Riflessione autunno 2022

 

 RIFLESSIONE SU PAPI POSTCONCILARI

(Autunno 2022)

 

    Se volessimo riportare tutte le “storture” [= rotture] accumulate negli ultimi anni ci sarebbe da scrivere pagine e pagine sulla rivoluzione religiosa in corso che coinvolge il dogma, la morale, la liturgia e la stessa struttura della Chiesa.

    Oggi, però, grazie anche alla notevole accelerazione del processo rivoluzionario a partire dall’inedita compresenza di “due papi”, non pochi sono arrivati a riconoscere da dove è iniziato l’attacco massiccio alla Chiesa cattolica, vale a dire a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Certamente preparato negli anni precedenti, l’attacco è stato sferrato in quell’Assise dai collaboratori di fatto del Nemico al fine di demolire dall’interno l’edificio cattolico. Negli anni seguenti, potendosi appoggiare su quelle fessure abilmente introdotte all’interno degli stessi documenti conciliari, le forze disgregatrici hanno potuto proseguire con ulteriore e sempre crescente forza l’opera di devastazione.


    I papi del post-concilio sono stati da una parte travolti da questa enorme pressione e dall’altra hanno fatto quel che hanno potuto per arginarla. E così, accanto ad errori più o meno gravi, hanno prodotto buoni documenti magisteriali che hanno contrastato e rallentato la spinta modernista. Ricordiamo a titolo esemplificativo la Dichiarazione Inter insigniores (1976) e la Lettera Enciclica Humanae vitae (1968) di Paolo VI, la Lettera Enciclica Veritatis splendor (1993) di Giovanni Paolo II, il Motu Proprio Summorum Pontificum (2007) di Benedetto XVI.

    Con Benedetto XVI in particolare, il vertice della Chiesa sembra aver capito la necessità di riallacciare con più forza i fili col passato. Sono tanti, infatti, gli atti e le prese di posizione del Pontefice bavarese in tal senso e, se non ci si ostina a vedere in lui soltanto le ambiguità, essi non possono passare inosservati. Tali gesti e dichiarazioni, che ai nemici della Chiesa non sono sfuggiti, gli sono costati una implacabile persecuzione. Il Summorum Pontificum, pur con tutti i suoi limiti, è probabilmente il punto magisteriale più alto di questa presa di coscienza.

    Oggi, però, per non pochi è ormai chiaro che il tentativo di leggere i documenti dell’ultimo Concilio in continuità con la tradizione precedente, la nota ermeneutica della continuità, non può essere fatta senza doverne necessariamente correggere alcuni passaggi.

    Come lucidamente scrive mons. Viganò il 9 giugno 2020, c’è un: 

    «legame causale tra i principi enunciati o implicati dal Vaticano II e il loro conseguente e logico effetto nelle deviazioni dottrinali, morali, liturgiche e disciplinari sorte e progressivamente sviluppatesi fino ad oggi. Il monstrum generato nei circoli dei modernisti poteva all’inizio trarre in inganno, ma crescendo e rafforzandosi, oggi si mostra per quel che veramente è, nella sua indole eversiva e ribelle. La creatura, allora concepita, è sempre la medesima e sarebbe ingenuo pensare che la sua natura perversa potesse mutare. I tentativi di correzione degli eccessi conciliari – invocando l’ermeneutica della continuità – si sono rivelati fallimentari: Naturam expellas furca, tamen usque recurret (Orazio Epist. I,10,24). La Dichiarazione di Abu Dhabi e, come mons. Schneider giustamente osserva, i suoi prodromi del pantheon di Assisi, “è stata concepita nello spirito del Concilio Vaticano II” come conferma fieramente Bergoglio.


    Questo “spirito del Concilio” è la patente di legittimità che i novatori oppongono ai critici, senza accorgersi che è proprio confessando quell’eredità che si conferma non solo l’erroneità delle dichiarazioni attuali, ma anche la matrice ereticale che dovrebbe giustificarli. A ben vedere, mai nella vita della Chiesa si è avuto un Concilio che rappresentasse un tale evento storico da renderlo diverso rispetto agli altri: non si è mai dato uno “spirito del Concilio di Nicea”, né lo “spirito del Concilio di Ferrara-Firenze”, e men che meno lo “spirito del Concilio di Trento”, così come non abbiamo mai avuto un “postconcilio” dopo il Lateranense IV o il Vaticano I.


