31 dicembre 2022

Ecclesiologia

 

LA CHIESA È SANTA O È PECCATRICE?

OPPURE SANTA E PECCATRICE?


    Oggi, quando si fa una qualsiasi domanda di fede ad un presunto cattolico, l'inizio della risposta è quasi invariabilmente la stessa: "secondo me", "io penso", "la mia esperienza mi insegna", "il mio rapporto con Dio mi dice", ecc.

    Ma se la domanda riguarda la fede (e che la Chiesa rientri tra le realtà di fede dovrebbe essere evidente considerato che la troviamo all'interno del "Credo"), non sembra che la metodologia appropriata per trovare la giusta risposta sia quella di partire dai nostri pensieri, dai nostri ragionamenti, dalle nostre sensazioni. Sarebbe opportuno, infatti, partire dalla Rivelazione (Sacra Scrittura e Tradizione) e chiederci: cosa ci ha rivelato Dio a riguardo della Chiesa?

    Almeno noi cattolici dovremmo muoverci così. E, partecipando alla S. Messa tutte le festività, non dovremmo avere difficoltà a rispondere immediatamente che la Chiesa è santa. Noi, infatti, professiamo di credere la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Così come la Chiesa è una realtà da credere, così lo sono anche le sue note.

    Aprendo poi il Catechismo, leggiamo (n. 811):

    «Questi quattro attributi, legati inseparabilmente tra di loro, indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione. La Chiesa non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche».

    Si parla di "tratti essenziali", vale a dire che non possono non esserci. Tali tratti, la Chiesa li riceve dal suo "Capo" e "Sposo". La Chiesa è di Cristo e riceve da lui l'unità, la santità, la cattolicità e l'apostolicità. Ma essa, pur essendo già una, santa, cattolica e apostolica, deve esserlo sempre di più. La Chiesa è dunque già, ma non ancora pienamente.

    Queste note, in realtà, nelle loro manifestazioni storiche possono in qualche modo essere viste anche da chi non ha fede, ma per loro sarà un po' come il vedere e l'ammirare dall'esterno le vetrate istoriate di una bella cattedrale. Per gustarne appieno la meravigliosa policromia occorre entrarvi dentro. Solo da lì, infatti, se ne può vedere l’autentico splendore e tutta la bellezza dei colori. Bisogna dunque essere all’interno del "mistero ecclesiale" per poterne percepire tutta la bellezza e riconoscerla proveniente dalla sua origine divina.

    «Cristo - leggiamo nella Lumen gentium - ama la Chiesa come sua sposa [...] E poiché «in lui abita congiunta all'umanità la pienezza della divinità» (Col 2,9), egli riempie dei suoi doni la Chiesa la quale è il suo corpo e la sua pienezza (cf. Ef 1,22-23), affinché essa sia protesa e pervenga alla pienezza totale di Dio (cf. Ef 3,19)» (n. 7).

    La Chiesa è quindi in cammino verso la pienezza.

    Ora, il fatto di essere in cammino vuol forse dire che oltre ad essere santa è anche peccatrice e soltanto alla fine del percorso sarà soltanto santa?

    Innanzitutto ricordiamo che l'essere in cammino non implica necessariamente l'essere peccatrice. Anche della Madonna, infatti, si dice che sulla terra è stata in cammino:  

    «anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede» (LG, n. 58).

    Eppure non c'è dubbio che Maria non è mai stata toccata dal più piccolo peccato. La domanda è allora la seguente: anche la Chiesa, come Maria, è immune da ogni peccato?
 
    Per svolgere l'argomento ricorriamo ad un bel testo del compianto card. Giacomo Biffi che, oggi più che mai, merita di essere conosciuto e gustato: La sposa chiacchierata. Invito all'ecclesiocentrismo, Jaca Book, Milano 1998.
 

    «Si può, - scrive l'arguto presule - senza violare la verità di Dio, assegnare alla Chiesa lo stato di "peccatrice"? E, d'altra parte, si può continuare a ritenerla "santa", senza incorrere in una severa bocciatura da parte della teologia contemporanea (che sarebbe sventura, tutto sommato, sopportabile) e senza venir smentiti dalla storia (cosa che ci darebbe invece qualche inquietudine)?

