14 marzo 2024

Critica alla critica radaelliana

 

CRITICA ALLA CRITICA RADAELLIANA 

A SPE SALVI DI BENEDETTO XVI


    Scriviamo questo post perché ci siamo imbattuti in questo articolo del prof. Radaelli in cui egli prende espressamente di mira i numeri 45, 46 e 47 dell'Enciclica Spe salvi.
 
    Secondo tale autore, essi veicolano una «Teodicea imperniata su tre niente: niente Inferno, niente Purgatorio e niente peccato come 'offesa a Dio'» (p. 1). Sarebbe dunque Benedetto XVI la fonte della «più dannosa delle infezioni: tutti ora ne sono contagiati, da Papa Francesco all'ultimo dei fedeli senza che però nessuno di essi sappia individuare la fonte da dove sgorga con incontrollabile irruenza il veleno che li strangola alla foce» (p. 1).
 
    Si tratta di un giudizio molto pesante, ma corrisponde a verità?
    No, nel modo più assoluto. Ma vediamo come procede il Radaelli.
 
    La prima e più grave lacuna che egli ravvisa in quei numeri della Spe salvi sarebbe il non parlare mai di peccato come 'offesa a Dio'.
    Ora, che l'espressione non compaia è vero, ma perché mai questo dovrebbe significare che Benedetto XVI vuole annientare tale nozione?
    Radaelli non dice dove si può ricavare tale volontà annientatrice, ma semplicemente afferma che tale espressione non c'è nella «pericope dove invece più facilmente si sarebbe dovuta riscontrarne la presenza» (p. 5).
    In altre parole, al prof. Radaelli sarebbe piaciuto incontrarla in quella pericope e, non trovandola, ha pensato il peggio. 
 
    Ma era veramente doveroso inserirla?
    No, oggettivamente non vi era alcuna necessità ed è pretestuoso leggere il non inserimento come una chiara volontà di annientamento.

    Per Radaelli, invece, «il Papa che è stato ed è da tutti ancora riverito come il “Papa Teologo” non ne parla mai, mentre è proprio questo il concetto che definisce un atto ‘peccato’: l’essere esso un atto il cui effetto è offendere Dio, come dice il Profeta: Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male hai tuoi occhi io l’ho fatto (Sal 50,6). Se non c’è offesa a Dio, nessun atto di nessun uomo è mai peccato» (p. 4).

    Praticamente una bella lezioncina, a dire il vero non rara nel mondo quasi completamente capovolto in cui ci troviamo.

    Eppure non occorrono grandi sforzi per scoprire che Benedetto XVI insegna che «alla radice del peccato sta la menzogna, il rifiuto della verità. "La disobbedienza, come dimensione originaria del peccato, significa rifiuto di questa fonte [= legge eterna], per la pretesa dell'uomo di diventare fonte autonoma ed esclusiva nel decidere del bene e del male» (Dominum et vivificante, 36)» (J. Ratzinger Benedetto XVI, Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore, San Paolo 2007, p. 41). Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, utilizzato nel corso dell'articolo "contro" Benedetto XVI, riporta la definizione di peccato come «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna» (CCC, n. 1849) e perciò «un'offesa a Dio» (CCC, n. 1871).
    Benedetto parla anche di
«corruzione degli uomini cattivi, perché in ribellione contro Dio, nella strada dell'autonomismo, del "diventerete come Dio"» (J. Ratzinger, Il cammino pasquale, Ancora 2000, pp. 38-39). Ma anche in Spe salvi n. 36 aveva già ricordato che «eliminare il potere del male, della colpa [...] potrebbe realizzarlo solo Dio: solo un Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa». Solo Dio può perdonare il peccato perché è lui l'offeso. Di criticabile c'è semmai l'apparente necessità assoluta dell'incarnazione, ma non la nozione di peccato.

    Radaelli aggiunge anche che tale "omissione" «è necessaria al Teologo per poter rigettare la Redenzione operata dal Cristo come 'sacrificio di Olocausto', la nozione cattolica che più va di traverso all'Autore di Spe salvi per il suo carattere a suo avviso oltremodo "crudele"» (p. 4).
    In realtà, però, tale affermazione sembra scontrarsi con le parole dell'Autore di Spe salvi che parla espressamente «del grande mistero dell'espiazione» (J. Ratzinger Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli 2007, p. 191) mostrando quanto sia difficile per la "cultura" attuale comprenderlo. «L'uomo di oggi - scrive in un altra opera - non capisce più immediatamente che il Sangue di Cristo sulla Croce è stato versato in espiazione dei nostri peccati. Sono formule grandi e vere, e che tuttavia non trovano più posto nella nostra forma mentis e nella nostra immagine del mondo; che devono essere per così dire tradotte e comprese in modo nuovo» (Benedetto XVI, Luce del mondo, LEV 2010, p. 192).

    Il secondo insegnamento di Benedetto XVI sarebbe poi per Radaelli quello di annientare la certezza della pena. 
    Perché questa accusa? Perché al n. 45 usa «il condizionale e non un deciso indicativo» (p. 5). Ora, se ci si limita a leggere i testi riportati dal prof. Radaelli si potrebbe effettivamente avere una tale idea, ma non se si legge anche quanto egli omette di riportare. Leggendo il discorso per intero, infatti, si può vedere che non «siamo ex post il Giudizio universale, quando i destini sono stati decisi» (p. 5), e che il condizionale è dettato dalla preoccupazione di non mettersi al posto di Dio. Benedetto XVI fa infatti riferimento a «figure della stessa nostra storia» e discerne che da come esse si sono comportate sembrerebbe che la loro sorte possa essere l'inferno. Il che, tra l'altro, è un modo per ricordare che l'inferno è una possibilità concreta.
 
