29 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: Apostoli 3

 

GLI APOSTOLI

(terza parte) 


        GIUDA di Simone di Keriot, è giovane, intelligente e colto ed era nel Tempio. È  ambizioso e permaloso. Anche lui, come Tommaso, è dotato di una voce non comune in potenza e bellezza. Voce da tenore. Invidioso poi dei compagni ricorre a tutto pur di emergere (comprese pratiche magiche). Infine delatore, accusatore e traditore di Gesù e dei suo compagni. Crede addirittura di poter all’occorrenza sostituirsi al Messia.

66. «Ti saluto, Maestro. Sono Giuda di Keriot. Non mi riconosci? Non ricordi?». «Ricordo e riconosco. Sei quello che qui mi hai parlato con Tommaso, la scorsa Pasqua».

«E al quale Tu hai detto: “Pensa e sappi decidere prima del mio ritorno”. Ho deciso. Vengo». «Perché vieni, Giuda?». Gesù è proprio mesto.
«Perché... te l’ho detto dall’altra volta il perché. Perché io sogno il regno d’Israele e re ti ho visto». «Per questo vieni?».

«Per questo. Metto me stesso e tutto quanto posso di mio: capacità, conoscenze, amicizie, fatica, al tuo servizio e al servizio della tua missione per ricostituire Israele».

I due ora sono di fronte, vicini, in piedi e si guardano fissamente. Gesù serio sino alla mestizia, l’altro esaltato dal suo sogno, sorridente, bello e giovane, leggero e ambizioso.

«Io non ti ho cercato, Giuda».

«L’ho visto. Ma io ti cercavo».
 
    Fin da subito Giuda di Keriot non piace a tanti: Pietro, Simone, Giuda Taddeo, … e anche alla Madonna:
 
101. «Ma l’uomo di Keriot... quello non mi piace, Figlio. Il suo occhio non è limpido e il suo cuore meno ancora. Mi fa paura».
«Con te è tutto rispetto».
«Troppo rispetto. Anche con Te è tutto rispetto. Ma non è per Te Maestro; è per Te futuro Re, da cui spera utile e lustro. Era un nulla, appena un poco da più degli altri a Keriot. Spera di avere al tuo fianco un ruolo di importanza e... oh! Gesù, non voglio offendere la carità, ma penso, anche se pensare non lo voglio, che in caso che Tu lo deluda egli non esiterà a sostituirsi a Te, a cercare di farlo. È ambizioso, avido e vizioso. Più adatto ad essere cortigiano di un re terreno che un apostolo tuo, Figlio mio. Mi fa paura!». E la Mamma guarda il suo Gesù con due occhi sgomenti nel viso pallido. […]
«Non ho paura di Levi. Egli si è redento perché si è voluto redimere. Ha lasciato il suo peccato insieme al suo banco di gabelliere e si è fatto un’anima nuova per venire con Te. Ma Giuda di Keriot no. Anzi l’orgoglio fa sempre più sua la sua vecchia anima brutta. Ma Tu le sai queste cose, Figlio. Perché me le chiedi? Io non posso che pregare e piangere per Te. Tu sei il Maestro. Anche della tua povera Mamma».
 
    Ciò nonostante, quando poi Giuda manifesta l'intenzione di stare un po' con lei per essere spiritualmente aiutato, Maria è pietosa nei suoi confronti e ne parla con Gesù:
   
262. Cerca il suo Gesù e lo trova assorto in meditazione profonda.

«Figlio, sono io... Ascoltami!».

«Oh! Mamma! Vieni a pregare con Me? Che gioia, che sollievo mi dai!».
«Che, Figlio mio? Sei affaticato nello spirito? Triste? Dillo alla tua Mamma!».
«Affaticato, lo hai detto, e afflitto. Non tanto per la fatica e le miserie che vedo nei cuori, quanto per
l’immutabilità di quelli che sono i miei amici. Ma non voglio essere ingiusto con loro. Uno solo mi affatica. Ed è Giuda di Simone...».

«Figlio, di lui venivo a parlarti...».
«Ha fatto del male? Ti ha dato dolore?».
«No. Ma mi ha fatto la pena che avrei vedendo uno molto infetto... Povero figlio! Quanto è malato nel
suo spirito!».

«E tu ne hai pietà? Non ne hai più paura? Un tempo l’avevi...».
«Figlio mio, la mia pietà è ancora più grande della mia paura. E vorrei aiutare Te e lui a salvare il suo
spirito. Tu tutto puoi e non hai bisogno di me. Ma Tu dici che tutti devono cooperare col Cristo nel redimere... e questo figlio è così bisognoso di redenzione!».

«Che devo fare più che non faccia per lui?».

«Tu non puoi fare di più. Ma potresti lasciarmi fare. Egli mi ha pregata di lasciarlo sostare nella nostra casa, perché gli pare che là potrà liberarsi dal suo mostro... Tu scuoti il capo?

Non vuoi? Glielo dirò...».

«No, Mamma. Non è che non voglia. Scuoto il capo perché so che è inutile. Giuda è come uno che affoga e che, nonostante senta di affogare, respinge per orgoglio la fune gettatagli per trarlo a riva. Manca in lui la volontà di venire a riva. Ogni tanto, preso dal terrore di affogare, cerca e invoca l’aiuto, ci si attacca... e poi, ripreso dall’orgoglio, lascia l’aiuto, lo respinge, vuol fare da sé... e sempre più si appesantisce per l’acqua melmosa che inghiotte. Ma perché non si dica che ho lasciato intentato un rimedio, si faccia anche questo, povera Mamma... Sì, povera Mamma che ti sottoponi, per amore di un’anima, alla sofferenza di avere vicino... uno che ti fa paura».

    Anche la buona madre di Giuda, Maria di Simone di Keriot, continuamente soffre e prega per il figlio e, dopo il tradimento, la troviamo irriconoscibile tanto è sfigurata dall’angoscia. Gesù risorto le appare:
 
632. Maria, ad occhi chiusi, esangue dopo lo sforzo fatto, geme: «La madre di Giuda! di Giuda! di Giuda!». Ansa, poi riprende: «Ma cosa è Giuda? Cosa ho partorito? Cosa è Giuda? Cosa ho...».
    Gesù è nella stanza, che un tremulo lume rischiara perché troppo poca ancora è la luce del giorno per illuminare la stanza vasta, nella quale il letto è nel fondo, molto lontano dall’unica finestra. Chiama dolcemente: «Maria! Maria di Simone!».
La donna è quasi delirante e non dà peso alla voce. È assente, rapita nei gorghi del suo dolore, e ripete le idee che ossessionano il suo cervello, monotonamente, come il tic tac di un pendolo: «La madre di Giuda! Cosa ho partorito? Il mondo urla: “La madre di Giuda”...».
Gesù ha due lacrime nell’angolo degli occhi dolcissimi. Mi stupiscono molto. Non pensavo che Gesù potesse piangere ancora dopo che è risorto...
Si curva. Il letto è così basso, per Lui così alto! Pone la Mano sulla fronte febbrile, respingendo le pezze umide d’aceto, e dice: «Un’infelice. Questo e non altro. Se il mondo urla, Dio copre l’urlo del mondo dicendoti: “Abbi pace, perché Io ti amo”. Guardami, povera mamma! Raccogli il tuo spirito smarrito e mettilo nelle mie mani. Sono Gesù!...».
Maria di Simone apre gli occhi come uscendo da un incubo e vede il Signore, sente la sua Mano sulla sua fronte, porta le mani tremanti al viso e geme: «Non mi maledire! Se avessi saputo cosa generavo, mi sarei strappate le viscere per impedire che egli nascesse».
«E avresti peccato. Maria! oh! Maria! Non uscire dalla tua giustizia per la colpa di un altro. Le madri che hanno fatto il loro compito non devono tenersi responsabili del peccato dei figli. Tu lo hai fatto il tuo dovere, Maria. Dammi le tue povere mani. Sii quieta, povera mamma».
«Sono la madre di Giuda. Immonda sono come tutto ciò che quel demonio toccò. Madre di un demonio!
Non mi toccare». Si dibatte per sfuggire alle Mani divine che la vogliono tenere.

Le due lacrime di Gesù le cadono sul volto tornato acceso di febbre. «Io ti ho purificata, Maria. Il mio pianto di pietà è su te. Su nessuno ho pianto da quando ho consumato il mio dolore. Ma su te piango con tutta la mia amorosa pietà». È riuscito a prenderle le mani e si siede, sì, proprio si siede sull’orlo del lettuccio, tenendo quelle mani tremanti fra le sue.
La pietà amorosa dei suoi fulgidi occhi accarezza, fascia, medica l’infelice, che si calma piangendo tacitamente e mormorando: «Non m’hai rancore?».
«Ho amore. Sono venuto per questo. Abbi pace».
«Tu perdoni! Ma il mondo! Tua Madre! Mi odierà».
«Ella pensa a te come a una sorella. Il mondo è crudele. È vero. Ma mia Madre è la Madre dell’Amore, ed è buona. Tu non puoi andare per il mondo, ma Ella verrà a te quando tutto sarà in pace. Il tempo pacifica...».
«Fammi morire, se mi ami...».

«Ancora un poco. Tuo figlio non seppe darmi nulla. Tu dammi un tempo del tuo soffrire. Sarà breve». «Mio figlio ti ha dato troppo... L’orrore infinito ti ha dato».

