiusi, esangue dopo lo sforzo fatto, geme: «La madre di Giuda! di Giuda! di Giuda!». Ansa, poi riprende: «Ma cosa è Giuda? Cosa ho partorito? Cosa è Giuda? Cosa ho...».
    Gesù è nella stanza, che un tremulo lume rischiara perché troppo poca ancora è la luce del giorno per illuminare la stanza vasta, nella quale il letto è nel fondo, molto lontano dall’unica finestra. Chiama dolcemente: «Maria! Maria di Simone!».
La donna è quasi delirante e non dà peso alla voce. È assente, rapita nei gorghi del suo dolore, e ripete le idee che ossessionano il suo cervello, monotonamente, come il tic tac di un pendolo: «La madre di Giuda! Cosa ho partorito? Il mondo urla: “La madre di Giuda”...».
Gesù ha due lacrime nell’angolo degli occhi dolcissimi. Mi stupiscono molto. Non pensavo che Gesù potesse piangere ancora dopo che è risorto...
Si curva. Il letto è così basso, per Lui così alto! Pone la Mano sulla fronte febbrile, respingendo le pezze umide d’aceto, e dice: «Un’infelice. Questo e non altro. Se il mondo urla, Dio copre l’urlo del mondo dicendoti: “Abbi pace, perché Io ti amo”. Guardami, povera mamma! Raccogli il tuo spirito smarrito e mettilo nelle mie mani. Sono Gesù!...».
Maria di Simone apre gli occhi come uscendo da un incubo e vede il Signore, sente la sua Mano sulla sua fronte, porta le mani tremanti al viso e geme: «Non mi maledire! Se avessi saputo cosa generavo, mi sarei strappate le viscere per impedire che egli nascesse».
«E avresti peccato. Maria! oh! Maria! Non uscire dalla tua giustizia per la colpa di un altro. Le madri che hanno fatto il loro compito non devono tenersi responsabili del peccato dei figli. Tu lo hai fatto il tuo dovere, Maria. Dammi le tue povere mani. Sii quieta, povera mamma».
«Sono la madre di Giuda. Immonda sono come tutto ciò che quel demonio toccò. Madre di un demonio!
Non mi toccare». Si dibatte per sfuggire alle Mani divine che la vogliono tenere.

Le due lacrime di Gesù le cadono sul volto tornato acceso di febbre. «Io ti ho purificata, Maria. Il mio pianto di pietà è su te. Su nessuno ho pianto da quando ho consumato il mio dolore. Ma su te piango con tutta la mia amorosa pietà». È riuscito a prenderle le mani e si siede, sì, proprio si siede sull’orlo del lettuccio, tenendo quelle mani tremanti fra le sue.
La pietà amorosa dei suoi fulgidi occhi accarezza, fascia, medica l’infelice, che si calma piangendo tacitamente e mormorando: «Non m’hai rancore?».
«Ho amore. Sono venuto per questo. Abbi pace».
«Tu perdoni! Ma il mondo! Tua Madre! Mi odierà».
«Ella pensa a te come a una sorella. Il mondo è crudele. È vero. Ma mia Madre è la Madre dell’Amore, ed è buona. Tu non puoi andare per il mondo, ma Ella verrà a te quando tutto sarà in pace. Il tempo pacifica...».
«Fammi morire, se mi ami...».

«Ancora un poco. Tuo figlio non seppe darmi nulla. Tu dammi un tempo del tuo soffrire. Sarà breve». «Mio figlio ti ha dato troppo... L’orrore infinito ti ha dato».

«E tu il dolore infinito. L’orrore è passato. Non serve più. Il tuo dolore serve. Si unisce a queste mie piaghe, e le lacrime tue e il Sangue mio lavano il mondo. Tutto il dolore si unisce per lavare il mondo. Le tue lacrime sono fra il mio Sangue e il pianto di mia Madre, e intorno intorno è tutto il dolore dei santi che soffriranno per il Cristo e per gli uomini, per amor mio e degli uomini. Povera Maria!».
La adagia dolcemente, le incrocia le mani, la guarda calmarsi...


    GIACOMO, figlio di Alfeo e di Maria Cleofa, fratello di Giuda Taddeo e cugino di Gesù. Chiamato il Minore perché più giovane dell’altro Giacomo. Da piccolo partecipò con suo fratello, Giuda Taddeo, alle lezioni che Maria SS. dava a Gesù.

    Ha una grande somiglianza con Giuseppe di Nazaret.

99. [Dice Giacomo:] «No, cugino. Non siamo eroici come i tuoi pastori...».

«Lo credi, Giacomo?». Gesù sorride guardando il suo cugino che tanto assomiglia al suo padre putativo, così di un bruno castano negli occhi e nei capelli, e colorito nel volto brunetto, mentre Giuda è più pallido nella cornice della barba nerissima e dei capelli ondulati e ha i suoi occhi di un azzurro quasi violaceo, che vagamente ricordano quelli di Gesù. «Ebbene, Io ti dico che non ti conosci. Tu e Giuda siete due forti».
I cugini crollano il capo.

«Vi persuaderete che non erro».