 

"Chiesa peccatrice": quasi un dogma mondano

    Che la Chiesa debba essere ritenuta "peccatrice" è una specie di dogma indiscutibile della cultura mondana.

    L'idea, tra l'altro, corrisponde a una accentuata tendenza dell'uomo di oggi, che è incline a trasferire la sede della responsabilità (e quindi della colpevolezza) dal "cuore" (secondo la parola di Gesù) e dal comportamento dei singoli (come già aveva insegnato Ezechiele) alla "società" e alle sue strutture.

    È uno schema mentale molto vantaggioso per le storiografie ideologiche di ogni colore: essendo il solo organismo che rimane presente in ogni epoca, coinvolto nelle vicende di tutti i secoli, la Chiesa si presta a essere caricata di ogni debito e di ogni colpa. Altri imputati non compaiono al "tribunale della storia": sono tutti latitanti, anche perché nessuno è sopravvissuto almeno nella sua identità sostanziale. Se non ci fosse la Chiesa, il "tribunale della storia" - che molti, in mancanza d'altro, ritengono supremo - non saprebbe chi giudicare. [...]

 

"Chiesa peccatrice": convinzione di molti cristiani

    Anche a molti cristiani - bisogna riconoscerlo - piace l'idea di una Chiesa peccatrice. C'è in molti di essi quasi un "amore deluso", che si traduce in un atteggiamento di accusa permanente. I singoli hanno soltanto "istanze" legittime; la Chiesa ha il demerito di non averle soddisfatte nel passato e di non soddisfarle nel presente.

    Ma sono altresì numerosi coloro che, pur nutrendo un sincero amore per la Chiesa e vivendo con lealtà la loro dedizione ecclesiale, non per questo avvertono qualche difficoltà a parlare dei "peccati della Chiesa". Così si riesce meno sgraditi agli "altri", siano miscredenti siano appartenenti a religioni e ad aggregazioni cristiane diverse.[1]

    Il cattolico che si colloca in questa schiera ha poi anche il beneficio di essere stimato "aperto" e perfino "coraggioso": gli viene riconosciuto l'audacia e il non conformismo di dire cose che dicono tutti.[2]

 

"Sed contra": il linguaggio della tradizione

    Tale persuasione non riceve nessuna conferma dal linguaggio cristiano di sempre, che tanto nei discorsi più comuni quanto nei documenti più solenni, parla sempre di "Chiesa santa", mentre non c'è alcuna professione di fede che ci propone di credere in una "Chiesa peccatrice".
    L'aggettivazione della Chiesa è andata progressivamente arricchendosi: nelle forme più antiche del Simbolo Apostolico è detta unicamente "santa"; nelle forme occidentali più recenti "santa" e "cattolica"; nelle recensioni orientali "una", "santa" e "cattolica".
    Infine col Credo niceno-costantinopolitano si arriva alle quattro "note" classiche: "una, santa, cattolica e apostolica".
    Dall'esame di questi antichi testi possiamo raccogliere questi dati:
    - negli elenchi delle verità fondamentali da credere la Chiesa è generalmente ricordata con l'appellativo di "santa", il primo che compare e quello che non è mai tralasciato;
    - non c'è mai il minimo accenno a qualche relazione con la colpa;
    - se mai una relazione è indicata dalla costante menzione, immediatamente susseguente a quella della Chiesa, della "remissione dei peccati": dalla Chiesa proviene non la colpa, ma la sua cancellazione».
 
    Facciamo notare che questo vale anche per l'ultimo Concilio Ecumenico. Nei suoi documenti, infatti, più volte viene usata l’espressione "Chiesa santa" e mai quella di "Chiesa peccatrice".    
    Di seguito riportiamo alcuni dei numerosi utilizzi della prima espressione:

    LG 8: «Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa»;
    LG 18:
«Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa»;
    LG 32:
«La santa Chiesa è, per divina istituzione...»;
    LG 39: «La Chiesa, il cui mistero è esposto dal sacro Concilio, è agli occhi della fede indefettibilmente santa»;
    LG 54: «Maria [...] nella Chiesa santa occupa, dopo Cristo, il posto più alto e il più vicino a noi»;
    SC 4:
«il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera…»;
    UR 2:
«Per stabilire dovunque fino alla fine dei secoli questa sua Chiesa santa, Cristo affidò…».[3]
     