«E tu il dolore infinito. L’orrore è passato. Non serve più. Il tuo dolore serve. Si unisce a queste mie piaghe, e le lacrime tue e il Sangue mio lavano il mondo. Tutto il dolore si unisce per lavare il mondo. Le tue lacrime sono fra il mio Sangue e il pianto di mia Madre, e intorno intorno è tutto il dolore dei santi che soffriranno per il Cristo e per gli uomini, per amor mio e degli uomini. Povera Maria!».
La adagia dolcemente, le incrocia le mani, la guarda calmarsi...


    GIACOMO, figlio di Alfeo e di Maria Cleofa, fratello di Giuda Taddeo e cugino di Gesù. Chiamato il Minore perché più giovane dell’altro Giacomo. Da piccolo partecipò con suo fratello, Giuda Taddeo, alle lezioni che Maria SS. dava a Gesù.

    Ha una grande somiglianza con Giuseppe di Nazaret.

99. [Dice Giacomo:] «No, cugino. Non siamo eroici come i tuoi pastori...».

«Lo credi, Giacomo?». Gesù sorride guardando il suo cugino che tanto assomiglia al suo padre putativo, così di un bruno castano negli occhi e nei capelli, e colorito nel volto brunetto, mentre Giuda è più pallido nella cornice della barba nerissima e dei capelli ondulati e ha i suoi occhi di un azzurro quasi violaceo, che vagamente ricordano quelli di Gesù. «Ebbene, Io ti dico che non ti conosci. Tu e Giuda siete due forti».
I cugini crollano il capo.

«Vi persuaderete che non erro».

    Sempre a proposito della sua somiglianze con Giuseppe:

253. Anche Giacomo, in mezzo a Maria d’Alfeo e Susanna, parla del Carmelo. Dice a sua madre: «Gesù mi ha promesso di salire lassù solo con me e di dirmi una cosa, a me soltanto».
«Che ti vorrà dire, figlio? Me la ripeti poi?».
«Mamma, se è un segreto non te lo posso dire», risponde sorridendo del suo sorriso così affettuoso Giacomo, la cui somiglianza con Giuseppe sposo di Maria è molto sensibile nei tratti e ancora più nella pacata dolcezza. 

    Come promesso, Gesù lo conduce sul monte Carmelo e lì gli confida che sarà l’unico apostolo a rimanere a Gerusalemme dopo la passione.
258. [Giacomo] sentendosi alle soglie di una rivelazione, diviene pallido e ancor più lo diventa fino ad essere tutt’uno con la sua veste di lino quando Gesù alza le braccia e gli appoggia le mani sulle spalle, stando così a braccia tese. Allora proprio Giacomo sembra un’ostia. Solo i miti occhi castano scuri e la barba castana mettono un colore su quel volto attento.
    «Giacomo, fratello mio, sai perché ti ho voluto qui, da solo a solo, per parlarti dopo ore di preghiera e meditazione?».
Giacomo pare faccia fatica a rispondere, tanto è commosso. Ma infine apre le labbra per rispondere a bassa voce: «Per darmi una lezione speciale, o per il futuro o perché io sono il più incapace di tutti. Ti ringrazio fino da ora, anche se è un rimprovero. Ma credi, Maestro e Signore, che se io sono tardo e incapace è per deficienza, non per mala volontà».
«Non è un rimprovero ma una lezione, questa sì, per il tempo in cui Io non sarò più con voi. […] Non avere paura, Giacomo. Io non voglio la tua rovina. Perciò, se a questo Io ti destino, è segno che so che da essa non danno, ma soprannaturale gloria ne avrai. Ascoltami, Giacomo. Fai in te la pace, con un bell’atto di abbandono in Me, per potere udire e ricordare le mie parole. Mai più saremo così soli e con lo spirito così preparato ad intenderci.
    Io me ne andrò un giorno. […] Giacomo, tutti saranno dispersi fuorché tu, e ciò sino alla chiamata di Dio al suo Cielo. Tu resterai al posto a cui ti avrà eletto Dio per bocca dei fratelli, tu discendente della stirpe regale, nella città regale, ad alzare il mio scettro ed a parlare del vero Re. […]
    «Non posso, non posso, Signore! Dàllo a mio fratello questo compito. Dàllo a Giovanni, dàllo a Simon Pietro, dàllo all’altro Simone. Non a me, Signore! Perché a me? Che ho fatto per meritarlo? Non vedi che sono un ben povero uomo con una capacità sola: quella di volerti tanto bene e di credere fermamente a tutto quanto Tu dici?».
«Giuda ha un temperamento troppo forte. Andrà molto bene dove c’è da abbattere il paganesimo. Non qui dove è da convincere al cristianesimo coloro che per essere già popolo di Dio si credono nel giusto ad ogni costo. Non qui dove è da convincere tutti coloro che pur credendo in Me saranno delusi dallo svolgimento degli avvenimenti. […]
E tu sarai circondato da fanatici. Fanatici fra i cristiani, fanatici fra gli israeliti. I primi vorranno da te atti di forza o il permesso, almeno, di compierli. Perché il vecchio Israele, con le sue intransigenze e le sue restrizioni, sarà ancora agitante in essi la sua coda venefica. I secondi marceranno contro te e gli altri come per una guerra santa in difesa della vecchia Fede, dei suoi simboli, delle sue cerimonie. E tu sarai al centro di questo mare in tempesta. Tale è la sorte dei capi. E tu sarai il capo di quanti saranno della Gerusalemme cristianizzata dal tuo Gesù. […]
    Tu mi sei parente. Dopo avermi... dopo avermi misconosciuto, la parte migliore di Israele cercherà di avere perdono presso Dio e presso se stessa col cercare di conoscere il Signore che avranno maledetto nell’ora di Satana, e parrà loro di avere perdono, e perciò forza di mettersi nella mia via, se sarà al mio posto uno del mio sangue. […]


    MATTEO, già Levi pubblicano di Cafarnao. Fisicamente bassino, è anziano ed è molto deferente, umile e intelligente. Prende nota dei discorsi di Gesù.

    Di Matteo riportiamo la chiamata da parte di Gesù.

94. Proprio sul limitare della porta della sinagoga vedo il futuro apostolo Matteo. Se ne sta lì, mezzo dentro e mezzo fuori, non so se vergognoso o se seccato da tutti gli ammicchi di cui è fatto segno e anche da qualche epiteto poco piacevole che gli viene indirizzato. Due impaludati farisei raccolgono studiatamente i loro ampli manti, come avessero paura di raccattare la peste sfiorando con essi il vestimento di Matteo.
Gesù, entrando, lo fissa per un attimo e per un attimo sosta. Ma Matteo china il capo e basta.
Pietro, appena passati oltre, dice piano a Gesù: «Sai chi è quell’uomo arricciato, profumato più di una femmina? È Matteo, il nostro esattore... Che ci viene a fare qui? È la prima volta. Forse non ha trovato i compagni, e le compagne soprattutto, con i quali passa il sabato, spendendo in orgie quel che ci succhia in tasse duplicate e triplicate per averne per il fisco e per il vizio».
 
Gesù guarda Pietro così severamente che Pietro diventa rosso come un papavero e china il capo, fermandosi, in modo che da primo diventa l’ultimo nel gruppo apostolico.
 
95. I discepoli fanno festa al nuovo venuto e a Giuda che da giorni non vedevano.

«Ti avevamo cercato a casa... ma eri sul lago».

«Sì, sul lago per due giorni con Pietro e gli altri. Pietro ha avuto buona pesca. Non è vero?».

«Sì, e ora, questo mi spiace, dovrò dare tante didramme a quel ladro là...», e accenna il gabelliere  Matteo, che ha il banco assediato da gente che paga per il suolo, credo, o per le derrate.

«Sarà tutto in proporzione, dico. Più peschi e più paghi, ma anche più guadagni».

«No, Maestro. Più pesco e più guadagno. Ma, se faccio peso doppio di pesca, quello là non mi fa pagare il doppio. Mi fa dare il quadruplo... Sciacallo!».

«Pietro! Ebbene, andiamo proprio là vicino. Voglio parlare. Vi è gente sempre presso quel banco di gabella».

«Sfido io!», borbotta Pietro. «Gente e maledizioni».
«Ebbene, Io andrò a mettervi benedizioni. Chissà che un poco di onestà non entri nel gabelliere». «Stai pure tranquillo che la tua parola non passerà per la sua pelle di coccodrillo».

«Vedremo».

«Che gli dirai?».
«Nulla direttamente. Ma parlerò in modo che vada anche a lui».
«Dirai che è ladro tanto chi assalta sulle strade come chi scortica i poveri che lavorano per avere il pane, non per le femmine e le ebbrezze?».
«Pietro, vuoi parlare tu per Me?».

«No, Maestro. Non saprei parlare bene».

«E con l’acre che hai dentro faresti male a te e a lui».
    Sono giunti presso al banco della gabella. Pietro fa per pagare. Gesù lo ferma e dice: «Dammi le monete. Pago Io, oggi». Pietro lo guarda stupito e poi dà una borsa di pelle con dei soldi.
Gesù aspetta il suo turno e, quando è di fronte al gabelliere, dice: «Pago per otto corbe di pesce di Simone di Giona. Le corbe eccole là, ai piedi dei garzoni. Verifica, se credi. Ma fra onesti non dovrebbe che bastare la parola. E credo tu mi creda tale. Quanto è la tassa?».
Matteo, che era seduto al suo banco, al punto in cui Gesù dice: «Credo che tu mi creda tale», si alza in piedi. Basso e già anzianotto, su per giù come Pietro, mostra però il viso stanco del gaudente ed una palese confusione. Sta a capo chino sul principio, poi lo alza e guarda Gesù. E Gesù lo guarda fisso, serio, dominandolo con tutta la sua imponente statura.
«Quanto?», ripete Gesù dopo un poco.
«Non vi è tassa per il discepolo del Maestro», risponde Matteo. E a voce più bassa aggiunge: «Prega per l’anima mia».
«La porto in Me, perché raccolgo i peccatori. Ma tu... perché non la curi?». E Gesù gli volge le spalle subito dopo, tornando a Pietro che è trasecolato di stupore. Anche altri sono trasecolati. Bisbigliano, ammiccano...
    Gesù si pone addossato ad un albero, a un dieci metri da Matteo, e inizia a parlare.
[…]
Gesù ha finito. Se ne va senza neppure voltarsi verso Matteo, che è venuto presso il cerchio degli ascoltatori sin dalle prime parole. 