    Il terzo insegnamento di Benedetto XVI sarebbe poi niente meno che quello di annientare quell'inferno che ha appena finito di ricordare essere una concreta possibilità per gli uomini.
    Secondo Radaelli è addirittura il CCC che «si allontana decisamente dal concetto affermato dal Papa nel 2007 nella sua Lettera universale, senza contare che ai numeri successivi fornisce ulteriori e ben chiare informazioni sull'Inferno come luogo di pene definitive e perenni, sulla natura di tali pene, sulla loro consistenza materiale e spirituale e sulla loro perpetuità» (p. 6). Al che ci viene da chiedere: ma Radaelli conosce il ruolo che ha avuto il card. Raztinger nella stesura di quel Catechismo? Pensa forse che egli non sia d'accordo con quelle verità? Ma, soprattutto, non sarà forse che il motivo per cui il CCC tratta con una certa sistematicità tutti i vari aspetti sia dovuto proprio al fatto che ciò è quanto si richiede ad un catechismo? 
    Ora, la Spe salvi non è un catechismo e nemmeno una Teodicea («è questa la Teodicea di Papa Ratzinger?» - p. 5), ma un'enciclica sulla speranza che dovrebbe essere presa per quello che è e vuole essere. Criticarla sulla base della sua non corrispondenza rispetto a quanto ci si aspetta di trovare in essa non mi pare che abbia molto senso.
    Chissà, forse potrebbe essere questo uno dei motivi per cui nessuno degno di nota prende in considerazione tali critiche.
 
    Ma Radaelli continua sicuro.
 
    Il quarto insegnamento di Benedetto XVI in Spe salvi è l'annientamento del Paradiso, cioè dell'eternità. 
    Ma dove lo legge questo annientamento? Ora, che di J. Ratzinger possa non piacere lo stile è cosa lecita, ma dove sono tutti questi annientamenti, tutte queste problematiche vere e gravi? Benedetto XVI parla qui delle persone pie e dei beati come persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d'ora l'intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono.
    Un testo che, al di là di quanto ciascuno lo trovi piacevole o meno, è pienamente cattolico. Per Radaelli è invece vago perché «non dice che le attende il Regno dei Cieli, il Paradiso» (p. 7). L'espressione finale (il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono) è dal professore considerata una «vaga, estremamente impalpabile ed estremamente inconsistente perifrasi» (p. 7). Egli la ritiene indeterminata, nebulosa e arriva a interpretarla in questo modo: «Il Paradiso, o Regno dei Cieli, non sarebbe altro che "il compimento di ciò che ormai (esse) sono": nient'altro che un miserabile e comunque tutto umano stato d'animo, o poco più. Tutto qui? In cosa consiste questa "conduzione a compimento" di ciò che peraltro esse già sono? Cosa aggiunge il "compimento" allo status già raggiunto? E possibile che anche su questa indecifrabile e insensata perifrasi nessuno abbia sollevato una qualche perplessità?» (p. 7).
    No, caro professore, nessuna perplessità su quella perifrasi che solo lei vede come indecifrabile e insensata. A noi, per esempio, fa subito venire in mente l'espressione gratia est semen gloriae.
 
    Giunti a pagina otto, riteniamo che ce ne sia già abbastanza per interrompere l'analisi e affermare che gli «argomenti finto-convincenti, finto-esaustivi e finto-penetranti» (p. 7) non sono quelli di Benedetto XVI, ma del suo accusatore.
 
    Per quanto riguarda il resto dell'articolo, esso prosegue sulla stessa falsariga di elucubrazioni basate sul nulla per l'oggettiva incapacità dell'autore di leggere con obiettività i testi. A nostro parere, al prof. Radaelli è mancata qui completamente la necessaria "benevolenza interpretativa". Se ci fosse stata, infatti, almeno le cantonate più macroscopiche avrebbe potuto evitarle.
 
    Aggiungiamo soltanto, per il lettore che volesse cimentarsi nella lettura di tutto l'articolo, un aiuto per interpretare correttamente l'esegesi ratzingeriana a 1Cor 3.
    Per Radaelli è «un'esegesi tutta nuova e tutta e solo sua [...]» (p. 13) «che definire inadeguata [...] è troppo poco [...] Chi glielo dice, all'antico der Profesor, che Dio stesso, allorché lui si presenterà davanti al Suo Trono, potrebbe trovare questa sua esegesi [...] rozza, goffa, maldestra, a meno di non considerarla poi, tutt'al contrario, fin troppo astuta?» (p. 20).
    Noi, per evitarvi i pericolosi voli pindarici radaelliani, vi invitiamo a porre attenzione a questo passaggio: Se siamo rimasti saldi su questo fondamento [Gesù Cristo] e abbiamo costruito su di esso la nostra vita, sappiamo che questo fondamento non ci può più essere sottratto neppure nella morte.
 
 
P.S.: Non abbiamo letto il testo Al cuore di Ratzinger ma, visto il modus operandi del professore nel criticare così tendenziosamente Benedetto XVI, ci meraviglia che una persona teologicamente preparata come mons. Viganò ne abbia citato positivamente il lavoro, senza alcun distinguo, nella sua recensione al libro di Massimo Viglione "Habemus Papam?". Se è infatti vero che la tesi di Cionci getta «inquietanti ombre sulla onestà e la correttezza di agire di Benedetto XVI»[qui], non meno ombre (senza fondamento) getta il prof. Radaelli.

21 febbraio 2024

Pedro Regis 11/02/2024

 

 

Sintesi catechesi Pedro Regis (Anguera)

11 febbraio 2024

 

11 ANNI DI UNA RINUNCIA SENZA RINUNCIA

 

    A conferma delle conclusioni dell'ultimo articolo (habemus papam?), riportiamo una recente catechesi del veggente Pedro Regis.

    Profezia 1 marzo 2008: «Cari figli, in una data maestosa la Chiesa piangerà. I fedeli si lamenteranno e le direzioni della Chiesa cambieranno».

    Qual è questa data maestosa? È l'11 di febbraio. Nel 2013 Benedetto XVI annunciò che avrebbe rinunciato. A partire da quel momento la Chiesa Cattolica non sarebbe stata più la stessa; e in effetti non è più la stessa di prima. Le cose sono cambiate e non certo in meglio.