    Il motivo è evidente: quei Concili erano tutti, indistintamente, l’espressione della voce unisona di Santa Madre Chiesa, e per ciò stesso di Nostro Signore Gesù Cristo. Significativamente quanti sostengono la novità del Vaticano II aderiscono anche alla dottrina ereticale che vede contrapposto il Dio dell’Antico Testamento al Dio del Nuovo, quasi si potesse dare una contraddizione tra le Divine Persone della Santissima Trinità. Evidentemente questa contrapposizione quasi gnostica o cabalistica è funzionale alla legittimazione di un nuovo soggetto volutamente diverso e opposto rispetto alla Chiesa Cattolica».[1]

     Tuttavia, benché ferocemente attaccata e ferita, sino al 2013 rimaneva chiaro quale fosse visibilmente la Chiesa cattolica. 

    Dal 2013, invece, è iniziato un tale rapidissimo oscuramento che rende ogni giorno più difficile individuarla con facilità perché l’impostura religiosa sembra ormai prossima a completa realizzazione.

    Per usare ancora le parole di mons. Viganò:

    «A rendere tangibile la separazione innaturale, anzi, direi perversa, tra Gerarchia e Chiesa, tra obbedienza e fedeltà è stato certamente quest’ultimo Pontificato. [...] il 13 Marzo 2013 cadeva la maschera dei congiurati, finalmente liberi della scomoda presenza di Benedetto XVI e sfrontatamente orgogliosi di esser finalmente riusciti a promuovere un Cardinale che incarnasse i loro ideali, il loro modo di rivoluzionare la Chiesa, di renderne preteribile la dottrina, adattabile la morale, adulterabile la liturgia, abrogabile la disciplina. E tutto questo è stato considerato, dagli stessi protagonisti della congiura, la logica conseguenza e la ovvia applicazione del Vaticano II, secondo loro indebolito proprio dalle criticità espresse dallo stesso Benedetto XVI. Massimo affronto di quel Pontificato fu la liberalizzazione della veneranda Liturgia tridentina, alla quale veniva finalmente riconosciuta legittimità, smentendo cinquant’anni di illegittimo ostracismo. Non a caso i sostenitori di Bergoglio sono gli stessi che vedono nel Concilio il primo evento di una nuova chiesa, prima della quale c’era una vecchia religione con una vecchia liturgia. Non a caso, appunto: quello che essi affermano impunemente, suscitando lo scandalo dei moderati, è quello che credono anche i Cattolici, ossia che nonostante tutti i tentativi di ermeneutica della continuità miseramente naufragati al primo confronto con la realtà della crisi presente, è innegabile che dal Vaticano II in poi si sia costituita una chiesa parallela, sovrapposta e contrapposta alla vera Chiesa di Cristo. Essa ha progressivamente oscurato la divina istituzione fondata da Nostro Signore per sostituirla con un’entità spuria, corrispondente all’auspicata religione universale di cui fu prima teorizzatrice la Massoneria. Espressioni come nuovo umanesimo, fratellanza universale, dignità dell’uomo sono parole d’ordine dell’umanitarismo filantropico negatore del vero Dio, del solidarismo orizzontale di vaga ispirazione spiritualista e dell’irenismo ecumenico che la Chiesa condanna senza appello. “Nam et loquela tua manifestum te facit” (Mt 26,73): questo ricorso frequentissimo, quasi ossessivo, allo stesso vocabolario del nemico tradisce l’adesione all’ideologia cui esso si ispira; viceversa, la rinuncia sistematica al linguaggio chiaro, inequivocabile e cristallino proprio della Chiesa conferma la volontà di distaccarsi non solo dalla forma cattolica, ma anche dalla sua sostanza».[2]

     In altre parole, chi ha un minimo di consapevolezza di cosa sia il cattolicesimo e la dottrina cattolica non può più non vedere che la Chiesa di Cristo sembra essere da un’altra parte rispetto a dove eravamo abituati a trovarla.

    «Se fino a Benedetto XVI potevamo ancora immaginare che il colpo di stato del Vaticano II (che il cardinale Suenens definì il 1789 della Chiesa) avesse conosciuto un rallentamento, in questi ultimi anni anche i più ingenui tra noi hanno compreso che il silenzio, per timore di suscitare uno scisma, il tentativo di aggiustare i documenti papali in senso cattolico per rimediare alla loro voluta equivocità, gli appelli e i dubia a Francesco rimasti eloquentemente senza risposta, sono una conferma della situazione di gravissima apostasia cui sono esposti i vertici della Gerarchia, mentre il popolo cristiano e il clero si sentono irrimediabilmente allontanati e considerati quasi con fastidio dall’Episcopato».[3]

     Purtroppo, però, e questa è probabilmente la nota più dolente, non pochi tra quelli che pure si rendono in qualche modo conto della “mutazione genetica” in atto continuano a difendere l’indifendibile venendosi così a schierare di fatto con la chiesa di nuovo conio.

 

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[1]  https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2020/06/arcivescovo-carlo-maria-vigano-siamo-al.html

[2] Ivi.

[3] Ivi.

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