16 ottobre 2022

MARIA VALTORTA (1897-1961)


CONSIGLIABILE IL  

POEMA DELL’UOMO-DIO?


    Premesso che tutti gli scritti derivanti da rivelazioni “private”, anche quando riconosciute dall’autorità della Chiesa, non appartengono al deposito della fede (cf. CCC, n. 67); premesso altresì che anche di quelle riconosciute bisogna «discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa» (Ibid.); riteniamo  che tale scritto di Maria Valtorta sia complessivamente buono e che possa pertanto essere di valido aiuto nel cammino spirituale.

    Si tratta, infatti, al di là della modalità in cui è stato composto, di un buon testo di meditazione che può aiutare sia nella riflessione sugli insegnamenti evangelici, sia a far percepire maggiormente la divinità e l’umanità di Gesù di Nazaret, la bellezza di sua Madre e le particolarità dei personaggi più importanti che troviamo nella Scrittura.

    Il rispetto per i testi rivelati è notevole e i brani che pongono qualche piccola difficoltà dottrinale sono veramente pochi (una imprecisione, ad es., è l'uso teologicamente inesatto del termine "soprannaturale" in riferimento all'azione del demonio. In tali casi bisogna leggervi "preternaturale") e certo non tali da inficiare il valore complessivo dell’opera. Ovviamente, non tutti i capitoli sono dello stesso valore e, forse, non sarebbe male prepararne una versione ridotta per ovviare ad una certa prolissità.

    Prima di iniziarne la lettura, però, crediamo che bisognerebbe aver letto per intero almeno i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, meglio ancora se con lettura continua. Per un cattolico, infatti, non sarebbe certo un buon segno il privilegiare un tal genere di testo rispetto alla sacra Scrittura.

    Di seguito riportiamo un brano che mostra in maniera immediata la differenza di questi scritti rispetto a quelli della Piccarreta e poi un altro brano molto bello che dovrebbe essere di stimolo alla lettura dell’opera (http://www.valtortamaria.com/operamaggiore).

     

    Nella Piccarreta leggiamo questo a proposito della Fede:


VOLUME 2°

    [28 febbraio 1899] Ora, mentre vedevo il Confessore, mi ricordavo che mi aveva detto che dovevo scrivere sulla fede nel modo in cui il Signore mi aveva parlato su questa virtù. Mentre così pensavo, in un istante il Signore mi ha tirato talmente a Sé, che mi sono sentita fuori di me stessa nella volta dei cieli, insieme con Gesù, e mi ha detto queste precise parole: “La Fede è Dio”. Queste due parole contenevano una luce immensa, che è impossibile spiegare; ma come posso le dirò.

    Nella parola “fede” comprendevo che la fede è Dio stesso. […] compresi nel mio intelletto che la fede è Dio e Dio è la fede.


    Domanda: Se la fede è Dio, perché subito dopo scrive che «la fede la solleva [l’anima] in Dio»?



    Il Gesù descritto dalla Valtorta, invece, parla così a dei pagani:

CCIV. La fede e l’anima spiegate ai pagani con la parabola dei templi.

    «Ma il tempio dove mettere la fede, questa deità vera, dove è?», chiede Plautina.

    «Non è deità, Plautina, la fede. È una virtù. Non vi sono deità nella fede vera. Ma vi è un unico e vero Dio».

      «Allora… Egli è lassù, solo, nel suo Olimpo? E che fa se è solo?».

      «Basta a Se stesso e si occupa di ogni cosa che è nel creato. Ti ho detto prima: anche al sibilo della zanzara è presente Dio. Non si annoia, non dubitare. Non è un povero uomo, padrone di un immenso impero in cui si sente odiato e in cui vive tremando. È l’Amore, e vive amando. La sua Vita è Amore continuo. Basta a Se stesso perché è infinito e potentissimo, è la Perfezione.
 

 

    Come secondo brano scegliamo un episodio dell’infanzia di Gesù e precisamente il suo ritrovamento al Tempio tra i dottori della Legge. Riportiamo prima il brano evengelico e poi la spiegazione che Gesù da alla Valtorta al termine dell’episodio.

 

    Il Vangelo è piuttosto conciso (Lc 2,41-52):

    «I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 

    Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.

    Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini».



XLI. La disputa di Gesù nel Tempio coi dottori. L'angoscia della Madre e la risposta del Figlio.

        «Dice Gesù:
 

[…].
 