    7 dicembre 2010: «Camminate verso un futuro di grandi difficoltà. Verranno giorni difficili per gli uomini e le donne di fede. Molti si rivolteranno contro il successore di Pietro e ci sarà una grande crisi di fede».

    Un anno prima della supposta rinuncia di Benedetto XVI, un giornale italiano riportò di minacce di morte al papa se entro un anno non si fosse tolto di mezzo (10 febbraio 2012). Teoria della cospirazione? Può essere. Tuttavia, coincidenza o no, esattamente un anno dopo Benedetto XVI lesse la declaratio.

    Pedro Regis vede una contraddizione tra il testo dell'11 febbraio 2013 e quello del 27 febbraio 2013, tanto da sembrare essere stati scritti da due persone diverse. Nel primo è annunciata la tragedia, nel secondo Benedetto XVI scrive

    «Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio».

    Dunque, ha annunciato una rinuncia e poi non ha rinunciato. Perché se uno sta rinunciando, come minimo egli dovrebbe tornare ad essere cardinale e comportarsi come tale. Egli, invece, continuò a vestirsi come un papa, ad agire come un papa, a firmarsi come un papa. È strano questo.

    Dopo aver ricordato le dichiarazioni del card. Danneels a proposito dell'operato della "mafia di San Gallo", Pedro afferma che ancora più importanti sono le parole della Madonna ad Anguera pronunciate diversi anni prima dei fatti del 2013. Eccone alcune:

    7 luglio 2007: «Un re sarà minacciato e cercheranno di allontanarlo dal suo trono. Ciò che vi ho predetto in passato sta per realizzarsi».

    8 gennaio 2005: «quando il re sarà tolto dal suo trono inizierà la grande battaglia e la luce perderà il suo splendore».

    19 marzo 2005: «Un regno diviso e una sedia vuota. L’esistenza di due re diffonderà grande confusione nel mondo, ma Dio verrà in soccorso del suo popolo».

     19 aprile 2005: «pregate per il nuovo successore di Pietro. Con lui la Chiesa avanzerà, ma sarà perseguitata dai nemici». 

    24 giugno 2005: «È bene pregare per Papa Benedetto XVI. La pietra della pietra sarà spezzata».

    8 gennaio 2008: «quando il trono cadrà e la permanenza del re non sarà più possibile, ci sarà grande disprezzo per i dogmi e pochi resteranno saldi nella fede».

    2 febbraio 2008: «un regno si dividerà e sorgerà un altro regno, causando grande confusione. Un re sarà tolto dal suo trono e il popolo di Dio perderà».

    22 marzo 2009: «Arriverà il giorno in cui il re sarà tolto dal suo trono. Il regno sarà diviso e ovunque ci sarà grande confusione spirituale».

    Se Benedetto XVI fosse ancora vivo, nessuno avrebbe avuto il coraggio di pubblicare un documento come Fiducia supplicans. Lo si fa ora perché la muraglia è caduta:

    29 ottobre 2020: «Quando la muraglia [= Benedetto XVI] cadrà, i nemici avanzeranno e causeranno grande danno nella Casa di Dio».

    Pensate alla S. Messa di sempre della Chiesa: Benedetto autorizzò, Francesco restrinse dovendo il sacerdote richiedere l'autorizzazione al vescovo locale. Poi, morto Benedetto XVI, cambiò di nuovo: l'autorizzazione deve essere richiesta direttamente al Vaticano. Ma perché occorre l'autorizzazione del Vaticano per celebrare una Messa? Si tratta, infatti, di una Messa celebrata per secoli e secoli nella Chiesa Cattolica e molto rispettosa. Da proibire sarebbero invece le Messe con balli, applausi, ecc. e non la Messa tridentina.

    Ma la Madonna ci ha avvisati:

    27 settembre 2005: «Il Vaticano sarà in decadenza».

    5 aprile 2008: «La Chiesa sarà in decadenza. Arriveranno per lei i momenti di agonia e nessuna forza umana potrà aiutarla, ma la vittoria ci sarà per intervento divino».

    Oggi stiamo vivendo un tempo di crisi come non si è mai visto prima. In passato i problemi della Chiesa erano esterni, oggi invece i nemici sono dentro e fanno strage.

    Mostra poi un video di "papa Francesco" e si chiede: Come può un papa aprire la bocca per dire che non bisogna pregare per la conversione di chi non è cattolico?


P.S.: Da quel che si può leggere a proposito delle minacce di morte rivolte a Benedetto XVI (ad es. qui), potrebbe risultare interessante anche questo messaggio:

    29 dicembre 2007: «quando il serpente d’oriente partirà in direzione di Roma, arriverà per la Chiesa il momento della sua agonia. Con la sua coda abbatterà grandi pilastri della Chiesa».

 

19 febbraio 2024

"Habemus Papam?"

 


NOTE AL LIBRO DI MASSIMO VIGLIONE

"HABEMUS PAPAM?"

 

    La prima cosa che ci viene da dire, non ce ne voglia per questo il prof. Viglione e il suo editore, è che il testo non è di quelli da consigliare a tutti i fedeli. Questo perché la mole e la complessità delle questioni e la modalità non propriamente sistematica con cui vengono presentate finirebbe, inevitabilmente, soltanto per accrescere nella gran parte dei fedeli la loro già enorme confusione.

    Il libro è invece indicato per chi vuole una "fotografia" puntuale del dibattito attuale sul tema. Non mancano in esso anche degli approfondimenti sia di carattere storico, materia del professore, sia anche teologico e canonico.

    In questo testo, una cosa che certamente il prof. Viglione non fa è quella di operare indebite semplificazioni per veicolare una sua posizione predefinita e farla apparire, almeno ai più sprovveduti, come chiara, semplice, evidente e perciò da accettare se si è in possesso di un minimo di logica. Non è questo il modo di procedere del professore che, al contrario, si sforza di essere sempre oggettivo nel riportare e valutare tutte le diverse posizioni e relative problematiche. Si può non essere d'accordo con qualche suo giudizio o interpretazione, ma l'onestà intellettuale con cui è portato avanti il lavoro ci sembra incontestabile.