    Sempre a proposito della sua somiglianze con Giuseppe:

253. Anche Giacomo, in mezzo a Maria d’Alfeo e Susanna, parla del Carmelo. Dice a sua madre: «Gesù mi ha promesso di salire lassù solo con me e di dirmi una cosa, a me soltanto».
«Che ti vorrà dire, figlio? Me la ripeti poi?».
«Mamma, se è un segreto non te lo posso dire», risponde sorridendo del suo sorriso così affettuoso Giacomo, la cui somiglianza con Giuseppe sposo di Maria è molto sensibile nei tratti e ancora più nella pacata dolcezza. 

    Come promesso, Gesù lo conduce sul monte Carmelo e lì gli confida che sarà l’unico apostolo a rimanere a Gerusalemme dopo la passione.
258. [Giacomo] sentendosi alle soglie di una rivelazione, diviene pallido e ancor più lo diventa fino ad essere tutt’uno con la sua veste di lino quando Gesù alza le braccia e gli appoggia le mani sulle spalle, stando così a braccia tese. Allora proprio Giacomo sembra un’ostia. Solo i miti occhi castano scuri e la barba castana mettono un colore su quel volto attento.
    «Giacomo, fratello mio, sai perché ti ho voluto qui, da solo a solo, per parlarti dopo ore di preghiera e meditazione?».
Giacomo pare faccia fatica a rispondere, tanto è commosso. Ma infine apre le labbra per rispondere a bassa voce: «Per darmi una lezione speciale, o per il futuro o perché io sono il più incapace di tutti. Ti ringrazio fino da ora, anche se è un rimprovero. Ma credi, Maestro e Signore, che se io sono tardo e incapace è per deficienza, non per mala volontà».
«Non è un rimprovero ma una lezione, questa sì, per il tempo in cui Io non sarò più con voi. […] Non avere paura, Giacomo. Io non voglio la tua rovina. Perciò, se a questo Io ti destino, è segno che so che da essa non danno, ma soprannaturale gloria ne avrai. Ascoltami, Giacomo. Fai in te la pace, con un bell’atto di abbandono in Me, per potere udire e ricordare le mie parole. Mai più saremo così soli e con lo spirito così preparato ad intenderci.
    Io me ne andrò un giorno. […] Giacomo, tutti saranno dispersi fuorché tu, e ciò sino alla chiamata di Dio al suo Cielo. Tu resterai al posto a cui ti avrà eletto Dio per bocca dei fratelli, tu discendente della stirpe regale, nella città regale, ad alzare il mio scettro ed a parlare del vero Re. […]
    «Non posso, non posso, Signore! Dàllo a mio fratello questo compito. Dàllo a Giovanni, dàllo a Simon Pietro, dàllo all’altro Simone. Non a me, Signore! Perché a me? Che ho fatto per meritarlo? Non vedi che sono un ben povero uomo con una capacità sola: quella di volerti tanto bene e di credere fermamente a tutto quanto Tu dici?».
«Giuda ha un temperamento troppo forte. Andrà molto bene dove c’è da abbattere il paganesimo. Non qui dove è da convincere al cristianesimo coloro che per essere già popolo di Dio si credono nel giusto ad ogni costo. Non qui dove è da convincere tutti coloro che pur credendo in Me saranno delusi dallo svolgimento degli avvenimenti. […]
E tu sarai circondato da fanatici. Fanatici fra i cristiani, fanatici fra gli israeliti. I primi vorranno da te atti di forza o il permesso, almeno, di compierli. Perché il vecchio Israele, con le sue intransigenze e le sue restrizioni, sarà ancora agitante in essi la sua coda venefica. I secondi marceranno contro te e gli altri come per una guerra santa in difesa della vecchia Fede, dei suoi simboli, delle sue cerimonie. E tu sarai al centro di questo mare in tempesta. Tale è la sorte dei capi. E tu sarai il capo di quanti saranno della Gerusalemme cristianizzata dal tuo Gesù. […]
    Tu mi sei parente. Dopo avermi... dopo avermi misconosciuto, la parte migliore di Israele cercherà di avere perdono presso Dio e presso se stessa col cercare di conoscere il Signore che avranno maledetto nell’ora di Satana, e parrà loro di avere perdono, e perciò forza di mettersi nella mia via, se sarà al mio posto uno del mio sangue. […]


    MATTEO, già Levi pubblicano di Cafarnao. Fisicamente bassino, è anziano ed è molto deferente, umile e intelligente. Prende nota dei discorsi di Gesù.

    Di Matteo riportiamo la chiamata da parte di Gesù.

94. Proprio sul limitare della porta della sinagoga vedo il futuro apostolo Matteo. Se ne sta lì, mezzo dentro e mezzo fuori, non so se vergognoso o se seccato da tutti gli ammicchi di cui è fatto segno e anche da qualche epiteto poco piacevole che gli viene indirizzato. Due impaludati farisei raccolgono studiatamente i loro ampli manti, come avessero paura di raccattare la peste sfiorando con essi il vestimento di Matteo.
Gesù, entrando, lo fissa per un attimo e per un attimo sosta. Ma Matteo china il capo e basta.
Pietro, appena passati oltre, dice piano a Gesù: «Sai chi è quell’uomo arricciato, profumato più di una femmina? È Matteo, il nostro esattore... Che ci viene a fare qui? È la prima volta. Forse non ha trovato i compagni, e le compagne soprattutto, con i quali passa il sabato, spendendo in orgie quel che ci succhia in tasse duplicate e triplicate per averne per il fisco e per il vizio».
 