    Questo possiamo anche chiamarlo "ecclesiocentrismo", ma non certo "ecclesiolatrìa". L'ecclesiocentrismo, infatti, si può armoniosamente comporre con un corretto cristocentrismo, perché «il "Cristo totale" è la Chiesa (cf. 1Cor 12,12), che perciò con Cristo, in Cristo e subordinatamente a Cristo non può che essere al "centro" dell'intera creazione. È ciò che con ammirevole sintesi insegna san Paolo, quando dice che "essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose (Ef 1,23)».
    «Curiosamente, c'è un caso di "ecclesiolatrìa" che affligge talvolta proprio i più appassionati censori dell'ecclesiocentrismo; ed è la "sinodolatrìa". In questa aberrazione inconsciamente incappano coloro che tanto enfatizzano il Concilio Vaticano II da ritenerlo in pratica quasi un organo della Rivelazione: solo da questa recente esperienza di Chiesa ci sarebbe stato restituito finalmente il cristianesimo vero. 
    Invece non bisogna mai dimenticare che solo Dio "rivela"; e ha già tutto rivelato con la missione del suo unico Figlio. Ed è una Rivelazione storicamente situata, che avviene in un dato momento e poi si chiude; sicché ad essa si può accedere non in virtù di rivelazioni nuove, ma con la "tradizione", cioè la conservazione lungo i secoli di ciò che ci è stato comunicato».
 
 

La santità della Chiesa nel Nuovo Testamento

    «A quale linguaggio ci atterremo? A quello che ci è proposto dai documenti della Tradizione o a quello che oggi è invalso? Poiché l'argomento del contendere riguarda direttamente il disegno del Padre e la sua opera di salvezza, il metodo corretto sarà quello di ascoltare prima di tutto ciò che ci dice la divina Rivelazione.
    Due annotazioni si impongono subito. Nel Nuovo Testamento non c'è nessun imbarazzo a stigmatizzare i comportamenti reprensibili dei membri della comunità cristiana, quale che sia la dignità e la missione di cui sono investiti; ma quando si tratta della Chiesa come tale non c'è mai la minima sfumatura di deplorazione o di biasimo.
    La parola "ecclesìa" [...] è sempre circondata da un rispetto e da una venerazione che non è mai smentita.
    "Edificherò la mia Chiesa", dice Gesù nel celebre passo di Matteo: la Chiesa è dunque opera sua, anzi è "sua"; e non c'è da supporre che il Figlio di Dio sia un costruttore maldestro o un proprietario distratto o trascurato. Perciò "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (cf. Mt 16,18).
    Gli Atti degli Apostoli riferiscono un loghion di Paolo, dove si parla della "Chiesa di Dio, che egli si acquistò con il sangue del suo proprio Figlio" (At 20,28)».
 
    In nota, il cardinale meneghino aggiunge che
  
    «proprio la consapevolezza della realtà trascendente della Chiesa mantiene acuta nell'animo di Paolo, anche dopo molti anni, la sofferenza per averla un tempo perseguitata: "Non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio" (1Cor 15,9). Tale realtà trascendente gli si è rivelata nel suo stesso "scontro" con il Risorto, il quale si preoccupa in quel momento di manifestargli la sua connessione - anzi, la sua "quasi identificazione" - con il popolo dei credenti: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (At 9,3; 22,7; 26,15). La presenza nel libro degli Atti di ben tre narrazioni dell'episodio, che in questa frase trova il suo cuore e il suo senso, ci dice quale importanza sia stata subito assegnata a questa esperienza fondamentale e fondante della vita di fede di Paolo».

    E continua:
 
    «Nella prima lettera a Timoteo si può rilevare la menzione della "Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità" (cf. 1Tm 3,15).
    Nella prima lettera di Pietro non c'è il termine "ecclesìa". Eppure vi si trovano gli accenti più elevati e commossi, atti a ravvivare nei destinatari la gioia e la fierezza dell'appartenenza ecclesiale: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa" (1Pt 2,9)».
 