    In queste note ci limitiamo a riportare la posizione a cui il professore è giunto e alcune nostre considerazioni in proposito.

    Per quanto riguarda il primo punto, in definitiva egli ritiene che è «fortemente probabile che la Sede papale sia oggi vacante» (p. 248), dunque che Bergoglio non sia il papa.

    Tuttavia, pur ritenendo che la rinuncia di Benedetto XVI è molto probabilmente illecita (pressioni e, soprattutto, voluta ambiguità) e che ci sia stata probabile illegittimità procedurale nell'elezione papale successiva, «l'elemento più determinante» (p. 248) per tale suo orientamento è, «qualora Bergoglio fosse veramente Francesco, [...] il serio problema del papa eretico» (p. 248). Egli ritiene, infatti, che la caduta in eresia di un papa in quanto dottore privato possa, a certe condizioni, portare i cardinali a giudicarlo (in quanto «non è più papa perché si è posto fuori dalla Chiesa» - p. 267) e dichiararlo «decaduto tramite l'elezione di un nuovo pontefice» (p. 71).

    Onestamente, non comprendiamo perché mantenga quest'ultima posizione trattandosi non soltanto di una semplice opinione teologica, ma un'opinione che è stata praticamente scartata da secoli e, soprattutto, non si è mai verificata nella storia della Chiesa. Come egli stesso ricorda:

    «la questione è venuta sempre più scomparendo [...] Peraltro, nessuno dei casi prima valutati di papi caduti in eresia - o che hanno favorito l'eresia o almeno che sono stati ambigui - in precedenza citati è stato messo sotto giudizio o deposto finché era in vita, ovvero finché era papa. Certo, vi sono state [...] condanne formali da parte di vescovi con tanto di scisma (Liberio e Vigilio), ammonizioni pubbliche fatte da dottori e teologi (con Pasquale II e Giovanni XXII), ma deposizioni e sostituzioni mai. Nemmeno con Onorio, le durissime condanne del quale sono avvenute successivamente alla sua morte» (p. 71).

    Il motivo è che non c'è un'autorità che possa sentenziare contro il papa: Prima Sedes a nemine iudicatur. Lo stesso Onorio, «di certo il caso in sé più grave e più condannato dalla Chiesa» (p. 48 nota 32), benché condannato come eretico, è tuttavia considerato superiore rispetto ai suoi accusatori. Per rendersene conto, basta leggere «la condanna da parte di Papa Adriano II all'VIII Concilio Ecumenico (IV come) Costantinopolitano [...]: "(...) egli fu accusato di eresia, unico crimine che rende legittima la resistenza degli inferiori rispetto ai superiori, al pari del rigetto delle sue dottrine perniciose» (p. 72). Il che significa che al papa eretico o che favorisce l'eresia, ma anche al papa che abusa del suo ufficio, si può resistere (es. mons. Lefevbre), ma non si può certo sentenziare contro di lui e dichiararlo «decaduto tramite l'elezione di un nuovo pontefice» (p. 71). Egli, infatti, anche se accusato di eresia, è e rimane superiore. 

    D'altra parte, è anche vero che per resistergli bisogna in qualche modo giudicarlo, ma, come poi riconosce lo stesso Viglione, si tratta di un giudizio che «non può essere considerato come ufficiale e definitivo, né può essere imposto agli altri in modo imperativo» (p. 250).

    In altre parole, come lo stesso professore riconosce,

    «la completa chiarificazione del "problema-Bergoglio" non spetta alla base della Chiesa, ma al suo vertice più alto; e ciò si potrà realizzare nei tempi e nei modi che solamente la Divina Provvidenza è in grado di decidere e di attuare» (p. 250). 

   Se la questione della possibile "rimozione" di un papa per eresia «è tornata di interesse particolarmente negli ultimi dieci anni (a parte singole eccezioni nei decenni scorsi)» (p. 71), è soprattutto per l'operato di Francesco e, prima di lui, del Concilio Vaticano II. È infatti a partire da quest'ultimo, «il 1789 della Chiesa» (p. 83), che la questione viene ripresa.[1]  

    «L'ultimo Concilio è la prima delle due lame epocali che dividono questo dibattito plurisecolare. La seconda, conseguenza del Concilio stesso ma al contempo suo superamento (o suo salto qualitativo nell'abisso [...]) è la salita al Soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio - Francesco, nel 2103» (p. 85).

    Superamento, o salto qualitativo nell'abisso,[2] perché tra i papi del passato in qualche modo «erranti in materia di fede» (p. 46 nota 29), nessuno è nemmeno lontanamente paragonabile a Francesco. Anche lo stesso Onorio, infatti, secondo don Nitoglia «in realtà non insegnò l'eresia, ma la avallò per debolezza. Non volle insomma, come pontefice romano, [...] fomentare l'errore nei fedeli. Non fu quindi eretico, ma solo strumento di propagazione di eresia. Questa interpretazione è ancora più valida per Vigilio e Liberio. Di questa idea è nella sostanza anche don Di Sorco [...]. In effetti, ciò ci appare plausibile, nel senso che non si può sostenere con certezza la cattiva fede o la certa e convinta caduta in eresia dei vari pontefici in questione [...]. È impossibile negare però che hanno errato nei fatti e pubblicamente, pur essendo pontefici» (p. 48 nota 32). 

    Ciò che però meraviglia nei tradizionalisti come don Di Sorco (FSSPX), don Curzio Nitoglia, ecc., è il mettere insieme (sulla falsariga del vituperato Concilio e postconcilio), da un lato la comprensibile e giusta «"bonarietà" [...] nel giudicare le cadute in eresia dei papi del passato» (p. 52), perché sanno bene quanto centrale sia tale figura nel cattolicesimo e, dall'altro, la difesa senza se e senza ma della legittimità di Francesco come papa. Di fatto, una sorta di ermeneutica della continuità agli steroidi.