Gesù guarda Pietro così severamente che Pietro diventa rosso come un papavero e china il capo, fermandosi, in modo che da primo diventa l’ultimo nel gruppo apostolico.
 
95. I discepoli fanno festa al nuovo venuto e a Giuda che da giorni non vedevano.

«Ti avevamo cercato a casa... ma eri sul lago».

«Sì, sul lago per due giorni con Pietro e gli altri. Pietro ha avuto buona pesca. Non è vero?».

«Sì, e ora, questo mi spiace, dovrò dare tante didramme a quel ladro là...», e accenna il gabelliere  Matteo, che ha il banco assediato da gente che paga per il suolo, credo, o per le derrate.

«Sarà tutto in proporzione, dico. Più peschi e più paghi, ma anche più guadagni».

«No, Maestro. Più pesco e più guadagno. Ma, se faccio peso doppio di pesca, quello là non mi fa pagare il doppio. Mi fa dare il quadruplo... Sciacallo!».

«Pietro! Ebbene, andiamo proprio là vicino. Voglio parlare. Vi è gente sempre presso quel banco di gabella».

«Sfido io!», borbotta Pietro. «Gente e maledizioni».
«Ebbene, Io andrò a mettervi benedizioni. Chissà che un poco di onestà non entri nel gabelliere». «Stai pure tranquillo che la tua parola non passerà per la sua pelle di coccodrillo».

«Vedremo».

«Che gli dirai?».
«Nulla direttamente. Ma parlerò in modo che vada anche a lui».
«Dirai che è ladro tanto chi assalta sulle strade come chi scortica i poveri che lavorano per avere il pane, non per le femmine e le ebbrezze?».
«Pietro, vuoi parlare tu per Me?».

«No, Maestro. Non saprei parlare bene».

«E con l’acre che hai dentro faresti male a te e a lui».
    Sono giunti presso al banco della gabella. Pietro fa per pagare. Gesù lo ferma e dice: «Dammi le monete. Pago Io, oggi». Pietro lo guarda stupito e poi dà una borsa di pelle con dei soldi.
Gesù aspetta il suo turno e, quando è di fronte al gabelliere, dice: «Pago per otto corbe di pesce di Simone di Giona. Le corbe eccole là, ai piedi dei garzoni. Verifica, se credi. Ma fra onesti non dovrebbe che bastare la parola. E credo tu mi creda tale. Quanto è la tassa?».
Matteo, che era seduto al suo banco, al punto in cui Gesù dice: «Credo che tu mi creda tale», si alza in piedi. Basso e già anzianotto, su per giù come Pietro, mostra però il viso stanco del gaudente ed una palese confusione. Sta a capo chino sul principio, poi lo alza e guarda Gesù. E Gesù lo guarda fisso, serio, dominandolo con tutta la sua imponente statura.
«Quanto?», ripete Gesù dopo un poco.
«Non vi è tassa per il discepolo del Maestro», risponde Matteo. E a voce più bassa aggiunge: «Prega per l’anima mia».
«La porto in Me, perché raccolgo i peccatori. Ma tu... perché non la curi?». E Gesù gli volge le spalle subito dopo, tornando a Pietro che è trasecolato di stupore. Anche altri sono trasecolati. Bisbigliano, ammiccano...
    Gesù si pone addossato ad un albero, a un dieci metri da Matteo, e inizia a parlare.
[…]
Gesù ha finito. Se ne va senza neppure voltarsi verso Matteo, che è venuto presso il cerchio degli ascoltatori sin dalle prime parole. 

96. Gesù scende dalla barca e passa fra la folla che gli si accalca intorno. All’angolo di una casa è ancora Matteo che ha ascoltato da lì il Maestro, non osando di più. Giunto a quell’altezza, Gesù si ferma e, come se benedicesse tutti, benedice ancora una volta, guarda Matteo e poi se ne va di nuovo fra il gruppo dei suoi, seguito dal popolo, e scompare in una casa. 

97. Ancora la piazza del mercato di Cafarnao. Ma in un’ora più calda, in cui il mercato è già finito e sulla piazza sono solo degli sfaccendati che parlano e dei bambini che giuocano. […]
Gesù va diritto verso il banco delle gabelle, dove Matteo sta tirando i suoi conti e verificando le monete, che suddivide per categorie, mettendole in sacchetti di diverso colore e collocandoli in un forziere di ferro, che due servi attendono di trasportare altrove.
Appena l’ombra gettata dall’alto corpo di Gesù si allunga sul banco, Matteo alza il capo per vedere chi è il ritardatario pagatore. Pietro, intanto, dice, tirando Gesù per una manica: «Non c’è nulla da pagare, Maestro. Che fai?».
Ma Gesù non gli dà retta. Guarda fisso Matteo, che si è subito alzato in piedi con atto reverente. Un altro sguardo trapanante. Ma questo non è lo sguardo del giudice severo dell’altra volta. È uno sguardo di chiamata e di amore. Lo avviluppa, lo satura di amore. Matteo diventa rosso. Non sa che fare, che dire...
«Matteo, figlio di Alfeo, l’ora è suonata. Vieni. Seguimi!», impone Gesù maestosamente. «Io? Maestro, Signore! Ma sai chi sono? Per Te, non per me lo dico...».