    Pertanto, se veramente crediamo che la Chiesa è santa, anche noi dovremmo avvertire la gioia, la fierezza, l'onore di farne parte. Per usare le parole di Paolo (cf. Rm 5,1-2), ci "vanteremmo" di aver avuto accesso a questa grazia.
    Se invece pensiamo che la Chiesa non sia santa ma colpevole, peccatrice, una realtà verso la quale è bene prendere le distanze (Cristo sì, Chiesa no), allora è normale che ci vergogniamo di farne parte e proviamo imbarazzo ad essere a lei troppo strettamente associati.


    E questo tanto più oggi, in un'epoca in cui
«c'è spesso l'impegno – quasi un programma – a mettere in cattiva luce la realtà cattolica, ad assimilarla alle altre aggregazioni cristiane e persino alle altre forme di religione, o addirittura a giudicarla perdente in questi confronti».

    «A conclusione di questa rapida rassegna collochiamo una breve dossologia di san Paolo, che è tanto più significativa quanto più appare del tutto occasionale nel contesto: "A lui (a Dio Padre) la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen" (Ef 3,21). "Nella Chiesa e in Cristo Gesù": è stupefacente la naturalezza con cui vengono messi, per così dire, sullo stesso piano e sono presentati come un'unica ragione di gloria. Oseremmo dire che non si poteva - con più chiarezza e col minor numero di parole - alludere all'inclusione dell'ecclesiocentrismo nel cristocentrismo; che è il senso eminente e ultimo di tutto il nostro discorso.
 

La fallibilità dei membri della Chiesa

    Se la Chiesa è così "santa", dobbiamo dire che i membri della Chiesa sono senza debolezze e senza peccati? Certamente no, tanto è vero che nel Nuovo Testamento di rimproveri e di critiche ce n'è, si può dire, per tutti.
    Ce n'è per i cristiani di Tessalonica, che tendono all'ozio con la scusa dell'imminente venuta del Signore (cf. 1Ts 4,10-12; 2Ts 3,6-12). Ce n'è per i cristiani di Galazia [...] Ce n'è per i cristiani di Corinto [...] Ce n'è per un uomo "virtuoso e pieno di Spirito Santo" (cf. At 11,24) come Barnaba; e ce n'è per Pietro [...]
    È un elenco che si potrebbe arricchire; ma bastano questi cenni a rassicurarci che dalla verità della Chiesa "santa" la parola di Dio non deduce affatto che i suoi membri, anche i più illustri e responsabili, siano al riparo da ogni valutazione negativa.
 

Alla ricerca di una composizione

    I due dati, ambedue indubitabili, devono essere armonizzati tra loro. Come fa a essere "santo" un organismo che si compone di uomini, tutti - chi più chi meno - contrassegnati dalla colpa?
    C'è chi pensa di sciogliere la questione facendo osservare che, mentre i peccati sono dei membri, la santità è nei mezzi di grazia di cui la Chiesa dispone. La Chiesa è santa e santificante, perché santa e santificante è la dottrina che custodisce, perché santi e santificanti sono i sacramenti che le sono affidati, perché sante e santificanti sono le istituzioni che la reggono e la compaginano, perché sante e santificanti sono le mete che essa addita alla volontà e all'agire dell'uomo.
    Il che è indubbiamente vero, ma non risolve adeguatamente il problema. La Chiesa - nel suo concetto più elementare -  è un popolo di persone: la santità deve trovarsi anche in coloro che in essa sono raccolti.
    Ora l'esistenza nella Chiesa di membri contaminati porta a due casi possibili: o i peccatori non hanno una vera appartenenza sostanziale (ma piuttosto un'appartenenza giuridica o sociologica); o, se restano nella Chiesa, la Chiesa oltre che santa dovrebbe essere detta anche "peccatrice".
    Nel primo caso, si arriverebbe a sostenere che nella Chiesa abbiano diritto di vera cittadinanza solo i "perfetti", i "puri", gli "illuminati". Ma così si ripeterebbe l'aberrazione antica degli gnostici o quella medievale dei "catari". In fondo, chi si scandalizza per le azioni riprovevoli degli uomini di Chiesa e non tollera che ciò possa avvenire, riproduce questa che è tra le più antievangeliche delle eresie.
    Nel secondo caso si dovrebbe parlare di Chiesa "peccatrice"; o quantomeno di Chiesa simultaneamente "santa e peccatrice". E molti oggi, trascurando quanto dice la parola di Dio, si attestano su questa posizione. La Chiesa, intesa così, non sarebbe una "communio sanctorum", bensì una "communio peccatorum" (come dice impavidamente il Küng, che coerentemente dovrebbe auspicare una modifica in tal senso del Simbolo Apostolico). O piuttosto sarebbe una peccaminosità "avvolta" dalla grazia di Dio: è la traduzione nell'ecclesiologia della formula "simul iustus et peccator" che, per i singoli, è stata proposta dai Riformatori; della quale però, almeno con questi contenuti, non c'è traccia nella parola di Dio.