96. Gesù scende dalla barca e passa fra la folla che gli si accalca intorno. All’angolo di una casa è ancora Matteo che ha ascoltato da lì il Maestro, non osando di più. Giunto a quell’altezza, Gesù si ferma e, come se benedicesse tutti, benedice ancora una volta, guarda Matteo e poi se ne va di nuovo fra il gruppo dei suoi, seguito dal popolo, e scompare in una casa. 

97. Ancora la piazza del mercato di Cafarnao. Ma in un’ora più calda, in cui il mercato è già finito e sulla piazza sono solo degli sfaccendati che parlano e dei bambini che giuocano. […]
Gesù va diritto verso il banco delle gabelle, dove Matteo sta tirando i suoi conti e verificando le monete, che suddivide per categorie, mettendole in sacchetti di diverso colore e collocandoli in un forziere di ferro, che due servi attendono di trasportare altrove.
Appena l’ombra gettata dall’alto corpo di Gesù si allunga sul banco, Matteo alza il capo per vedere chi è il ritardatario pagatore. Pietro, intanto, dice, tirando Gesù per una manica: «Non c’è nulla da pagare, Maestro. Che fai?».
Ma Gesù non gli dà retta. Guarda fisso Matteo, che si è subito alzato in piedi con atto reverente. Un altro sguardo trapanante. Ma questo non è lo sguardo del giudice severo dell’altra volta. È uno sguardo di chiamata e di amore. Lo avviluppa, lo satura di amore. Matteo diventa rosso. Non sa che fare, che dire...
«Matteo, figlio di Alfeo, l’ora è suonata. Vieni. Seguimi!», impone Gesù maestosamente. «Io? Maestro, Signore! Ma sai chi sono? Per Te, non per me lo dico...».

«Vieni. Seguimi, Matteo, figlio d’Alfeo», ripete più dolce.

«Oh! come posso aver trovato grazia presso Dio? Io... Io...».
«Matteo, figlio di Alfeo, Io ti ho letto il cuore. Vieni, seguimi». Il terzo invito è una carezza.
«Oh! subito, mio Signore!» e Matteo, piangente, esce da dietro il banco, senza neppur occuparsi di raccogliere le monete sparse sul banco, di chiudere il cofano. Nulla.
«Dove andiamo, Signore?», chiede quando è presso a Gesù. «Dove mi porti?».

«A casa tua. Vuoi ospitare il Figlio dell’uomo?».
«Oh!... ma... ma che diranno quelli che ti odiano?».
«Io ascolto quel che si dice in Cielo, e là si dice: “Gloria a Dio per un peccatore che si salva!”, e il Padre dice: “In eterno la Misericordia si alzerà nei Cieli e si librerà sulla Terra e, poiché di un eterno amore, di un perfetto amore Io ti amo, ecco che anche a te uso misericordia”. Vieni. E, con la mia venuta, oltre che il cuore ti si santifichi la casa».
«Già purificata l’ho, per una speranza che avevo nell’anima mia... ma che la ragione non poteva credere che fosse vera...
Oh! io coi tuoi santi...», e guarda i discepoli.
«Sì. Coi miei amici. Venite. Vi unisco. E siate fratelli».

I discepoli sono talmente stupefatti che non hanno ancor trovato modo di dir parola. Hanno camminato in gruppo dietro a Gesù e Matteo nella piazza tutta sole, e ormai assolutamente vuota di popolo, per un breve tratto di strada che arde in un sole abbacinante. Non c’è un vivente per le strade. Solo il sole e la polvere.
    Entrano in casa. Una bella casa dal largo portone che si apre sulla via. Un bell’atrio ombroso e fresco, oltre il quale si vede un ampio cortile messo a giardino.
«Entra, Maestro mio! Portate acqua e bevande».

I servi accorrono col richiesto. Matteo esce a dare ordini mentre Gesù e i suoi si rinfrescano. Poi torna. «Ora vieni, Maestro. La sala è più fresca... Ora verranno amici... Oh! voglio sia fatta gran festa! È la mia rigenerazione... È la mia... è la mia circoncisione vera, questa... Tu mi hai circonciso il cuore col tuo amore... Maestro, sarà l’ultima festa... Ora non più feste per il pubblicano Matteo. Non più feste di questo mondo... Solo la festa interna dell’essere redento e di servire Te... di essere amato da Te... Quanto ho pianto... Quanto, in questi mesi... Sono quasi tre mesi che piango... Non sapevo come fare... volevo venire... Ma come venire da Te, Santo, con la mia anima sporca?...».
«Tu la lavavi col pentimento e con la carità. Per Me e per il prossimo. Pietro? Vieni qui».
Pietro, che ancora non ha parlato tanto è sbalordito, viene avanti. I due uomini, ugualmente anziani, bassotti, tarchiati, sono di fronte, e Gesù è fra l’uno e l’altro, sorridente, bello.
«Pietro, tu mi hai chiesto tante volte chi era lo sconosciuto della borsa portata da Giacomo. Eccolo, lo hai di fronte».
«Chi? Questo lad... Oh! perdona, Matteo! Ma chi lo poteva pensare che eri tu? e che proprio tu, nostra disperazione per la tua usura, fossi capace di strapparti tutte le settimane un pezzo di cuore dando quel ricco obolo?».
«Lo so. Vi ho ingiustamente tassati. Ma ecco, io mi inginocchio davanti a voi tutti e vi dico: non mi cacciate! Egli mi ha accolto. Non siate da più di Lui nella severità».
Pietro, che si trova ai piedi Matteo, lo alza di colpo, di peso, rudemente e affettuosamente: «Su, su. Non a me né agli altri. A Lui chiedi perdono. Noi... va’ là, su per giù siamo tutti ladri come te... Oh! l’ho detto! Maledetta lingua! Ma sono fatto così: quel che penso dico, quel che ho in cuore ho sul labbro. Vieni, che facciamo patto di pace e di amore», e bacia sulle guance Matteo.
Anche gli altri lo fanno, più o meno affettuosamente. Dico così perché Andrea è sostenuto, per la sua timidezza, e Giuda Iscariota è gelido. Pare che abbracci un fascio di rettili, tanto il suo abbraccio è scostante e breve.

28 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: a proposito di gender

 

A proposito di gender


262. Una figlia indesiderata e il ruolo della donna redenta. L'Iscariota chiede l'aiuto di Maria.

[...]

[Dice Maria di Nazaret:] È bella, non è vero?».
«Molto bella e robusta. La madre può esserne felice», conferma Gesù, curvo anche Lui ad osservare il sonno dell’innocente.
«Invece non lo è... Il marito è irritato perché tutti i figli sono femmine. È vero che coi campi che abbiamo sono meglio i maschi. Ma la nostra figlia non ne ha colpa...», sospira la padrona di casa, sopraggiunta.
«Sono giovani. Si amino e avranno anche maschi», dice sicuro il Signore.
    «Ecco Filippo... Ora si farà scuro...», mormora turbata la donna. E più forte dice: «Filippo, c’è il Rabbi di Nazaret».
«Molto lieto di vederlo. Pace a Te, Maestro».
«E a te, Filippo. Ho visto la tua bella bambina. Anzi la sto ancora guardando perché è degna di lode. Dio ti benedice con bambini belli, sani e buoni. Gli devi essere molto grato... Non rispondi? Sembri crucciato...».
«Speravo fosse un maschio, io!».
«Non vorrai già dirmi che sei ingiusto accusando l’innocente di essere femmina, e tanto meno essere duro con la tua sposa?», chiede severo Gesù.
«Volevo un maschio io! Per il Signore e per me!», esclama risentito Filippo.
«Ed è con una ingiustizia ed una ribellione che credi di ottenerlo? Hai letto forse nel pensiero di Dio? Sei da più di Lui per dirgli: “Fa’ così perché ciò è giusto?”. Questa donna mia discepola non ha figli, ad esempio. Ed è giunta a dirmi: “Benedico la mia sterilità che mi dà ali per seguirti”. E questa, madre di quattro maschi, anela che tutti e quattro siano non più suoi. È vero, Susanna e Maria? Le senti? E tu, sposato da pochi anni ad una donna feconda, benedetto da tre bocci di rose che chiedono il tuo amore, sei sdegnato? Con chi? Perché? Non lo vuoi dire? Lo dico Io: perché sei un egoista. Deponi subito il tuo rancore. Apri le braccia a questa creatura nata dal tuo seme ed amala. Avanti! Prendila!», e Gesù prende il fagottino di lini e lo depone nelle braccia del giovane padre. Gesù riprende a parlare: «Vai da tua moglie che piange e dille che tu l’ami. O Dio veramente non ti darà mai più un maschio. Io te lo dico. Vai!...».

L’uomo sale nella camera dove è la sposa.