«Vieni. Seguimi, Matteo, figlio d’Alfeo», ripete più dolce.

«Oh! come posso aver trovato grazia presso Dio? Io... Io...».
«Matteo, figlio di Alfeo, Io ti ho letto il cuore. Vieni, seguimi». Il terzo invito è una carezza.
«Oh! subito, mio Signore!» e Matteo, piangente, esce da dietro il banco, senza neppur occuparsi di raccogliere le monete sparse sul banco, di chiudere il cofano. Nulla.
«Dove andiamo, Signore?», chiede quando è presso a Gesù. «Dove mi porti?».

«A casa tua. Vuoi ospitare il Figlio dell’uomo?».
«Oh!... ma... ma che diranno quelli che ti odiano?».
«Io ascolto quel che si dice in Cielo, e là si dice: “Gloria a Dio per un peccatore che si salva!”, e il Padre dice: “In eterno la Misericordia si alzerà nei Cieli e si librerà sulla Terra e, poiché di un eterno amore, di un perfetto amore Io ti amo, ecco che anche a te uso misericordia”. Vieni. E, con la mia venuta, oltre che il cuore ti si santifichi la casa».
«Già purificata l’ho, per una speranza che avevo nell’anima mia... ma che la ragione non poteva credere che fosse vera...
Oh! io coi tuoi santi...», e guarda i discepoli.
«Sì. Coi miei amici. Venite. Vi unisco. E siate fratelli».

I discepoli sono talmente stupefatti che non hanno ancor trovato modo di dir parola. Hanno camminato in gruppo dietro a Gesù e Matteo nella piazza tutta sole, e ormai assolutamente vuota di popolo, per un breve tratto di strada che arde in un sole abbacinante. Non c’è un vivente per le strade. Solo il sole e la polvere.
    Entrano in casa. Una bella casa dal largo portone che si apre sulla via. Un bell’atrio ombroso e fresco, oltre il quale si vede un ampio cortile messo a giardino.
«Entra, Maestro mio! Portate acqua e bevande».

I servi accorrono col richiesto. Matteo esce a dare ordini mentre Gesù e i suoi si rinfrescano. Poi torna. «Ora vieni, Maestro. La sala è più fresca... Ora verranno amici... Oh! voglio sia fatta gran festa! È la mia rigenerazione... È la mia... è la mia circoncisione vera, questa... Tu mi hai circonciso il cuore col tuo amore... Maestro, sarà l’ultima festa... Ora non più feste per il pubblicano Matteo. Non più feste di questo mondo... Solo la festa interna dell’essere redento e di servire Te... di essere amato da Te... Quanto ho pianto... Quanto, in questi mesi... Sono quasi tre mesi che piango... Non sapevo come fare... volevo venire... Ma come venire da Te, Santo, con la mia anima sporca?...».
«Tu la lavavi col pentimento e con la carità. Per Me e per il prossimo. Pietro? Vieni qui».
Pietro, che ancora non ha parlato tanto è sbalordito, viene avanti. I due uomini, ugualmente anziani, bassotti, tarchiati, sono di fronte, e Gesù è fra l’uno e l’altro, sorridente, bello.
«Pietro, tu mi hai chiesto tante volte chi era lo sconosciuto della borsa portata da Giacomo. Eccolo, lo hai di fronte».
«Chi? Questo lad... Oh! perdona, Matteo! Ma chi lo poteva pensare che eri tu? e che proprio tu, nostra disperazione per la tua usura, fossi capace di strapparti tutte le settimane un pezzo di cuore dando quel ricco obolo?».
«Lo so. Vi ho ingiustamente tassati. Ma ecco, io mi inginocchio davanti a voi tutti e vi dico: non mi cacciate! Egli mi ha accolto. Non siate da più di Lui nella severità».
Pietro, che si trova ai piedi Matteo, lo alza di colpo, di peso, rudemente e affettuosamente: «Su, su. Non a me né agli altri. A Lui chiedi perdono. Noi... va’ là, su per giù siamo tutti ladri come te... Oh! l’ho detto! Maledetta lingua! Ma sono fatto così: quel che penso dico, quel che ho in cuore ho sul labbro. Vieni, che facciamo patto di pace e di amore», e bacia sulle guance Matteo.
Anche gli altri lo fanno, più o meno affettuosamente. Dico così perché Andrea è sostenuto, per la sua timidezza, e Giuda Iscariota è gelido. Pare che abbracci un fascio di rettili, tanto il suo abbraccio è scostante e breve.

28 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: a proposito di gender

 

A proposito di gender


262. Una figlia indesiderata e il ruolo della donna redenta. L'Iscariota chiede l'aiuto di Maria.

[...]