"Casta meretrix"
 
    Ai nostri giorni molti pensano di aver trovato la soluzione in un "oxymoron" (espressione antinomica): la Chiesa è una "casta meretrix". Ricordato dal von Balthasar, il detto si è rapidamente diffuso; ed è così pittoresco e suggestivo che la più parte di coloro che se ne avvalgono si dispensa da ogni approfondimento concettuale e da ogni chiarificazione. Poiché, come dicono i Padri, è "casta meretrix", la Chiesa è santa e peccatrice insieme. "Come dicono i Padri": il ricorso all'argomento "ex auctoritate" supplisce ogni dimostrazione.
    C'è venuta l'idea di andare a vedere chi siano questi "Padri". E abbiamo trovato che - "salvo meliori iudicio" - nessuno usa mai questa espressione, se non sant'Ambrogio, nel quale essa si trova un'unica volta. È soltanto sua, sicché - per correttezza nei suoi confronti - bisognerebbe non citarla con un significato diverso da quello che egli le conferisce.
    Ambrogio si avvale di questo "oxymoron" nella sua meditazione su Rahab, la prostituta di Gerico. [...]
    Leggendo la spiegazione di Ambrogio, però, si vede chiaramente che "casta meretrix", lungi dall'alludere a qualcosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare - non solo nell'aggettivo, ma anche nel sostantivo - la perfetta santità della Chiesa; santità che consiste tanto nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo ("casta") quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza ("meretrix")».

    In nota, con la sua amabile ironia, il cardinale aggiunge:
 
    «Naturalmente non ci illudiamo che la pigrizia mentale possa consentire ai più di rettificare l'abbaglio e di persuadersi che "meretrix" attribuito alla Chiesa è in Ambrogio espressione non della colpa, ma della sua ansia di evangelizzare e di salvare».
 
 
La soluzione
 
    Proprio di qui si arguisce che la Chiesa è opera divina, attuazione nella storia dell'eterno progetto del Padre: dal fatto che un insieme di uomini peccatori costituisca un organismo senza peccato. Che radunando tante creature contaminate si dia vita a una realtà contaminata, questa non è difficile impresa: è ciò che riusciremmo a compiere noi, se la Chiesa fosse opera nostra. Riusciremmo perfino a costruire una Chiesa santa, aggregando uomini totalmente santi, supposto di trovarli in questa nostra terra polverosa. Ma che la Chiesa sia "ex maculatis immaculata", questa è davvero la meraviglia di Dio.
 
    Non per caso, aggiungiamo noi, il primo capitolo della Costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa si intitola: "Il mistero della Chiesa".
 
    Ma non c'è contraddizione? No, risponde il cardinal Journet, che si rivela qui uno dei teologi più acuti e più "credenti". E sarà meglio che lasciamo a lui la parola.
    "Tutte le contraddizioni sono eliminate, se si capisce che i membri della Chiesa peccano, ma in quanto tradiscono la Chiesa: la Chiesa non è dunque senza peccatori, ma è senza peccato". "La Chiesa come persona prende la responsabilità della penitenza, non prende la responsabilità del peccato" [...] "Le sue frontiere, precise e vere, circoscrivono solo ciò che è puro e buono nei suoi membri, giusti e peccatori, assumendo dentro di sé tutto ciò che è santo, anche nei peccatori, e lasciando fuori di sé tutto ciò che è impuro, anche nei giusti. Nel nostro proprio comportamento, nella nostra propria vita, nel nostro proprio cuore si affrontano la Chiesa e il mondo, il Cristo e Belial, la luce e le tenebre". "La Chiesa divide dentro di noi il bene e il male: prende il bene e lascia il male. I suoi confini passano attraverso i nostri cuori".
 