    Tale loro atteggiamento, condiviso anche dai cattolici conservatori, ha portato nella Chiesa, dopo undici anni di papa Francesco, ad una deformazione impressionante della concezione del papato. Sembrerebbe, infatti, che oggi per molti cattolici il papato costituisca nella Chiesa poco più di un ornamento e non, invece, il suo fondamento, crollando il quale tutto crolla.

    Per tale motivo, riteniamo opportuno ricordare che se è vero che il papa può, come teologo privato, talvolta errare su questioni di fede e di morale, egli è per tali questioni il massimo riferimento. Per rinfrescare la memoria, riportiamo qui giusto una citazione che ci ricorda chi era per noi, almeno fino all'altro ieri, il successore di Pietro:

    «Come dice Agostino e come è scritto nel Decreto: "Se uno difende senza animosità e senza ostinazione la propria opinione, sia pure falsa e perversa, e cerca con la dovuta sollecitudine la verità, pronto a seguirla quando la trova, non può essere annoverato fra gli eretici" perché non ha la determinazione di contraddire l’insegnamento della Chiesa. E in questo senso alcuni santi dottori furono in disaccordo, o su questioni che per la fede sono indifferenti, o su cose riguardanti la fede, ma che la Chiesa non aveva ancora determinato. Sarebbe invece eretico chi si opponesse ostinatamente a una simile definizione quando tali cose fossero state determinate dall’autorità della Chiesa universale. E questa autorità risiede principalmente nel sommo pontefice. Infatti sempre nel Decreto si legge: "Tutte le volte che si tratta della fede penso che tutti i vescovi nostri confratelli non debbano ricorrere ad alcun altro che a Pietro, cioè a chi detiene la sua autorità". E contro l’autorità del pontefice né Agostino, né Girolamo, né altri santi dottori osarono difendere la propria sentenza. Scrive infatti Girolamo: «Questa è la fede, o beatissimo padre, che abbiamo appreso nella Chiesa cattolica. E se nella nostra formulazione abbiamo detto o posto qualcosa di inesatto o di avventato, desideriamo di essere corretti da te, che possiedi la fede e la cattedra di Pietro. Se invece questa nostra confessione è approvata dal tuo giudizio apostolico, chiunque vorrà accusarmi dimostrerà di essere ignorante o malevolo, oppure non cattolico, ma eretico"» (san Tommaso d'Aquino, Somma di Teologia, II-II, q. 11, a. 2, ad 3).


    Veniamo ora al secondo punto, cioè alle nostre considerazioni a riguardo della posizione del prof. Viglione.

    Iniziamo subito col dire che, a nostro avviso, la sua vera posizione è solo in nuce nel libro ed è un po' diversa e migliore rispetto a quella da lui espressa e qui riportata all'inizio dell'articolo (cosa che in parte abbiamo già mostrato). Forse ne sappiamo più noi di Viglione stesso? Sarà il professore a rispondere a suo tempo, ma nel testo ci sono degli ondeggiamenti nei giudizi tipici di chi sta ancora elaborando un suo pensiero e non ha ancora metabolizzato tutti gli elementi che ha pazientemente raccolto. Ci arrischiamo, dunque, a portare noi alla luce tale posizione virtuale esponendoci ad una eventuale futura smentita. 

    In base ai dati che sono nel libro e al carattere dell'autore che ne emerge, la posizione potrebbe divenire la seguente (leggermente "arricchita" da qualche nostro desiderata): 

    Bergoglio non è papa perché la rinuncia di Benedetto XVI è, «con ogni verosimiglianza, invalida» (p. 268), al di là delle motivazioni per cui è stata effettuata in quel modo ("scismare" il successore, mutare la natura stessa del papato o, più semplicemente, lasciare il peso ormai insopportabile del molteplice ministero papale senza fuggire dai lupi).[3] «Un atto impossibile e illegittimo e invalido» (p. 268) la cui ambiguità è stata confermata dal comportamento successivo alla "rinuncia" «fino alla morte» (p. 268). Di conseguenza, se invalida è la rinuncia, invalida è l'elezione del successore (il quale, e c'è da chiedersi perché, non ha ritenuto nemmeno lui opportuno andare a fondo in una questione di così vitale importanza).

    Se già questo primo punto pone seri interrogativi sulla legittimità di Francesco come papa, questi vengono spazzati via dal suo successivo comportamento. Infatti, «senza false ipocrisie, è evidente a tutti che un conto è un papa che professa o almeno favorisce un'eresia (come già accaduto nel passato), un conto è quanto stanno facendo Bergoglio e il suo team da quasi undici anni» (p. 200). Bergoglio rappresenta «un tremendo salto in avanti verso l'abisso della dissoluzione» (p. 246). 

    In altre parole, che un papa possa errare in questioni di fede è possibile (anche se sono casi rari, comunque la storia ce li mostra e contra factum non valet argumentum), ma solo in quanto dottore privato. Se un papa potesse errare in quanto papa, infatti, sarebbe niente più che flatus vocis la presunta assistenza speciale dello Spirito Santo di cui nella Chiesa si è parlato sino a ieri.[4]

    Ora, che Bergoglio sia privo di qualsiasi assistenza dello Spirito Santo e che non sia il papa è evidente per una montagna di motivi,[5] al punto che non occorre nemmeno essere teologi, canonisti, storici o quant'altro per intuirlo, perché è una questione soprattutto di fede. Mons. Viganò, più volte citato da Viglione, ha parlato (2 ottobre 2022: Intervista di Michael J. Matt per la Catholic Identity Conference - Pittsburgh) di totale estraneità di Bergoglio al Papato dicendo insanabile questa alienità. 

    «Essa - nota l'arcivescovo - è percepita istintivamente anche dai semplici fedeli come il rigetto di un organo trapiantato in un organismo che non lo riconosce come proprio. Il sensus fidei fa loro comprendere ciò che l’analisi delle sue dichiarazioni ereticali conferma al teologo o al canonista». 