[Dice Maria di Nazaret:] È bella, non è vero?».
«Molto bella e robusta. La madre può esserne felice», conferma Gesù, curvo anche Lui ad osservare il sonno dell’innocente.
«Invece non lo è... Il marito è irritato perché tutti i figli sono femmine. È vero che coi campi che abbiamo sono meglio i maschi. Ma la nostra figlia non ne ha colpa...», sospira la padrona di casa, sopraggiunta.
«Sono giovani. Si amino e avranno anche maschi», dice sicuro il Signore.
    «Ecco Filippo... Ora si farà scuro...», mormora turbata la donna. E più forte dice: «Filippo, c’è il Rabbi di Nazaret».
«Molto lieto di vederlo. Pace a Te, Maestro».
«E a te, Filippo. Ho visto la tua bella bambina. Anzi la sto ancora guardando perché è degna di lode. Dio ti benedice con bambini belli, sani e buoni. Gli devi essere molto grato... Non rispondi? Sembri crucciato...».
«Speravo fosse un maschio, io!».
«Non vorrai già dirmi che sei ingiusto accusando l’innocente di essere femmina, e tanto meno essere duro con la tua sposa?», chiede severo Gesù.
«Volevo un maschio io! Per il Signore e per me!», esclama risentito Filippo.
«Ed è con una ingiustizia ed una ribellione che credi di ottenerlo? Hai letto forse nel pensiero di Dio? Sei da più di Lui per dirgli: “Fa’ così perché ciò è giusto?”. Questa donna mia discepola non ha figli, ad esempio. Ed è giunta a dirmi: “Benedico la mia sterilità che mi dà ali per seguirti”. E questa, madre di quattro maschi, anela che tutti e quattro siano non più suoi. È vero, Susanna e Maria? Le senti? E tu, sposato da pochi anni ad una donna feconda, benedetto da tre bocci di rose che chiedono il tuo amore, sei sdegnato? Con chi? Perché? Non lo vuoi dire? Lo dico Io: perché sei un egoista. Deponi subito il tuo rancore. Apri le braccia a questa creatura nata dal tuo seme ed amala. Avanti! Prendila!», e Gesù prende il fagottino di lini e lo depone nelle braccia del giovane padre. Gesù riprende a parlare: «Vai da tua moglie che piange e dille che tu l’ami. O Dio veramente non ti darà mai più un maschio. Io te lo dico. Vai!...».

L’uomo sale nella camera dove è la sposa.


«Grazie, Maestro!», sussurra la suocera. «Egli da ieri era molto crudele...».


L’uomo ridiscende dopo qualche minuto e dice: «L’ho fatto, Signore. La donna ti ringrazia. E dice di chiederti il nome della piccina, perché... perché io avevo destinato a lei un nome troppo brutto nel mio odio ingiusto...».


«Chiamala Maria. Ha bevuto il pianto amaro insieme alla prima goccia di latte, amaro esso pure per la tua durezza; può chiamarsi Maria, e Maria l’amerà. Non è vero, Madre?».


«Sì, povera piccolina. È tanto graziosa. E sarà certo buona divenendo una stellina del Cielo».

[…]

«Anche Tu oggi hai fatto un miracolo invisibile ma certo reale. Non è vero, Maestro?», chiede il Taddeo.

«Sì, fratello».


«Era meglio farlo visibile», osserva Filippo.


«Volevi che cambiassi la piccola in un pargolo? Il miracolo in realtà è una alterazione delle cose destinate, un benefico disordine, perciò, che Dio concede per acconsentire alla preghiera dell’uomo, onde mostrargli che lo ama, o persuadere che Egli è Colui che è. Ma dato che Dio è ordine, non viola in maniera esagerata l’ordine. La bambina è nata donna e donna resta».

«Ero così afflitta questa mattina!», sospira la Vergine.


«Perché? La bambina disamata non era tua», dice Susanna.


E aggiunge: «Io quando vedo qualche disgrazia in un fanciullo dico: “Buon per me che non ne ho!”». «Non lo dire, Susanna! Non è carità. Io pure potrei dirlo, perché la mia unica Maternità è trascesa dalle leggi naturali. Ma non lo dico perché sempre penso: “Se Dio non mi avesse voluta vergine, forse quel seme sarebbe caduto in me, e madre sarei io di quest’infelice”, e così ho pietà di tutti... Perché dico: “Avrebbe potuto essere mio figlio”, e come madre vorrei tutti buoni, sani, amati e amabili, perché così desiderano le madri per i figli loro», risponde dolcemente Maria. E Gesù pare vestirla di luce tanto la guarda con occhio radioso.
«È per questo che hai pietà di me...», dice l’Iscariota sottovoce.
«Di tutti. Fosse anche dell’assassino del mio Figlio. Perché penso che sarebbe il più bisognoso di perdono... e di amore. Perché tutto il mondo lo odierebbe certamente».
«Donna, dovresti faticare molto a difenderlo per dargli tempo di convertirsi... Io lo leverei subito di mezzo, per il primo...», dice Pietro.


26 ottobre 2022

Rapporto tra fede e preghiera

 

Lo sai che se si crede bene, si prega bene e se si prega bene, si crede bene?*

C’è un rapporto tra la preghiera e il nostro credere e, viceversa, tra il nostro credere e la preghiera? E inoltre: che rapporto c’è tra la preghiera per eccellenza, la Messa, e il vivere in un determinato modo la propria fede?