    «Torniamo indietro molto, molto. Torniamo al Tempio, dove Io dodicenne sto disputando. Anzi torniamo nelle vie che conducono a Gerusalemme e da Gerusalemme al Tempio.
   

    Vedi l’angoscia di Maria quando, riunitesi le schiere degli uomini e delle donne, Ella vede che Io non sono con Giuseppe.
   

    Non alza la voce in rimproveri aspri verso lo sposo. Tutte le donne l’avrebbero fatto. Lo fate per molto meno, dimenticando che l’uomo è sempre il capo di casa. Ma il dolore che traspare dal volto di Maria trafigge Giuseppe più d’ogni rimprovero. Non si abbandona Maria a scene drammatiche. Per molto meno lo fate, amando d’esser notate e compatite. Ma il suo dolore contenuto è così palese, dal tremito che la prende, dal volto che impallidisce, dagli occhi che si dilatano, che commuove più d’ogni scena di pianto e clamore.
   

    Non sente più fatica, non fame. E il cammino era stato lungo e da tante ore non s’era preso ristoro! Ma Ella lascia tutto. E il giaciglio che si sta preparando e il cibo che sta per essere distribuito. E torna indietro. È sera, scende la notte. Non importa. Ogni passo la riporta verso Gerusalemme. Ferma le carovane, i pellegrini. Interroga. Giuseppe la segue, la aiuta. Un giorno di cammino a ritroso e poi l’affannosa ricerca per la città.
   

    Dove, dove può essere il suo Gesù? E Dio permette che Ella non sappia per tante ore dove cercarmi. Cercare un bambino nel Tempio era cosa senza giudizio. Che ci doveva fare un bambino nel Tempio? Al massimo, se s’era sperduto per la città ed era tornato là dentro, portato dai suoi piccoli passi, la sua voce piangente avrebbe chiamato la mamma ed attirato l’attenzione degli adulti, dei sacerdoti, i quali avrebbero provveduto a ricercare i genitori con dei bandi messi alle porte. Ma non c’era nessun bando. Nessuno in città sapeva di questo Bambino. Bello? Biondo? Robusto? Eh! ce ne sono tanti! Troppo poco per poter dire: “L’ho visto. Era là e là”!    

    Poi, dopo tre giorni, simbolo di altri tre giorni di angoscia futura, ecco che Maria esausta penetra nel Tempio, scorre i cortili e i vestiboli. Nulla. Corre, corre, la povera Mamma, là dove sente una voce di bimbo. E fin gli agnelli col loro belare le paiono il pianto della sua Creatura che la cerca. Ma Gesù non piange. Ammaestra. Ecco che Maria sente, oltre una barriera di persone, la cara voce che dice: “Queste pietre fremeranno…”. Ella cerca di fendere la calca e vi riesce dopo molto stento. Eccolo, il Figlio, a braccia aperte, ritto fra i dottori.
   

    Maria è la Vergine prudente. Ma questa volta l’affanno soverchia la sua riservatezza. È una diga che abbatte ogni altra cosa. Corre al Figlio, lo abbraccia, levandolo dallo sgabello e posandolo al suolo, ed esclama: “Oh! perché ci hai fatto questo? Da tre giorni ti andiamo cercando. La tua Mamma sta per morire di dolore, Figlio. Il padre tuo è sfinito di fatica. Perché, Gesù?”.
   

    Non si chiedono i “perché” a Chi sa. I “perché” del suo modo di agire. Ai vocati non si chiede “perché” lasciano tutto per seguire la voce di Dio. Io ero Sapienza e sapevo. Io ero “vocato” ad una missione e la compivo. Sopra il padre e la madre della Terra vi è Dio, Padre divino. I suoi interessi superano i nostri, i suoi affetti sono superiori ad ogni altro. Io lo dico a mia Madre.
   

    Termino l’insegnamento ai dottori con l’insegnamento a Maria, Regina dei dottori. Ed Ella non se lo è più dimenticato. Il sole le è tornato nel cuore avendomi per mano, umile e ubbidiente, ma le mie parole le sono pure nel cuore. Molto sole e molte nubi scorreranno nel cielo durante quei ventuno anni in cui sarò ancora sulla Terra. E molta gioia e molto pianto si alternerà nel suo cuore per altri ventuno anni. Ma Ella non chiederà più: “Perché, Figlio mio, ci hai fatto questo?”.
   

    Imparate, o uomini protervi.

   Ho istruito e illuminato Io la visione, perché tu non sei in grado di fare di più.
   

[…]».

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