    In poche parole, Bergoglio nulla c'entra col papato!

    Ad ogni modo, qui basta ricordare  

    «tre certissime eresie: la possibilità di accesso ai sacramenti per i divorziati e pubblici conviventi (Amoris Laetitiae), il rifiuto incondizionato della pena di morte, contrariamente all'insegnamento costante della Chiesa Cattolica, [...] e la dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019 [...] dove ha sostenuto che l'esistenza di più religioni è volontà di Dio. [...] Tali eresie sono manifeste e finora pervicaci» (p. 60 nota 43).

    Per quanto riguarda la prima, il Dicastero per la dottrina della fede ha confermato nel 2023 che essa è magistero ufficiale.[6] Lo è dal 2016.[7]

    Ad Abu Dhabi, "Sua Santità Papa Francesco" non scrive come dottore privato ma, esplicitamente e ripetutamente (per tre volte), a nome della Chiesa Cattolica:

   «In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio».

    «A tal fine, la Chiesa Cattolica e al-Azhar, [...] annunciano...».

    «Al-Azhar e la Chiesa Cattolica domandano...».

    Riguardo la pena di morte, poi, secondo Bergoglio la Chiesa non avrebbe compreso la verità cristiana e insegnato di conseguenza una dottrina

    «in sé stessa contraria al Vangelo».[8] [cf. qui]

    Questi non sono errori da dottore privato e riguardano verità di fede della Chiesa.

    «Si ricava dalla Tradizione [...] che il papa è infallibile anche quando egli enuncia una verità che è stata sempre creduta e ammessa nella Chiesa anche se questa non è esplicitamente e solennemente definita (Magistero ordinario infallibile). L'infallibilità gli deriva, in questo caso, da quella di cui gode la Chiesa stessa» (p. 39 nota 14).[9]

    L'impostura religiosa è talmente grossolana (basterebbe il solo disprezzo per la Chiesa del passato a smascherarla) che la debolissima resistenza che trova non si può spiegare se non per la presenza di una «potenza di inganno» (2Ts 2,11).

    Vediamo così i legittimisti/giustificazionisti ad oltranza scandalizzarsi se il papa lascia intendere che l'inferno potrebbe essere vuoto («A me piace pensare l’inferno vuoto, spero sia realtà»), quando, in base al loro riduzionismo dell'infallibilità ai «criteri del dogma del 18 luglio 1870» (p. 203), egli potrebbe benissimo cambiare il Catechismo della Chiesa Cattolica e inserirvi questa «nuova comprensione della verità cristiana».[10] E questo non solo per l'inferno, ma per tutte le altre verità di fede non solennemente definite che, un giorno, non si vede perché non potrebbero anche essere proclamate ex-cathedra

    Non si parla forse da tempo di ordinazione per le donne, di revisione della dottrina sulla contraccezione, sulla fecondazione omologa,[11] ecc.?

    Eppure, anche l’ultima Assise conciliare ricorda che

    «Gesù Cristo prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione».[12]

    Ora, quale unità di fede si professa oggi in comunione con Francesco?

    Non sarà che scismatici «lo si diventa se non ci si divide dall'eretico scismatico dalla Verità» (p. 216)?
    Non potrebbe essere che il più grande e sottile inganno del Nemico, al fine di condurci a rinnegare Cristo nel suo Corpo che è la Chiesa,[cf. qui] passi per il rinnegamento di fatto del pilastro su cui essa è fondata, vale a dire il papato?
    Una Chiesa non fondata su Pietro, infatti, non è la Chiesa
contro la quale le porte degli inferi non prevarranno:

    «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18).


    Leone XIII, nella Satis cognitum, ricorda chiaramente che «Dio vuole assolutamente nella sua Chiesa l’unità della fede» e che il Signore stesso ha stabilito che ci fosse chi insegnasse in suo nome e noi avessimo la garanzia della verità. E questo qualcuno è il Sommo Pontefice: 

    «E poiché è necessario che tutti i cristiani siano tra loro uniti per la comunione di una fede immutabile, perciò Cristo Signore, con la forza delle sue preghiere, ottenne che Pietro, nell’esercizio del suo potere, non errasse mai nella fede: “Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede”(Lc 22,32); e gli comandò che nel bisogno comunicasse ai suoi fratelli luce e forza: “Conferma i tuoi fratelli”(Lc 22,32). Volle insomma che colui che aveva destinato a fondamento della Chiesa, fosse anche il baluardo della fede» (Leone XIII, Lettera Enciclica Satis Cognitum sull'unità della Chiesa, 1896).

    D'altra parte, se veramente la garanzia che viene dal papato fosse limitata alle sole verità definite ex-cathedra, che razza di garanzia e assistenza ci avrebbe assicurato il Signore potendo il papa, e dunque la Chiesa,[13] veramente insegnare ufficialmente la menzogna, sovvertire la struttura ecclesiale e condurre le anime per la via larga della perdizione?
 

    Dunque, ci sono gli elementi per arrivare alla certezza della illegittimità di Francesco come papa, anche se chiaramente non assoluta. La certezza assoluta può infatti venire soltanto da Dio e dalla sua Chiesa. Quella di cui parliamo è la certezza morale, una certezza soggettiva che impone di operare di conseguenza.[14] Se si avesse soltanto un dubbio, infatti, non ci si potrebbe muovere come se Francesco non fosse il papa.

    Ora, chi ha tale certezza può, se lo ritiene opportuno, testimoniare pubblicamente la sua convinzione, ma non può pretendere che il suo giudizio soggettivo equivalga ad una sentenza della Chiesa. In altre parole, non può presumere di potere sostituirsi al papa. In tal caso, si tratterebbe evidentemente di «un’indebita usurpazione di giudizi» (san Tommaso d'Aquino, Somma di Teologia, III, q. 82, a. 9).

    Da ciò consegue che, da un lato, ben si guarderà dall'etichettare come fuori della Chiesa tutti quelli che celebrano una cum Francisco e, dall'altro, in caso di necessità (assai probabile) può anch'egli partecipare a tali Messe per soddisfare il precetto.