Per rispondere a questi interrogativi bisogna dire qualcosa in merito al rapporto tra lex orandi (regola della preghiera) e lex credendi (regola del credere). Diciamo subito che nel Cattolicesimo c’è un rapporto strettissimo tra Credo e Preghiera, ma anche tra Preghiera e Credo.

Insomma, se si prega bene, si crede bene. Se si crede bene, si prega bene.

Tra Credo e Preghiera

La successione tra Credo e Preghiera è una successione logica. Infatti, c’è un legame propedeutico tra conoscenza e amore. Non si può amare ciò che non si conosce. Bisogna prima conoscere e poi si può amare.

Indubbiamente la conoscenza da sola non basta, ma è altrettanto indubbiamente necessaria, pena la riduzione della fede a fatto puramente intimistico ed emozionale. Cosa che accade molto spesso oggi, dove c’è una deriva sentimentalista della fede. Tutto viene ridotto ad “esperienza”, senza sapere che è sempre la verità a garantire la correttezza di un esperienza, non il contrario: l’esperienza a garantire la verità.

Succede che molti non sanno perché sono cristiani e si limitano a dire: sono cristiano perché sono felice di esserlo. Ma anche il musulmano potrebbe dire la stessa cosa: sono musulmano perché sono felice di esserlo. E come risolviamo il problema? Felicità per felicità chi ha ragione? Ecco dunque che è importante la Verità che giudica e deve giudicare tutto.

Tra Preghiera e Credo

Ma non c’è solo la successione logica Credo-Preghiera, vi è anche quella ontologica Preghiera-Credo.

Infatti, c’è un primato ontologico, nella sostanza, cioè nel valore, dell’amore sulla conoscenza. D’altronde Gesù dice nel Vangelo che noi saremo giudicati sull’amore.

Il demonio conosce benissimo la teologia, ma non si è salvato. La conosce molto meglio di tanti qui sono su questa terra, ma a nulla gli è valso, anzi… non gli è valso nulla proprio perché non ha amato.

L’amore è la conformazione alla volontà di Dio. Nel Pater non diciamo sia pensato il tuo pensiero, ma sia fatta la tua volontà.

Solo nel Cristianesimo

Questo rapporto Credo-Preghiera e Preghiera-Credo è presente solo nel Cristianesimo. In un certo qual modo possiamo dire che costituisce una peculiarità cristiana. E ciò per due motivi.

Prima di tutto perché solo il Cristianesimo ha un Dio che è Verità e Amore, cioè un Dio che è Padre.

Secondo, perché solo il Cristianesimo si basa sul concetto di “vita interiore”. In merito a questo ci sarebbe tanto da dire; cosa che non possiamo fare in questa circostanza e che ci farebbe uscire dall’argomento trattato. Ci basti solo dire che il Cristianesimo è fondamentale la Teologia della Grazia. Senza la Grazia, nessun atto è meritevole della vita eterna, come ben afferma l’immagine giovannea della vite e dei tralci. Possiamo fare anche le cose più grandi, ma senza la Grazia a nulla ci varranno: “Io sono la vite e voi i tralci, se i tralci non sono innestati nella vite, si seccano e devono essere buttati nel fuoco.” (Giovanni 15). In queste parole non compare la parola “linfa”, ma è proprio essa ad essere la protagonista. E’ la linfa ciò che i tralci attingono dalla vite per portare frutto, altrimenti si seccano e servono solo per alimentare il fuoco.

 

* [Dal sito Il Cammino dei Tre Sentieri]

21 ottobre 2022

Riflessione: chi non starà con il papa sarà condannato?

 

"Chi non starà con il papa sarà condannato?"


    Mc 16,15-16: Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi starà col papa e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non starà col papa sarà condannato».

    Sembrerebbe che sia questo il Vangelo, almeno dando credito alle tante voci che oggi si sentono.

    Vediamo, infatti, che per una parte di queste la salvezza dipenderebbe dal rimanere in comunione con Francesco. Chi non sta con Francesco, così dicono come un mantra, è scismatico e fuori della Chiesa. E fuori della Chiesa, lo sappiamo, non c’è salvezza.

    Tra quelli che hanno questa posizione ci sono però notevoli differenze. Ci sono infatti quelli per i quali la salvezza dipende dal rimanere in comunione con Francesco perché Francesco è il papa e, come tale, non può non insegnare la verità; altri, invece, per i quali la salvezza dipende sempre dal rimanere in comunione con Francesco perché è il papa, ma il papa può insegnare eresie e condurre all’apostasia e allora in quei casi non va seguito.

    Glissiamo per il momento a riguardo delle molteplici ulteriori sottodivisioni. Aggiungiamo soltanto una nota: la posizione dei primi ci sembra che abbia una sua coerenza, mentre quella dei secondi no. Che senso ha, infatti, affermare che papa Francesco è eretico e/o apostata e poi aggiungere che chi non lo riconosce come papa è scismatico e fuori della Chiesa?

    Scismatico da Francesco sicuramente, ma perché fuori della Chiesa? Fuori della Chiesa e condannati, se vale qualcosa la parola del Signore, lo saremo soltanto se non crederemo.


    La citazione biblica corretta è infatti la seguente:

    Mc 16,15-16: Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato».