«Grazie, Maestro!», sussurra la suocera. «Egli da ieri era molto crudele...».


L’uomo ridiscende dopo qualche minuto e dice: «L’ho fatto, Signore. La donna ti ringrazia. E dice di chiederti il nome della piccina, perché... perché io avevo destinato a lei un nome troppo brutto nel mio odio ingiusto...».


«Chiamala Maria. Ha bevuto il pianto amaro insieme alla prima goccia di latte, amaro esso pure per la tua durezza; può chiamarsi Maria, e Maria l’amerà. Non è vero, Madre?».


«Sì, povera piccolina. È tanto graziosa. E sarà certo buona divenendo una stellina del Cielo».

[…]

«Anche Tu oggi hai fatto un miracolo invisibile ma certo reale. Non è vero, Maestro?», chiede il Taddeo.

«Sì, fratello».


«Era meglio farlo visibile», osserva Filippo.


«Volevi che cambiassi la piccola in un pargolo? Il miracolo in realtà è una alterazione delle cose destinate, un benefico disordine, perciò, che Dio concede per acconsentire alla preghiera dell’uomo, onde mostrargli che lo ama, o persuadere che Egli è Colui che è. Ma dato che Dio è ordine, non viola in maniera esagerata l’ordine. La bambina è nata donna e donna resta».

«Ero così afflitta questa mattina!», sospira la Vergine.


«Perché? La bambina disamata non era tua», dice Susanna.


E aggiunge: «Io quando vedo qualche disgrazia in un fanciullo dico: “Buon per me che non ne ho!”». «Non lo dire, Susanna! Non è carità. Io pure potrei dirlo, perché la mia unica Maternità è trascesa dalle leggi naturali. Ma non lo dico perché sempre penso: “Se Dio non mi avesse voluta vergine, forse quel seme sarebbe caduto in me, e madre sarei io di quest’infelice”, e così ho pietà di tutti... Perché dico: “Avrebbe potuto essere mio figlio”, e come madre vorrei tutti buoni, sani, amati e amabili, perché così desiderano le madri per i figli loro», risponde dolcemente Maria. E Gesù pare vestirla di luce tanto la guarda con occhio radioso.
«È per questo che hai pietà di me...», dice l’Iscariota sottovoce.
«Di tutti. Fosse anche dell’assassino del mio Figlio. Perché penso che sarebbe il più bisognoso di perdono... e di amore. Perché tutto il mondo lo odierebbe certamente».
«Donna, dovresti faticare molto a difenderlo per dargli tempo di convertirsi... Io lo leverei subito di mezzo, per il primo...», dice Pietro.


27 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: Apostoli 2

 

GLI APOSTOLI

(seconda parte) 


    TOMMASO, è giovane e di professione orefice. I suoi genitori e la sorella gemella, che è sposata, vivono a Rama di Giudea. È di carattere gioviale e allegro e il suo volto pienotto e bonario. Ha poi un vocione potente (baritono profondo) che torna assai utile quando c’è da smistare la folla.
    Tommaso incontra Gesù insieme a Giuda di Keriot e il Signore li fa attendere prima di prenderli con sé.
 
54. [Giuda di Keriot dice a Gesù:] «Prendimi con Te».
«Prenderti? Ora? Subito? No».

«Perché, Maestro?».

«Perché è meglio pesare sé stessi prima di prendere vie molto erte».

«Non credi alla mia sincerità?».

«L’hai detto. Credo al tuo impulso. Ma non credo alla tua costanza. Pensaci, Giuda. Io ora andrò via e tornerò per la Pentecoste. Se stai nel Tempio, mi vedrai. Pesa te stesso.
E tu chi sei?».

«Un altro che ti vide. Vorrei esser teco. Ma ora ne ho sgomento».

«No. La presunzione è rovina. Il timore può esser ostacolo, ma se viene da umiltà è aiuto. Non temere. Anche tu pensa, e quando verrò...».

«Maestro, sei tanto santo! Ho paura di non esser degno. Non d’altro. Perché sul mio amore non temo...».

«Come ti chiami?».

«Tommaso, detto Didimo».

«Ricorderò il tuo nome. Va’ in pace».

Gesù li congeda e si ritira nella casa ospitale per la cena.
I sei che sono con Lui vogliono sapere molte cose. «Perché, Maestro, hai fatto differenza fra i due?... Perché una differenza ci fu. Tutti e due avevano lo stesso impulso...», chiede Giovanni.
«Amico, anche lo stesso impulso può avere diverso succo e fare diverso effetto. Certo che i due hanno lo stesso impulso. Ma uno non è uguale all’altro nel fine. E quello che pare il meno perfetto è il più perfetto, perché non ha fomite di gloria umana. Mi ama perché mi ama».

    Ma Tommaso non riesce ad allontanarsi.

Bussano alla porta. È Tommaso da capo. Entra e si butta ai piedi di Gesù. «Maestro... io non posso attendere il tuo ritorno. Lasciami con Te. Sono pieno di difetti, ma ho questo amore, solo, grande, vero, il mio tesoro. È tuo, è per Te. Lasciami, Maestro...».
Gesù gli pone la mano sul capo. «Resta, Didimo. Seguimi. Beati quelli che sono sinceri e tenaci nel volere. Voi benedetti. Più che parenti mi siete, perché mi siete figli e fratelli non secondo il sangue che muore ma secondo il volere di Dio e il vostro volere spirituale. Ora Io dico che non ho più stretto parente di colui che fa la volontà del Padre mio, e voi la fate perché volete il bene».

    Tra gli apostoli sembra essere il più capace in cucina. 

118. Nella cucina traffica Tommaso e pare un cuoco provetto, tanto sa dosare fuoco e fiamma e pulire svelto le verdure che il bel Giuda si è degnato di portare dal paese vicino.

    Ma non con il pesce.

«Lo vedi che di fame non si muore?», dice Tommaso all’Iscariota. E poi dice: «Dammi il pesce, Andrea. Che bello! Ma come si fa a prepararlo?... Qui non so fare».
«Ci penso io», dice Andrea. «Sono pescatore», e si mette in un angolo a sventrare i suoi pesci ancora vivi. 

Il vino dell’Ultima Cena proviene dalle famose vigne del padre.
Nella visita di Gesù a Rama in casa della sorella di Tommaso, infatti, il padre lo promise a Gesù stesso:

363. Gesù esce di casa andando con gli apostoli e con tutti i parenti maschi di Tommaso a vedere alcune vigne che pare abbiano un pregio speciale. Tanto il vecchio come il cognato di Tommaso illustrano la posizione del vigneto e la rarità delle piante, che per ora non hanno che foglioline tenerelle.
E Gesù benignamente ascolta queste spiegazioni, interessandosi di potature e di sarchiamenti come della cosa più utile della Terra. Alla fine dice sorridendo a Tommaso: «Te la devo benedire questa dote della tua gemella?».
«Oh! mio Signore! Io non sono Doras né Ismaele. So che il tuo alito, la tua presenza in un luogo è già benedizione. Ma se vuoi alzare la tua destra su queste piante fallo, e certo santo sarà il loro frutto».
«E abbondante no? Che ne dici, padre?».
«Basta santo. Santo basta! Ed io lo pigierò e te lo manderò per la Pasqua prossima, e lo userai nel calice del rito».
«È detto. Ci conto. Voglio nella Pasqua futura consumare il vino di un vero israelita».
 

    SIMONE ZELOTE, già discepolo del Battista. È anziano ed e amico di Lazzaro con proprietà attigua alla sua a Betania. Perseguitato politico, perché a suo tempo legato agli Zeloti, si era salvato perché era diventato lebbroso. Guarito da Gesù diviene suo discepolo e gli fa conoscere l’amico Lazzaro.

    Queste sono le indicazioni che Gesù dà a Tommaso perché possa riconoscerlo:

55. «È alto e magro. Di colorito oscuro come un sangue misto, occhi profondi e nerissimi sotto sopracciglia di neve, capelli bianchi come il lino e piuttosto ricci, naso lungo, camuso verso la punta come quello dei Libi, labbra grosse, specie l’inferiore, e sporgenti. È tanto olivastro che il labbro è tendente al violaceo. Sulla fronte una cicatrice di antica data è rimasta, e sarà l’unica macchia, ora che sarà mondato da croste e sudiciume».
«È un vecchio, se è tutto bianco».
«No, Filippo. Lo sembra, ma non lo è. La lebbra lo ha fatto canuto».

    Molto equilibrato e colto, Simone fungerà spesso da moderatore fra gli apostoli.
 
224. [Dice Gesù:] «quando Io non sarò più fra voi, ricordate che, dovendo giudicare di una conversione e di una potenza di santità, dovete sempre tenere per misura l'umiltà. Se in uno perdura orgoglio non illudetevi che sia convertito. E se in uno anche detto "santo" regna superbia, siate certi che santo non è. Potrà ciarlatanescamente e ipocritamente fare il santo, simulare prodigi.
Ma non è tale. L'apparenza è ipocrisia, i prodigi satanismo. Avete capito?».
«Sì, Maestro»... Tacciono tutti molto pensierosi. E se le bocche stanno chiuse, i pensieri si indovinano chiari dai loro sguardi, dalle loro espressioni. Una grande voglia di sapere tremola come un etere intorno a loro, emanandosi da loro...»
Lo Zelote si studia di distrarre i compagni per avere tempo di parlare loro in disparte e certo consigliarli ancora a tacere. Ho l'impressione che lo Zelote abbia molto questo ministero nel gruppo apostolico. È il moderatore, il conciliatore, il consigliere dei compagni, oltre che essere colui che capisce tanto bene il Maestro.