    «Ciò che è certo, è [...] che la Messa in volgare è il rito della Rivoluzione nella Chiesa. È essa stessa la Rivoluzione nella Chiesa. [...] Non è questione della validità: se celebrata con tutti i crismi necessari [...], non possiamo affermare che essa non sia valida [...] Il punto è un altro: il Rito in volgare è intrinsecamente rivoluzionario [...] per il fatto stesso di essere stato "costruito" a tavolino con due finalità essenziali: 1) sostituire la Sacra Messa apostolica per desacralizzare e rendere antropocentrico il culto; 2) per accontentare protestanti e mondo liberale e laico. [...] Questo è il punto, che, per molti, moltissimi, è difficile da capire e soprattutto da accettare. È il relativismo soggettivo nel cuore del culto divino» (pp. 256-257).

    Nella misura del possibile cercherà perciò di evitare tali celebrazioni.

     Egli è consapevole, poi, che non si possono proiettare «tutte le colpe sul solo Bergoglio, come fosse un meteorite caduto dal cielo nel 2013 e non il frutto della Rivoluzione conciliare. E, specialmente, come se fosse l'unico chierico sbagliato nella Chiesa odierna, ovvero come se non fosse un granello di sabbia - sebbene messo al comando - di un'immensa spiaggia di eretici e corrotti (eccezioni a parte, ovviamente, che non mancano) sparsi per il mondo, tra i quali da decenni molto spesso vengono scelti i peggiori per essere elevati ai ruoli gerarchici» (p. 234 nota 243). L'azione devastatrice di Bergoglio, infatti, non sarebbe possibile senza la collaborazione di fatto della quasi totalità della gerarchia, segno inequivocabile dell'alto livello raggiunto dalla Rivoluzione nella Chiesa.

    Giunti ormai al tramonto del "pontificato" di Bergoglio, qualcuno potrebbe pensare che non è più nemmeno così decisivo sapere se sia o non sia papa (cf. p. 268), ma non è così. Per la Chiesa, infatti, la differenza che passa tra il "digerire" e il "non digerire" il "papato bergogliano" è quella che passa tra il rimanere e il non rimanere la stessa.

    Ora, però, che tale digestione avverrà è altamente pronosticabile proprio in virtù dell'altissimo grado di "bollitura" raggiunto e, per quel che vale, sembrerebbe essere stato profetizzato ad "Anguera":

    9 dicembre 2008: «Arriverà il giorno in cui sul trono di Pietro sarà seduto colui che cambierà per sempre gli orientamenti della Chiesa».

    13 febbraio 2013 (due giorni dopo la Declaratio di Benedetto XVI): «Ecco il tempo che vi ho annunciato in passato. Coraggio. Ora iniziano i primi passi in direzione del Calvario, ma il cammino della croce è ancora lungo».

    28 febbraio 2013 (giorno della effettiva rinuncia di Benedetto XVI): «Le direzioni della Chiesa cambieranno e molti che sono fedeli si laveranno le mani. [...] La guerra verrà da dove dovrebbe venire la pace. [...] Quando tutto sembrerà perduto, gli uomini e le donne di fede testimonieranno l’azione potente del Signore».

    E questo è ciò che ci attenderebbe:

    23 maggio 2017: «Cari figli, verranno giorni in cui gli uomini e le donne di fede troveranno l’Eucaristia solo in luoghi segreti. [...] I Ministri del Mio Gesù che rimarranno fedeli agiranno come all’Inizio del Cristianesimo; Troveranno aiuto nelle case dei fedeli e lì celebreranno la Santa Messa. Dio susciterà donne pie, a esempio di Ninfa, donna di fede, che accoglieranno gli Uomini di Dio e contribuiranno alla crescita della loro comunità».

    A noi non rimane, perciò, che prepararci per la resistenza e «pregare con fiducia e senza mai stancarci perché Dio intervenga al più presto» (p. 266). «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).


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[1] Anche se è vero che i germi della dissoluzione li troviamo nei testi del Vaticano II, non per questo possiamo ridurre ad essi l'intero Concilio. Ancor meno, poi, ci è lecito ingigantirne gli errori e/o vederli anche dove non ci sono. Per tale motivo, a p. 42 nota 19 sarebbe da correggere l'inesattezza di considerare errato già nel titolo il Decreto Unitatis redintegratio.

[2] Ovviamente se Bergoglio fosse veramente papa o per chi lo considerasse come tale.

[3] Lo sappiamo che l'ultima motivazione è contraddittoria, ma chi ha letto i nostri precedenti articoli del 2024 non dovrebbe meravigliarsi. Si vedano:

- credere sì, ma senza rigidità (5 gennaio 2024);

- ecumenismo in "tre mosse" (25 gennaio 2024);

- novus ordo conseguenza dell'ecumenismo conciliare (30 gennaio 2024);

se è inammissibile la pena di morte, tanto più lo è l'inferno (2 febbraio 2024);

- principali posizioni ecclesiali (5 febbraio 2024);

[4] Troppo comodo (e addio all'infallibilità papale) affermare che non può accadere che un papa possa errare in materia di fede e morale quando impugna l'infallibilità (ma solo quando insegna o parla o scrive come dottore privato) e poi aggiungere che, «in tal caso, o non sta sbagliando, oppure è caduto in eresia e/o scisma e quindi non è più pontefice» (p. 37).

[5] «Se si elencassero tutti gli errori dottrinali; le dichiarazioni pressoché quotidiane in qualsiasi maniera negative o errate o fomentatrici di disprezzo, scandalo o disorientamento per i fedeli, oltre a essere spesso di una insopportabile banalità ed espresse con toni da "amici al bar"; i provvedimenti e atti malefici o comunque contrari al bene; se si tenesse conto di ogni pur minimo aspetto di corruzione nella fede, nella spiritualità, nella dottrina morale, nell'apostolato; tutto quanto prodotto e fatto da quest'uomo [...] occorrerebbero interi libri per l'elencazione» (p. 59 nota 41). Il prof. Viglione, per  «dovere spirituale e morale» (p. 59 nota 42) presenta poi un elenco della «spaventosa e ininterrotta mole di gravissime anomalie e anche manifeste eresie» (p. 59) alle pp. 60-65.