  

    C'è poi un'altra parte, invece, per la quale la salvezza dipende dal rimanere in comunione con Benedetto XVI perché il papa è ancora lui. Anche qui omettiamo di riportare le varie sottodivisioni.

    In realtà, però, ciò che Gesù ci dice nel Vangelo è che l’essere salvato, cioè il far veramente parte della Chiesa (perché la Chiesa è la salvezza - cf. CCC, n. 760), dipende fondamentalmente dalla fede. E infatti ad essere condannato sarà chi non crederà.

    Ovviamente si parla di fede viva, cioè di fede animata dalla carità. La salvezza è innanzitutto questione di Fede.
    È la fede cattolica che ci fa cattolici.
    E infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda, giustamente, che la carità (la quale presuppone la fede) è il legame invisibile di appartenenza alla Chiesa (CCC, n. 815). In altre parole, chi si salva è perché ha la carità, cioè appunto la fede viva.

    «Ma l'unità della Chiesa nel tempo - continua il n. 815 - è assicurata anche da legami visibili di comunione:
— la professione di una sola fede ricevuta dagli Apostoli;
— la celebrazione comune del culto divino, soprattutto dei sacramenti;
— la successione apostolica mediante il sacramento dell'Ordine, che custodisce la concordia fraterna della famiglia di Dio».

    Il primo, non certo per caso, è dunque la professione della fede “divina e cattolica”.
    Se manca il fondamento, che è la fede, è inutile il resto.
    Se manca la Fede cattolica, a che servono i sacramenti e lo stare col papa?

    Ci sembra piuttosto evidente, infatti, che tante sono le persone che riconoscono in Francesco il papa e oggettivamente dimostrano di non avere la fede della Chiesa. Pensiamo, per fare un esempio, alla posizione di tanti "fedeli" tedeschi.
    Ma un discorso analogo vale per coloro che riconoscono Benedetto XVI come papa. Tra di essi vediamo un moltiplicarsi di piccoli gruppi, non di rado legati a rivelazioni private, che non solo dimostrano di non avere la fede cattolica, ma che evidentemente nemmeno sanno che cosa essa sia. Sono gruppi, infatti, la cui fede si basa fondamentalmente su rivelazioni private e non sulla Rivelazione e/o di quest'ultima viene data un'interpretazione difforme da quella della Chiesa.
    Eppure il card. Ratzinger stesso ha giustamente ricordato che, anche rispetto a quelle riconosciute autentiche, «un assentimento di fede cattolica non è dovuto […]; non è neppure possibile. Queste rivelazioni domandano piuttosto un assentimento di fede umana conforme alle regole della prudenza, che ce le presenta come probabili e piamente credibili» (Card. J. Ratzinger, Commento teologico al messaggio di Fatima, 2000).


    Pertanto, la questione chiave, prima ancora di quella su chi sia il papa, è se abbiamo conservato o meno la fede cattolica.

    Nel Vangelo, ciò che Gesù si chiede è se, «quando verrà, troverà la fede sulla terra» (Lc 18,8).

    Il papa, d’altronde, per vari motivi potrebbe anche non esserci al momento del suo ritorno. Gesù ha detto che «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa [la Chiesa (Mt 16,18), ma nulla vieta che per un breve periodo il papa possa mancare, come d’altronde già accaduto in passato. Chi invece non mancherà mai sarà la Chiesa con la sua fede.

    Qualcuno, però, potrebbe giustamente osservare che la fede divina e cattolica è legata con la figura del papa. D’altronde, il versetto sopra citato di Matteo nella sua prima parte dice chiaramente che quella Chiesa che non verrà mai meno è edificata su Pietro (Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa).
    A tale osservazione, noi rispondiamo dicendo non soltanto che è vero, ma che è proprio in virtù di quel legame che anche il riconoscimento del papa non può prescindere dalla fede.

    «Le mie pecore - dice Gesù - ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27). «Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro (Gv 10,5-6).
    «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore» (Gv 10,24-26).



07 ottobre 2022

Festa Madonna del Rosario

  

FESTA

MADONNA DEL ROSARIO


(7 ottobre 2022)

 

    Perché questo titolo a Maria? Perché invocarla come Beata Vergine Maria del Rosario?

    Innanzitutto per il fatto che la Madonna stessa si è presentata con questo titolo e ripetutamente ha raccomandato questa forma di pietà.

    Un altro motivo è dato dal fatto che il rosario è una preghiera fortemente mariana. La parte più corposa di questa preghiera è infatti costituita dalla ripetizione dell’«Ave Maria», cioè una preghiera direttamente rivolta a lei, madre di Dio, in cui le chiediamo l’intercessione per noi peccatori “adesso e nell’ora della nostra morte”.

    Ma c’è un terzo motivo, ancora più a monte, che spiega tale titolo.
    Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002, infatti, Giovanni Paolo II ci fa notare che Maria ha un legame particolare con il rosario per il fatto di averlo in qualche modo recitato lei per prima.