    Dopo l’ultima Cena viene incaricato da Gesù di raccogliere gli apostoli e portarli da Lazzaro a Betania dopo la Sua morte.
 
602. «Non vi separate... Divisi, sareste un nulla. Uniti, sarete ancora una forza. Simone, promettimi questo. Tu sei pacato, fedele, hai parola e impero anche su Pietro. E hai un grande obbligo con Me. Te lo ricordo per la prima volta, per importi l’ubbidienza. Guarda, siamo al Cedron. Di lì sei salito a Me lebbroso e di lì sei partito mondato. Per quello che ti ho dato, dammi. Dàllo all’Uomo ciò che Io ho dato all’uomo. Ora il lebbroso sono Io...».
«Nooo! Non lo dire!», gemono insieme i due discepoli.
«Così è! Pietro, i fratelli miei saranno i più accasciati. Come un delinquente si sentirà l’onesto mio Pietro e non avrà pace. E i fratelli... Non avranno cuore di guardare la loro e la mia Madre... Te li raccomando...».
«Ed io, Signore, di chi sarò? A me non pensi?».
«O mio fanciullo! Tu sei affidato al tuo amore. È tanto forte che ti guiderà come una madre. Non ti do ordine né guida. Ti lascio sulle acque dell’amore. Sono in te un fiume tanto calmo e profondo che non mi mettono dubbio sul tuo domani. Simone, hai inteso? Promettimi, promettimi!». È penoso vedere Gesù tanto angosciato... Riprende: «Prima che vengano gli altri! Oh! grazie! Sii benedetto!». 
 
    Pertanto, soltanto due apostoli non sono venuti meno durante la passione: Giovanni e Simone.
 
621. [Dice Filippo:] «Oh! Lazzaro! Lazzaro! Io sono fuggito... e ieri, oltre Gerico, ho saputo che è morto!... Io... io non mi posso perdonare di essere fuggito...».

«Tutti siamo fuggiti. Meno Giovanni che è rimasto a Lui fedele e Simone che ci ha radunati per ordine suo dopo che da vili fuggimmo. E poi... di noi apostoli, nessuno fu fedele», dice Bartolomeo.

«E te lo puoi perdonare?».

«No. Ma penso riparare come posso col non cadere nell’abbattimento sterile. Dobbiamo unirci fra noi. Unirci a Giovanni. Sapere le sue ultime ore. Giovanni lo ha sempre seguito», risponde a Filippo il compagno Bartolomeo.
«E non fare morire la sua Dottrina. Bisogna predicarla al mondo. Tenere viva quella almeno, posto che, troppo pesanti e tardi, non sapemmo provvedere in tempo a salvarlo dai suoi nemici», dice lo Zelote. «Non potevate salvarlo. Nulla lo poteva salvare. Egli me lo ha detto. Lo ridico un’altra volta», dice sicuro Lazzaro.

«Tu lo sapevi, Lazzaro?», chiede Filippo.

«Lo sapevo. La mia tortura è stata di sapere, dalla sera del sabato, la sua sorte da Lui, e nei particolari, nel sapere come noi avremmo agito...».

«No. Tu no. Tu hai solo ubbidito e sofferto. Noi abbiamo agito da vili. Tu e Simone siete i sacrificati all’ubbidienza», prorompe Bartolomeo.

«Sì. All’ubbidienza. Oh! come è pesante fare resistenza all’amore per ubbidienza all’Amato!
    Vieni, Filippo. Nella mia casa sono quasi tutti i discepoli. Vieni tu pure». «Mi vergogno di apparire al mondo, ai compagni...».

«Tutti uguali siamo!», geme Bartolomeo.

«Sì. Ma io ho un cuore che non si perdona».
«Ciò è orgoglio, Filippo. Vieni. Egli mi ha detto la sera del sabato: “Essi non si perdoneranno. Di’ loro che Io li perdono, perché so che non sono loro che agiscono liberamente. Ma è Satana che li travia”. Vieni».
Filippo piange più forte, ma cede. E, curvo come fosse divenuto vecchio in pochi giorni, va a fianco di Lazzaro fino al cortile dove tutti lo attendono. E lo sguardo che egli dà ai compagni, e quello che i compagni dànno a lui, è la confessione più chiara del loro accasciamento totale.
 

    GIUDA TADDEO, figlio di Alfeo e di Maria Cleofa, fratello di Giacomo il Minore e cugino di Gesù. Da piccolo partecipò con suo fratello Giacomo alle lezioni che Maria SS. dava a Gesù. Va a Betsaida per portare a Gesù l’invito a partecipare alle nozze di Cana.

    Dal punto di vista fisico,

51. Giuda Taddeo è un bell’uomo nella pienezza della bellezza virile. Alto, sebbene non quanto Gesù, ben proporzionato nella sua robustezza, bruno, come lo era S. Giuseppe da giovane, di un olivastro non terreo e con occhi che hanno qualcosa di comune con quelli di Gesù, perché sono di una tinta azzurra, ma tendente al pervinca. Ha barba quadrata e bruna, capelli mossi, meno a ricciolo di quelli di Gesù, bruni come la barba.

    Franco e di nobile aspetto, ha per l’Iscariota suo omonimo una spiccata antipatia, che Gesù cerca di correggere, ma che ogni tanto esplode.

498. «Egli è il Maestro, e io... sono io... Ma fossi io Lui, oh! l’uomo di Keriot non sarebbe con noi!», dice il Taddeo con dei lampi negli occhi bellissimi che ricordano quelli di Cristo.
«Tu credi? Tu sospetti? Cosa?», dicono in diversi.
«Nulla. Nulla di preciso. Ma quell’uomo non mi piace».
«Non ti è mai piaciuto, fratello. Una ripulsione irragionevole perché sorta al primo incontro. Tu me lo hai confessato. È contraria all’amore. Dovresti vincerla, non fosse altro che per dar gioia a Gesù», dice calmo e persuasivo Giacomo d’Alfeo.
«Hai ragione, ma... non ci riesco. 
 
    Di seguito un’esplosione particolarmente forte dopo che l’Iscariota ha parlato in maniera irrispettosa del Signore.
 
600. «Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l’Iscariota.
«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l’altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: “Hai ragione”. Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.
«E non è follia un’idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sé. Ora è uno stanco di mente».
«Il che significa demente. Non è vero?», chiede l’altro cugino Giuda, in apparenza calmo.
«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre, giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi... lo amammo tanto che l’amore ci fu velo. Ma quelli che l’amarono non idolatramente — tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima — videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah!».
Giuda Taddeo, che, alto come l’Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c’è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».
Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi!... È chiaro che tutti approvano.

26 ottobre 2022

Rapporto tra fede e preghiera

 

Lo sai che se si crede bene, si prega bene e se si prega bene, si crede bene?*

C’è un rapporto tra la preghiera e il nostro credere e, viceversa, tra il nostro credere e la preghiera? E inoltre: che rapporto c’è tra la preghiera per eccellenza, la Messa, e il vivere in un determinato modo la propria fede?

Per rispondere a questi interrogativi bisogna dire qualcosa in merito al rapporto tra lex orandi (regola della preghiera) e lex credendi (regola del credere). Diciamo subito che nel Cattolicesimo c’è un rapporto strettissimo tra Credo e Preghiera, ma anche tra Preghiera e Credo.

Insomma, se si prega bene, si crede bene. Se si crede bene, si prega bene.

Tra Credo e Preghiera

La successione tra Credo e Preghiera è una successione logica. Infatti, c’è un legame propedeutico tra conoscenza e amore. Non si può amare ciò che non si conosce. Bisogna prima conoscere e poi si può amare.

Indubbiamente la conoscenza da sola non basta, ma è altrettanto indubbiamente necessaria, pena la riduzione della fede a fatto puramente intimistico ed emozionale. Cosa che accade molto spesso oggi, dove c’è una deriva sentimentalista della fede. Tutto viene ridotto ad “esperienza”, senza sapere che è sempre la verità a garantire la correttezza di un esperienza, non il contrario: l’esperienza a garantire la verità.

Succede che molti non sanno perché sono cristiani e si limitano a dire: sono cristiano perché sono felice di esserlo. Ma anche il musulmano potrebbe dire la stessa cosa: sono musulmano perché sono felice di esserlo. E come risolviamo il problema? Felicità per felicità chi ha ragione? Ecco dunque che è importante la Verità che giudica e deve giudicare tutto.

Tra Preghiera e Credo

Ma non c’è solo la successione logica Credo-Preghiera, vi è anche quella ontologica Preghiera-Credo.

Infatti, c’è un primato ontologico, nella sostanza, cioè nel valore, dell’amore sulla conoscenza. D’altronde Gesù dice nel Vangelo che noi saremo giudicati sull’amore.

Il demonio conosce benissimo la teologia, ma non si è salvato. La conosce molto meglio di tanti qui sono su questa terra, ma a nulla gli è valso, anzi… non gli è valso nulla proprio perché non ha amato.

L’amore è la conformazione alla volontà di Dio. Nel Pater non diciamo sia pensato il tuo pensiero, ma sia fatta la tua volontà.

Solo nel Cristianesimo

Questo rapporto Credo-Preghiera e Preghiera-Credo è presente solo nel Cristianesimo. In un certo qual modo possiamo dire che costituisce una peculiarità cristiana. E ciò per due motivi.

Prima di tutto perché solo il Cristianesimo ha un Dio che è Verità e Amore, cioè un Dio che è Padre.