[6] https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_pro_20230925_risposte-card-duka_it.pdf

[7] https://lanuovabq.it/it/lettera-del-papa-ai-vescovi-argentini-pubblicata-sugli-acta

[8] https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html

[9] «I Padri del Concilio Vaticano nulla hanno decretato di nuovo, ma solo ebbero presente l’istituzione divina, l’antica e costante dottrina della Chiesa e la stessa natura della fede, quando decretarono: “Per fede divina e cattolica si deve credere tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e viene proposto dalla Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale magistero come verità da Dio rivelata”[Sess. III, cap. 3]» (Leone XIII, Lettera Enciclica Satis Cognitum sull'unità della Chiesa, 1896).

[10] https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171011_convegno-nuova-evangelizzazione.html

[11] https://lanuovabq.it/it/la-pontificia-accademia-per-la-vita-vuole-il-si-alla-contraccezione 

[12] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n. 18. 

[13] «E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”. “A chi si riferisce, domanda Origene, la parola essa? Alla pietra su cui Cristo edifica la Chiesa, o alla Chiesa stessa? Ambigua è la frase: vorrà dire che siano quasi una stessa cosa la pietra e la Chiesa? Io credo appunto che questo sia vero; poiché né contro la pietra, su cui Cristo edifica la Chiesa, né contro la Chiesa prevarranno le porte dell’inferno”.[Origenes, Comment. in Matth., tom. XII, n. 11.] La forza perciò di quella divina sentenza è questa: qualunque violenza o artificio usino i nemici visibili e invisibili, non sarà mai che la Chiesa affidata a Pietro soccomba e perisca: “La Chiesa, essendo edificio di Cristo, che sapientemente edificò la sua casa sulla pietra, non può essere preda delle porte dell’inferno, che possono sì prevalere contro qualsiasi uomo che sia fuori della pietra e della Chiesa, ma non contro di essa”[Ibid.]. Dunque Dio affidò la sua Chiesa a Pietro, affinché egli, quale invitto tutore, la conservasse perpetuamente incolume» (Leone XIII, Lettera Enciclica Satis Cognitum sull'unità della Chiesa, 1896).

[14] Mons. Lefebvre, a torto o a ragione lo giudicherà il Signore, ha operato le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio soltanto quando è arrivato alla certezza morale che era cosa da farsi. Nell'omelia del 30 giugno 1988 parla di  «cerimonia apparentemente fatta contro la volontà di Roma. [...] Noi non siamo degli scismatici. [...] Lungi da noi questi pensieri miserabili di allontanarci da Roma. Tutto il contrario: è per manifestare il nostro attaccamento a Roma che facciamo questa cerimonia. È per manifestare il nostro attaccamento alla Chiesa di sempre, al Papa e a tutti quelli che hanno preceduto questi papi che, disgraziatamente, a partire dal concilio Vaticano II hanno creduto di dover aderire a degli errori, degli errori gravi che sono in procinto di demolire la Chiesa e di distruggere tutto il sacerdozio cattolico. [...] noi ci troviamo in stato di necessità. [...] questa Chiesa conciliare [...] segue dei cammini che non sono i cammini cattolici e che conducono molto semplicemente all’apostasia. È per questo che facciamo questa cerimonia.

    Lungi da me l’erigermi a papa. Io sono solo un vescovo della Chiesa cattolica che continua a trasmettere, a trasmettere la dottrina. Tradidi quod et accepi. [...] Noi ci troviamo di fronte ad uno stato di necessità. [...] È per questo che siamo convinti che facendo oggi queste consacrazioni, noi obbediamo all’appello di questi papi [si riferisce
a Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII] e, di conseguenza, all’appello di Dio, perché esso ripresenta Nostro Signore Gesù Cristo nella Chiesa. [...] Oggi, in questa giornata, si compie l’operazione sopravvivenza, e se io avessi concluso quella operazione con Roma, proseguendo negli accordi che avevamo firmato e proseguendo con la messa in pratica di questi accordi, avrei compiuto l’operazione suicidio. Allora, non v’è scelta, sono obbligato, noi dobbiamo sopravvivere. Ed è per questo che oggi, consacrando questi vescovi, sono convinto di continuare, di far vivere la Tradizione, cioè la Chiesa cattolica. [...] Voi sapete bene, miei carissimi fratelli, voi sapete bene – ve l’avranno detto – che Leone XIII, in una visione profetica che ha avuto, ha detto che un giorno il Soglio di Pietro sarebbe diventato la sede dell’iniquità. Lo ha detto in uno dei suoi esorcismi, nell’"Esorcismo di Leone XIII".

    È quello che accade oggi? È quello che accadrà domani? Io non lo so. Ma in ogni caso, questo è stato annunciato. [...] E poi conoscete bene le apparizioni de La Salette, in cui la Madonna dice che Roma perderà la Fede, che a Roma vi sarà un’eclisse. Capite cosa questo possa significare da parte della Santissima Vergine. E infine il segreto di Fatima, che è ancora più vicino a noi. Senza dubbio il terzo segreto di Fatima doveva far delle allusioni a queste tenebre che hanno invaso Roma, queste tenebre che invadono il mondo a partire dal Concilio. [...] il Buon Dio solo conosce il numero degli anni che serviranno perché arrivi il giorno che la Tradizione ritrovi i suoi diritti a Roma – noi saremo abbracciati dalle autorità romane che ci ringrazieranno per aver mantenuto la Fede nei nostri seminari, nelle famiglie, nelle città, nei nostri paesi, nei nostri conventi, nelle nostre case religiose, per la maggior gloria del Buon Dio e per la salvezza delle anime.
In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Così sia».

Critica alla critica radaelliana

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