    In che senso?
    Nel senso che Maria ha tenuto per prima gli occhi, il cuore, la mente su Gesù facendo tesoro di ogni suo gesto e parola. La sostanza del rosario è in fondo proprio questa: la meditazione/contemplazione della vita di Gesù.
    «Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell'intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. […] Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore. Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore» (n. 1).
    «Recitare il Rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo» (n.3).
    «I ricordi di Gesù, impressi nel suo animo, l'hanno accompagnata in ogni circostanza, portandola a ripercorrere col pensiero i vari momenti della sua vita accanto al Figlio. Sono stati quei ricordi a costituire, in certo senso, il 'rosario' che Ella stessa ha costantemente recitato nei giorni della sua vita terrena.
    Ed anche ora, tra i canti di gioia della Gerusalemme celeste, i motivi del suo grazie e della sua lode permangono immutati. Sono essi ad ispirare la sua materna premura verso la Chiesa pellegrinante, nella quale Ella continua a sviluppare la trama del suo 'racconto' di evangelizzatrice. Maria ripropone continuamente ai credenti i 'misteri' del suo Figlio, col desiderio che siano contemplati, affinché possano sprigionare tutta la loro forza salvifica. Quando recita il Rosario, la comunità cristiana si sintonizza col ricordo e con lo sguardo di Maria» (n. 11).


    Pregare con il rosario significa dunque mettersi alla scuola di Maria per imparare a 

    «fissare gli occhi sul volto di Cristo» (n. 9). 

    Del resto, 

    «quale maestra, in questo, più esperta di Maria? Se sul versante divino è lo Spirito il Maestro interiore che ci porta alla piena verità di Cristo (cfr Gv 14, 26; 15, 26; 16, 13), tra gli esseri umani, nessuno meglio di Lei conosce Cristo, nessuno come la Madre può introdurci a una conoscenza profonda del suo mistero» (n. 14).

    Per quanto riguarda la preghiera del rosario, ricordiamo soltanto che la struttura fondamentale che noi oggi conosciamo è stata fissata dal papa san Pio V il 17 settembre 1569 con la bolla Consueverunt Romani Pontifices.

    La festa mariana è stata inizialmente istituita dallo stesso papa Pio V con il nome di Nostra Signora delle Vittorie a perenne ricordo della battaglia di Lepanto, svoltasi il 7 ottobre del 1571. Scontro, lo ricordiamo, nel quale la flotta della Lega Santa sconfisse quella dell’Impero ottomano.
    Fu poi il successore di Pio V, papa Gregorio XIII, a cambiare la titolazione con quella di Madonna del Rosario. I cristiani, infatti, per richiedere l’aiuto di Maria l’avevano invocata recitando il Rosario prima della battaglia.

    Le “recenti” apparizioni mariane di Lourdes e Fatima hanno molto contribuito alla diffusione di questa preghiera.

    Nelle memorie di sr. Lucia leggiamo:

    «Quella Signora ci disse di recitare il Rosario e di fare sacrifici per la conversione dei peccatori». Disse di continuare «sempre a dire il rosario tutti i giorni».
    «Recitate il rosario tutti i giorni per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra».
    «In seguito la Santissima Vergine disse: “Guarda, figlia mia, il Mio Cuore coronato di spine che gli uomini ingrati a ogni momento Mi conficcano, con bestemmie e ingratitudini. Tu, almeno, cerca di consolarMi, e di’ che tutti quelli che per cinque mesi, nel primo sabato, si confesseranno ricevendo poi la santa Comunione, diranno un rosario, e Mi faranno 15 minuti di compagnia meditando sui 15 misteri del rosario, coll’intenzione di darMi sollievo, Io prometto di assisterli, nell’ora della morte, con tutte le grazie necessarie alla salvezza di queste anime”».
 

    A proposito dell’Ave Maria e del rosario, concludiamo con un bellissimo brano di san Luigi Maria Grignion da Montfort che riesce ad unire devozione popolare e buona teologia. 

    Così scrive il fondatore della Compagnia di Maria e delle Figlie della Sapienza:

    «Si è sempre visto che coloro che portano il segno della riprovazione, come tutti gli eretici, gli empi, gli orgogliosi e i mondani, odiano e disprezzano l’Ave Maria e la corona.
    Gli eretici imparano e recitano ancora il Pater, ma non l’Ave Maria e il rosario; è il loro spauracchio: porterebbero su di sé un serpente piuttosto che una corona. Gli orgogliosi anche sebbene cattolici, avendo le stesse inclinazioni del loro padre Lucifero, disprezzano e non hanno che indifferenza per l’Ave Maria e considerano il rosario come devozione da donnicciuola, buona solo per gli ignoranti e per quelli che non sanno leggere. Al contrario si vede per esperienza che quelli che hanno grandi segni di predestinazione, amano, gustano e recitano con piacere l’Ave Maria; e più sono di Dio e più amano questa preghiera. […]
    Io non so come ciò avvenga, né perché, ma ciò tuttavia è vero e non conosco miglior segreto per sapere se una persona è di Dio che esaminar se ella ama dire l’Ave Maria e il rosario. Ho detto se ama perché può darsi che una persona sia nell'impotenza naturale o anche soprannaturale di dirlo, ma ella lo ama sempre e lo ispira agli altri» (Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, nn. 250-251).


PREGHIERA DI CONSACRAZIONE



Si salvi chi può

    "SI SALVI CHI PUÒ"        Consapevoli che non è ormai più il tempo delle parole, quanto della preghiera e della sofferenza, v...