Secondo, perché solo il Cristianesimo si basa sul concetto di “vita interiore”. In merito a questo ci sarebbe tanto da dire; cosa che non possiamo fare in questa circostanza e che ci farebbe uscire dall’argomento trattato. Ci basti solo dire che il Cristianesimo è fondamentale la Teologia della Grazia. Senza la Grazia, nessun atto è meritevole della vita eterna, come ben afferma l’immagine giovannea della vite e dei tralci. Possiamo fare anche le cose più grandi, ma senza la Grazia a nulla ci varranno: “Io sono la vite e voi i tralci, se i tralci non sono innestati nella vite, si seccano e devono essere buttati nel fuoco.” (Giovanni 15). In queste parole non compare la parola “linfa”, ma è proprio essa ad essere la protagonista. E’ la linfa ciò che i tralci attingono dalla vite per portare frutto, altrimenti si seccano e servono solo per alimentare il fuoco.

 

* [Dal sito Il Cammino dei Tre Sentieri]

24 ottobre 2022

Poema dell'uomo-Dio: Apostoli 1

 

GLI APOSTOLI

(prima parte) 


    Dalla Scrittura sappiamo degli Apostoli ciò che c’è da sapere. Nel Poema dell’uomo-Dio la Valtorta aggiunge all’essenziale delle pennellate che fanno assumere alle loro personalità dei contorni meglio definiti capaci di stimolare interessanti riflessioni.

    Una sintesi dei Dodici la offre la Madonna poco prima del suo transito al Cielo:

649. «Dio è Amore. Ogni sua azione è stata azione d’amore. Dalla creazione all’Incarnazione. Da questa alla Redenzione. Da questa ancora alla fondazione della Chiesa. E infine da questa alla Gerusalemme celeste, che raccoglierà tutti i giusti perché giubilino nel Signore.
    Le dico a te, queste cose, perché tu sei l’Apostolo dell’amore e le puoi capire meglio degli altri...». Giovanni l’interrompe dicendo: «Anche gli altri amano e si amano».


«Sì. Ma tu sei l’Amante per eccellenza. Ognun di voi ebbe sempre una sua caratteristica, come del resto lo è di ogni creatura. Tu, nei dodici, fosti sempre l’amore, il puro e soprannaturale amore. Forse, anzi, certamente perché sei così puro, sei così amante. Pietro, invece, fu sempre l’uomo, e l’uomo schietto e impetuoso. Suo fratello, Andrea, fu il silenzioso e timido quanto l’altro non lo era. Giacomo, tuo fratello, l’impulsivo, tanto che Gesù lo disse figlio del tuono. L’altro Giacomo, fratello di Gesù, il giusto ed eroico. Giuda d’Alfeo, suo fratello, il nobile e leale, sempre. La discendenza di Davide era palese in lui. Filippo e Bartolomeo erano i tradizionalisti. Simone Zelote il prudente. Tommaso il pacifico. Matteo l’umile che, memore del suo passato, cercava di passare inosservato. E Giuda di Keriot, ahimé!, la pecora nera del gregge di Cristo, il serpe scaldato dal suo amore, fu il satanico menzognero, sempre. Ma tu, tutto amore, puoi capire meglio e farti voce d’amore agli altri tutti, ai lontani, per dire ad essi questo mio ultimo consiglio. Dirai loro che si amino e amino tutti, anche i loro persecutori, per essere una sol cosa con Dio, come io lo fui, al punto da meritare di essere eletta sposa dell’Amore eterno perché concepissi il Cristo.

    Prima di lei anche Gesù ci offre una pennellata su ciascuno di loro.

119. [Gesù dice:] «Se Io dovessi fare tutto, non potrei. Voi battezzerete. Prima uno per volta, poi sarete in due, tre, in molti. E Io predicherò e guarirò i malati e i colpevoli».
«Noi battezzare? Oh! io non ne sono degno! Levami, Signore, questa missione! Ho bisogno io d’essere battezzato!». Pietro è in ginocchio e supplica.
Ma Gesù si china e dice: «Proprio tu battezzerai per il primo. Da domani».


«No, Signore! Come faccio se sono più nero di quel camino?».


Gesù sorride della sincerità umile dell’apostolo in ginocchio contro le sue ginocchia, sulle quali tiene congiunte le sue grosse mani di pescatore. E poi lo bacia sulla fronte, al limite dei capelli brizzolati e ruvidi nel loro arricciolarsi: «Ecco. Ti battezzo con un bacio. Sei contento?».
«Farei subito un altro peccato per averne un altro!».


«Questo no. Non si irride Dio abusando dei suoi doni».


«E a me non dai un bacio? Qualche peccato l’ho anche io», dice l’Iscariota.


Gesù lo guarda fissamente. Il suo occhio tanto mutevole passa dalla luce di letizia, che lo faceva chiaro mentre parlava con Pietro, ad una cupezza severa e direi stanca, e dice: «Sì... anche a te. Vieni. Io non ho ingiustizia con nessuno. Sii buono, Giuda. Se tu volessi!... Sei giovane. Tutta una vita per salire sempre, fino alla perfezione della santità...». E lo bacia.
Ora tu, Simone, amico mio. E tu, Matteo, mia vittoria. E tu, saggio Bartolmai. E tu, Filippo fedele. E tu, Tommaso dall’ilare volontà. Vieni, Andrea dal silenzio attivo. E tu, Giacomo del primo incontro. Ed ora tu, gioia del Maestro tuo. E tu, Giuda, compagno di fanciullezza e di gioventù. E tu, Giacomo, che mi richiami il Giusto nell’aspetto e nel cuore. Ecco, tutti, tutti... Ma ricordate che il mio amore è molto, ma ci vuole anche la vostra buona volontà.

 

    Ma vediamoli uno per uno:
 

    PIETRO, chiamato originariamente Simone di Giona, poi anche Simon Pietro. È di Betsaida come Andrea, Giacomo Maggiore, Giovanni, Filippo, Bartolomeo. Se in questo post non ci soffermiamo su di lui è perché preferiamo soffermarci sugli Apostoli meno conosciuti e non certo perché manchino nel Poema dell’uomo-Dio brani interessanti. Aggiungiamo soltanto che è sposato con una buonissima donna riservata, Porfirea, ma non ha figli, con suo grande dispiacere.

    Riportiamo qui un episodio dove Gesù indica Pietro come modello:

498. «Voi dunque cercate di divenire altri Me. E non abbiate frette. L’uomo si evolve lentamente da animale ragionevole in essere spirituale. Compatitevi, compatitevi! Nessuno, tolto Dio, è perfetto.
E ora tutto è passato, non è vero? Trasformatevi con ferma volontà imitando Simone di Giona, che in meno di un anno ha fatto passi di gigante. Eppure... Chi era uomo fra voi più uomo di Simone con tutte le mende di un’umanità molto materiale?».
«È vero, Gesù. È il mio studio continuo quell’uomo. E la mia ammirazione», confessa il Taddeo.

«Sì. Io sono con lui dalla fanciullezza. Lo conosco come mi fosse un fratello. Ma ora ho di fronte un Simone nuovo. Ti confesso che quando dicesti che era il nostro capo, io, e non io solo, sono rimasto perplesso. Mi pareva il meno indicato di tutti. Simone rispetto all’altro Simone e a Natanaele! Simone rispetto a mio fratello e ai tuoi fratelli! Soprattutto a questi cinque! Mi sembrava proprio un errore... Adesso dico che Tu avevi ragione».
«E voi non vedete che la superficie di Simone! Ma Io ne vedo il profondo. Per essere perfetto ha ancora molto da fare e da patire. Ma in tutti vorrei la sua buona volontà, la sua semplicità, la sua umiltà e il suo amore...».

 

    GIOVANNI di Zebedeo (e Maria Salome), già discepolo del Battista. È il discepolo prediletto di Gesù: umile, puro e pieno di amore. Essendo anche lui piuttosto conosciuto, qui possono bastare gli elogi a lui rivolti da Maria e Gesù che sopra abbiamo riportato.

 

    GIACOMO di Zebedeo (e Maria Salome), già discepolo del Battista. È il fratello maggiore di Giovanni e insieme al fratello e a Pietro sono i tre Apostoli che Gesù sceglie di portare con sé alla casa di Giairo dove risuscita la figlia, al monte della trasfigurazione e al Getsèmani.

    In un episodio in cui Giuda di Keriot insiste nel volere che Gesù segua il suo consiglio, così il "figlio del tuono" riprende l’Iscariota:

498. «Ma vuoi proprio andare per questa via? Non mi pare prudente per molte ragioni...», obbietta l’Iscariota.

«Quali? Non sono forse venuti a Me, sino a Cafarnao, uomini di questi paesi, cercando salute e sapienza? Non sono anche essi creature di Dio?».

«Sì... Ma... Non è prudente per Te andare troppo vicino a Macheronte... È un luogo infausto ai nemici di Erode».

«Macheronte è lontana. E non ho tempo di andare sin là. Vorrei andare fino a Petra ed oltre... Ma non giungerò che a mezza via e meno ancora. Ad ogni modo andiamo...».
«Giuseppe ti ha consigliato...».
«Di stare su vie sorvegliate. Questa è appunto la via d’Oltre Giordano che i romani vigilano fortemente. Non sono vile, Giuda, e neppure imprudente».

«Io non mi fiderei. Io non mi allontanerei da Gerusalemme. Io...».
«Ma lascialo fare, il Maestro. Lui è il Maestro e noi i suoi discepoli. Quando mai si è visto che è il discepolo a consigliare il Maestro?», dice Giacomo di Zebedeo.


    ANDREA, fratello di Simon Pietro. Mite, timido e taciturno, lavora nel silenzio senza mai apparire. Sensibile, discreto, si preoccupa di portare a Gesù persone che vede in difficoltà.

    Riportiamo alcuni brevi episodi che mostrano anche quanto siano diversi i fratelli Pietro e Andrea.

49. [Pietro dice a Gesù:] «Io verrò a udirti ancora. Voglio esser tuo discepolo. Un poco di luce entrerà nella mia testa».

«Nel cuore soprattutto, Simone. Nel cuore. E tu, Andrea, non parli?».
«Ascolto, Maestro».


«Mio fratello è timido».

«Diverrà un leone. La sera scende. Dio vi benedica e vi dia buona pesca. Andate».

«La pace a Te». Se ne vanno.

58. [Gesù dice a Pietro:] Sta’ sicuro, Pietro, del mio amore».

Pietro prende la mano di Gesù e la bacia. È commosso.

Andrea guarda e non osa. Ma Gesù gli pone la mano fra i capelli e dice: «Anche te amo molto. Nell’ora della tua aurora vedrai riflesso sulla volta del cielo, lo vedrai senza dover alzare gli occhi, il tuo Gesù che ti sorriderà per dirti: “T’amo. Vieni”, e il passaggio nell’aurora ti sarà più dolce che entrata in camera nuziale…».

101. [Gesù dice a sua madre:] nel mondo non tutti sono angeli e non tutti sono della tempra di Pietro e Andrea.

104. Rientra Andrea, che pare uscito per qualche incombenza perché ha anche delle pagnotte fra le mani. Si accosta tutto rosso, perché attirare su lui l’attenzione deve essere un vero supplizio, e, più che dire, mormora: «Maestro, potresti venire con me? Vi... vi sarebbe da fare un poco di bene. Tu solo puoi».

Gesù si alza senza neppure chiedere cosa è questo bene.

    Ma Pietro chiede: «Dove lo porti? È stanco tanto. È ora di cena. Lo possono aspettare anche domani».

«No... è da fare subito. È...».

«Ma parla, gazzella spaurita! Ma guardate se un uomo grande e grosso deve essere così!... Mi pare un pesciolino impigliato nella rete!».

Andrea diventa ancor più rosso. Gesù lo difende coll’attirarlo a Sé: «A Me piace così. Lascialo fare. Tuo fratello è come un’acqua salutare. Lavora nel profondo e senza rumore, esce come un filo dalla terra, ma chi l’accosta è guarito. Andiamo, Andrea».

«Vengo anche io! Voglio vedere dove ti porta», ribatte Pietro.


Andrea supplica: «No, Maestro. Io e Te soli. Se c’è gente non si può... È cosa di cuori...».


«Che c’è? Ora fai il paraninfo?».


Andrea non risponde al fratello. Dice a Gesù: «Un uomo vuole ripudiare una sposa e... e io ho parlato.

Ma non sono buono. Ma se parli Tu... oh! ti riesce, perché l’uomo non è malvagio. È... è... te lo dirà lui». Gesù esce con Andrea senza dire altro.


Pietro resta un poco incerto, poi dice: «Ma io vado. Voglio almeno vedere dove vanno». Ed esce, nonostante gli altri gli dicano di non farlo.


Andrea sta per svoltare da una vietta popolana. E Pietro dietro. Rigira per una piazzetta piena di comari.

E Pietro dietro. Si infila in un portone che dà in un ampio cortile cinto da casette basse e povere. Dico portone perché c’è un arco. Ma la porta non c’è. E Pietro dietro. Gesù entra in una di queste casette con Andrea. Pietro si apposta lì fuori.

Una donna lo vede e l’interroga: «Sei parente di Aava? E quei due anche? Siete venuti a riprenderla?». «Taci, gallina! Non devo esser visto».


Far tacere una donna! È cosa difficile. E, posto che Pietro la fulmina con gli occhiacci, lei va a parlare ad altre comari. Il povero Pietro è in un momento circondato da un cerchio di donne, ragazzi e anche uomini che, solo per imporsi a vicenda silenzio, fanno un rumore che denuncia la loro presenza. Pietro si rode di stizza... ma non giova.

    Dall’interno viene la voce piena, bella, pacata di Gesù, insieme a quella spezzata di una donna e ad una chiusa, roca, di uomo.

«Se fu sempre buona sposa, perché ripudiarla? Ti ha mai mancato?».


«No, Maestro, te lo giuro! L’ho amato come la pupilla del mio occhio», geme la donna.


E l’uomo, breve e duro: «No. Non mi ha mancato altro che nell’essere sterile. Ed io voglio figli. Non voglio la maledizione di Dio sul mio nome».


«Non ne ha colpa tua moglie di esser tale».


«Me ne fa colpa. A me e ai miei, come di un tradimento...».


«Donna, sii sincera. Sapevi d’esser tale?».


«No. Ero e sono in tutto come tutte. Anche il medico l’ha detto. Ma non riesco ad avere figli». «Lo vedi che non ti ha tradito. Anche lei soffre di questo.


Rispondi tu pure sinceramente: se ella fosse madre, la ripudieresti?».


«No. Lo giuro. Non ne ho motivo. Ma il rabbino l’ha detto, e l’ha detto lo scriba: “La sterile è la maledizione di Dio nella casa e tu hai diritto e dovere di darle libello di divorzio e non affliggere la tua virilità privandola di figli”.

    Io faccio ciò che la Legge dice».

«No. Ascolta. La Legge dice: “Non commettere adulterio” e tu stai per commetterlo. Il comandamento iniziale è questo e non altro. E se, per la durezza dei vostri cuori, Mosè concesse il divorzio, ciò fu per impedire tresche e concubinati odiosi a Dio. Poi sempre più il vostro vizio lavorò sulla clausola di Mosè, ottenendo le malvagie catene e le omicide pietre che sono le condizioni attuali della donna, vittima sempre del vostro prepotere, del vostro capriccio, della vostra sordità e cecità di affetti. Io te lo dico: non ti è lecito fare ciò che vuoi fare. È offesa a Dio il tuo atto. Abramo ripudiò forse Sarai? E Giacobbe, Rachele? Ed Elcana, Anna? E Manue, la sposa? Conosci il Battezzatore? Sì? Ebbene, sua madre non fu sterile sino alla vecchiezza e poi partorì il santo di Dio, così come la sposa di Manue partorì Sansone, ed Anna d’Elcana Samuele, e Rachele Giuseppe, e Sarai Isacco? Alla continenza dello sposo, alla sua pietà per la sterile, alla sua fedeltà alle nozze, Dio concede premio, e premio celebrato nei secoli, così come dà sorriso al pianto delle sterili, non più sterili, né avvilite, ma gloriose nel tripudio d’esser madri. Non ti è lecito offendere l’amore di costei. Sii giusto ed onesto. Dio ti premierà oltre il tuo merito».

«Maestro, Tu solo parli così... Io non sapevo. Avevo chiesto ai dottori e mi avevano detto: “Fàllo”. Ma non una parola per dirmi che Dio premia con doni un atto buono. Siamo in mano loro... e ci chiudono gli occhi e il cuore con una mano di ferro.
Non sono cattivo, Maestro. Non ti sdegnare con me».
«Non ti sdegno. Mi fai pietà ancor più di questa donna piangente. Perché il suo dolore avrà fine con la vita. Il tuo comincerà allora, e per l’eternità. Pensaci».
«No, che non comincerà. Non lo voglio. Mi giuri sul Dio di Abramo che quanto Tu dici è verità?».


«Io sono Verità e Scienza. Chi crede in Me avrà in Lui giustizia, sapienza, amore e pace».


«Io ti voglio credere. Sì, ti voglio credere. Sento in Te qualche cosa che non è negli altri. Ecco. Ora vado dal sacerdote e gli dico: “Non la ripudio più. La tengo, e chiedo solo a Dio che mi aiuti a sentire meno il dolore di essere senza figli”. Aava, non piangere. Diremo al Maestro di venire ancora per tenermi buono, e tu... continua a volermi bene».
La donna piange più forte per il contrasto dal dolore di prima alla gioia attuale.


Gesù sorride, invece. «Non piangere. Guardami. Guardami, donna».


Ella alza il capo. Lo guarda nel volto luminoso col suo volto lacrimoso.


«Vieni qui, uomo. Mettiti in ginocchio presso la sposa. Ora Io vi benedico e santifico la vostra unione.
Udite: “Signore Dio dei padri nostri, che dal fango facesti Adamo e gli desti a compagna Eva perché ti popolassero di uomini la Terra allevandoli nel tuo santo timore, scendi con la tua benedizione e la tua misericordia, apri e feconda le viscere che il Nemico teneva chiuse per portare ad un duplice peccato di adulterio e di disperazione. Abbi pietà di questi due figli, Padre santo, Creatore supremo. Fàlli felici e santi. Ella feconda come una vigna, egli protettore come l’olmo che la regge. Scendi, o Vita, a dar vita. Scendi, o Fuoco, a scaldare. Scendi, o Potente, ad operare. Scendi! Fa’ che, per la festa di lode per le feconde messi del veniente anno, essi ti offrano il loro vivo manipolo, il loro primogenito, figlio sacro a Te Eterno che benedici coloro che in Te sperano”». Gesù ha pregato con voce di tuono, a mani tese sulle due teste chine.
    La gente non si trattiene più e si assiepa, Pietro in prima linea. «Alzatevi. Abbiate fede e siate santi».


«Oh! resta, Maestro!», pregano i due riconciliati.


«Non posso. Tornerò. Più e più volte».
«Resta, resta. Parla anche a noi!», grida la folla.
Ma Gesù benedice e non si ferma. Promette solo di tornare presto. E, seguito da una piccola folla, va alla sua casa ospitale.
«Uomo curioso, che ti dovrei fare?», chiede per via a Pietro.


«Quello che vuoi. Ma intanto io c’ero...».


Entrano nella casa, congedano il popolo che commenta le parole udite, e si pongono a cena.


Pietro è ancora curioso. «Maestro, ma il figlio ci sarà proprio?».


«Mi hai mai visto promettere cose che non si avverano? Ti pare che Io mi permetta di usare la fiducia nel Padre per mentire e deludere?».


«No... ma... A tutti gli sposi potresti fare così?».


«Potrei. Ma lo faccio solo dove vedo che un figlio può essere spinta alla santificazione. Dove sarebbe ostacolo non lo faccio».


Pietro si arruffa i capelli brizzolati e tace.


    FILIPPO è sposato con Maria e ha due figlie giovinette che, una dopo l’altra, si consacreranno. È anziano e molto amico del vecchio Natanaele, chiamato più spesso Bartolomeo. A parlargli di Gesù è l’amico Andrea, che sa quanto grande sia la sua attesa del Messia. Gesù stesso dice poi a Filippo di andare a chiamare il suo grande amico Natanaele Bartolomeo.

    A proposito della sua amicizia con quest’ultimo: 

208. «Con me, allora, il ragazzo», dice Pietro lasciando Giacomo di Zebedeo, che senza proteste va con Tommaso, mentre lo Zelote va con Giuda Taddeo, Giacomo di Alfeo con Matteo, e i due inseparabili Filippo e Bartolomeo per conto loro. Il bambino resta con Gesù e con le Marie. 

240. Quando stanno per giungere, Gesù dice a Bartolomeo e all’inseparabile Filippo: «Andrete ad avvisare le vostre donne. Oggi verrò in casa vostra». E fissa i due in maniera eloquente.
«Sarà fatto, Maestro. Non concedi né a me né a Filippo di averti?».
«Non ci tratteniamo che fino al tramonto e non voglio privare Simon Pietro della gioia di godersi Marziam».
La barca striscia sulla riva e si ferma. Scendono, e Filippo e Bartolomeo si staccano dai compagni per andare in paese.

449. Gesù resta con lo Zelote, i cugini, Matteo, l’Iscariota, Tommaso e gli inseparabili Filippo e Bartolomeo, che preparano le loro sacche ed empiono le borracce, ripongono pani, frutta, tutto quanto occorre.  

    Ad essere amiche sono anche le loro mogli:

338. Bartolomeo dice: «Anche mia moglie colle figlie vuole venire quest'anno, dopo tanti anni, a Gerusalemme. Dice che mai più sarà bello come quest'anno... Non so perché lo dica. Ma ella sostiene che se lo sente in cuore».
«Certo allora verrà anche la mia. Non me l'ha detto... Ma ciò che fa Anna fa sempre anche Maria», dice Filippo.


    NATANAELE-BARTOLOMEO è anch’egli sposato e sua moglie si chiama Anna ed ha figlie. È vecchio, magro e colto, oltre che molto amico di Filippo.
    Riportiamo qui l’episodio del suo ricongiungimento con il Maestro dopo che questi lo ha di fatto allontanato per il suo essere ancora “troppo israelita” e perciò non favorevole ad avere contatti con i gentili.

332. Giovanni ad un certo momento va a sedersi sul davanzale in cerca di sole. È così che vede per primo gli attesi Pietro, Simone, Filippo e Bartolomeo dirigersi verso la casa. Dà loro la voce e poi corre fuori, seguito da tutti. Resta soltanto Gesù che, per tutto movimento, si alza in piedi e si volta a guardare verso la porta...
Entrano gli arrivati. E l’esuberanza di Pietro è facile immaginarsela, così come è facile immaginare la reverenza profonda di Simone Zelote. Quello che è sorpresa è l’atteggiamento di Filippo e specie di Bartolomeo. Entrano, direi, quasi con timore, con affanno e, nonostante Gesù apra a loro le braccia per scambiare con essi il bacio di pace già dato a Pietro e a Simone, essi cadono in ginocchio e si curvano con la fronte sino al suolo, baciando i piedi di Gesù, e restano così... e i sospiri soffocati di Bartolomeo denunciano che egli piange silenziosamente sui piedi di Gesù.
«Perché questo affanno, Bartolmai? Non vieni nelle braccia del Maestro? E tu, Filippo, perché così timoroso? Se non sapessi che siete due onesti, nel cui cuore non può albergare malizia, dovrei sospettare che siete colpevoli. Ma così non è. Su, dunque! È tanto che desidero il vostro bacio e di vedere lo sguardo limpido dei vostri occhi fedeli...».
«Anche noi, Signore...», dice Bartolomeo alzando il volto su cui splendono le lacrime. «Non abbiamo desiderato che Te, chiedendoci in che potevamo averti dispiaciuto per meritare di stare tanto separati. E ci pareva ingiusta cosa... Ma ora sappiamo... Oh! perdono, Signore! Ti chiediamo perdono. Io soprattutto, perché Filippo è stato separato da Te per me. E a lui già l’ho chiesto. Io, io solo colpevole, io, il vecchio israelita duro a rinnovarsi, io che ti ho dato dolore...».
Gesù si china e lo alza a forza, come alza Filippo, e se li abbraccia insieme dicendo: «Ma di che ti accusi? Tu non hai fatto del male. Nessun male! E non Filippo. Siete i miei cari apostoli, ed oggi Io sono ben felice di avervi con Me, riuniti per sempre...».
«No, no...
    Per molto tempo abbiamo ignorato il motivo per cui giustamente Tu hai diffidato di noi al punto da escluderci dalla tua famiglia apostolica. Ma ora lo sappiamo... e ti chiediamo perdono, perdono, perdono, io in specie, Gesù, Maestro mio...». E Bartolomeo lo guarda con ansia, con amore, con compassione. Vecchio come è, sembra un padre che guarda il figlio afflitto, che ne scruta il volto assottigliato da una pena che egli non aveva intuita, e del quale volto non aveva prima notato lo smagrimento, l’invecchiamento... E nuove lacrime gocciano sulle guance di Bartolomeo. Ed esclama: «Ma che ti hanno fatto? Che ci hanno fatto, per farci soffrire tutti così? Sembra che un malo spirito sia entrato fra noi per turbarci, per renderci tristi, indeboliti, apatici, stolti... Stolti tanto da non capire che Tu soffrivi... Anzi, tanto da aumentarti il soffrire con le nostre grettezze, ottusità, rispetti umani e vecchiaia di umanità... Sì, l’uomo vecchio ha trionfato in noi, sempre, senza che la tua vitalità perfetta ci abbia mai potuto rinnovare. È questo, questo che non mi dà pace! Con tutto il mio amore io non ho saputo rinnovarmi, e capirti, e seguirti... Solo materialmente ti ho seguito... Ma Tu, Tu volevi che ti seguissimo spiritualmente... e capissimo nella tua perfezione... per divenire capaci di perpetuarti... Oh! Maestro mio! Maestro mio che te ne andrai un giorno, dopo tante lotte, insidie, disgusti, dolori, e col dolore di saperci ancora impreparati!...». E Bartolomeo gli reclina la testa sulla spalla e piange, proprio desolato, contrito dalla conoscenza di essere stato un discepolo ottuso.
«Non ti accasciare, Natanaele. Tu vedi tutto ciò come un’enormità che ti sorprende. Ma il tuo Gesù sapeva che voi siete uomini... e non pretende nulla di più di quanto possiate dare. Oh! mi darete tutto. Proprio tutto. Ma ora dovete crescere, formarvi... È opera lenta. Ma Io so attendere. Ed Io gioisco del vostro crescere. Perché questo è un crescere continuo nella mia Vita. Anche il tuo pianto, anche la concordia di quelli che erano con Me, anche la pietà che succede a durezze che erano la vostra natura, ad egoismi, ad avarizie di spirito, anche la vostra serietà attuale, tutto è fase di crescita in Me. Su, dunque. Sta’ con la pace che Io so. Tutto. La tua onestà, la tua buona fede, la tua generosità, il tuo sincero amore. Dubitare Io del mio saggio Bartolmai e di Filippo, così equilibrato e fedele? Sarebbe fare torto al Padre mio che mi ha concesso di avervi fra i più cari.
 

    La crescita spirituale di Bartolomeo è costante, ma ancora lungi dall’essere compiuta. Poco dopo, infatti, vediamo che Gesù continua ad istruirlo.

333. [Dice Bartolomeo:] «Ma nelle profezie è detto, per simboli, che male avverrà a chi non accoglierà il Messia. Possono mai mentire i Profeti?».


«No, Bartolomeo. E ciò che è detto avverrà. Ma l’Altissimo è tanto, infinitamente buono, che vuole molto più di quanto ora avviene, per punire. Siate buoni anche voi, senza desiderare sempre punizioni sui duri di cuore e di intelletto. Desiderate per loro conversione, non punizione. 

    Il difetto emerge anche più avanti, ma Gesù afferma essere quello il suo unico difetto:  

435. «È una buona fanciulla», dichiara lo Zelote.
«Sì. Vorrei restasse a noi d’Israele. Bartolomeo ha perduto una buona occasione e una gioia col respingerla...», dice Tommaso.
«Bartolomeo è molto ligio alle... formule», lo scusa Filippo. «Il suo unico difetto», osserva Gesù.

 

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