    Non differente il pensiero di Paolo VI, riportato dal CCC al n. 827:

    «La Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l'irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo» (Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 19).

 
 
Le critiche
  
    C'è molta allergia nel pensiero teologico contemporaneo verso questa prospettiva. Ed è curioso che sia motivata, più che da argomentazioni desunte dalla Rivelazione, da ragione di indole puramente filosofiche, o addirittura da preoccupazioni di "politica ecclesiastica".
    Se tutti i suoi membri sono peccatori - si dice - dove sta di casa questa Chiesa "santa"? Sta sospesa sopra le nostre teste a una distanza che le consente di non essere raggiunta dal polverone del mondo? È confinata con le idee platoniche? [...]
    Si diffida, come si vede, di questa soluzione perché la si ritiene frutto di un'ecclesiologia astratta, utopistica e magari sentimentale, o addirittura furbesca. [...]

    Qualcuno, per esempio, obietta che così si «introduce una separazione tra la chiesa [sic!] in sé e la condizione personale dei suoi membri».
    
    In realtà non è così, non si dà separazione tra la Chiesa in sé e la condizione personale dei suoi membri; semmai tra la Chiesa in sé e il peccato dei suoi membri (perché la condizione personale include anche la santità e certamente questa non è separabile dalla santità della Chiesa). Ma a ben vedere, non si dà separazione
nemmeno tra la Chiesa in sé e il peccato dei suoi membri. In qualche modo, infatti, la Chiesa è "toccata" dal loro peccato; anche se certamente non nella sua essenza, cioè non facendo sì che la Chiesa sia, come ritiene la "tradizione" protestante, nello stesso tempo santa e peccatrice. E questo perché la dottrina della Chiesa è nello stesso tempo sia rispettosa del mistero sia estremamente realista. Non esiste, perciò, nella sua dottrina, quella presunta separazione tra Chiesa in sé e condizione personale dei suoi membri, cosa che effettivamente ne farebbe una realtà astratta impalpabile.
 
    Ciò che la fede cattolica insegna, è che la Chiesa è realmente composta da noi tutti che ne facciamo parte e con tutto il nostro essere, con tutto quello che siamo.
 
    Se andiamo a vedere come si esprime la Lumen gentium, troviamo che la Chiesa è detta
«santa e insieme sempre bisognosa di purificazione» (n. 8); «già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta» (n. 48); la luce del Cristo risplende sul suo volto, ma non pienamente (cf. n. 1)
 
    Dunque, non la Chiesa è santa e i suoi membri peccatori hanno bisogno di purificazione, ma “la Chiesa” è sempre bisognosa di purificazione; questo appunto perché non si dà separazione tra la condizione dei membri della Chiesa e la Chiesa stessa. Si dà distinzione, certamente, ma non separazione.

    Il peccato dei suoi membri, come già accennato, in qualche modo "tocca" la Chiesa nel senso che la offusca, non ne fa percepire appieno la bellezza (che è la bellezza di Cristo). Quando un membro della Chiesa pecca, è un po' come se gettasse del fango su di sé e quindi anche sulla Chiesa di cui,
con tutto il suo essere, è membro.
    Ecco perché la Chiesa «avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa "prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio", annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cf. 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce» (n. 8).
 
    In definitiva, noi parliamo di santità della Chiesa e nella Chiesa, mentre parliamo di peccato nella Chiesa, ma non della Chiesa. Questa è la distinzione.

    Dunque, dovrebbe essere ormai chiaro che non si può parlare di "Chiesa peccatrice".
 
    Ma di "Chiesa dei peccatori" si può parlare?
    Nemmeno, perché non si fa parte del corpo di Cristo per i peccati (che se non ci fossero sarebbe molto meglio); e poi parlare di Chiesa dei peccatori evoca l’idea malsana di una giustificazione semplicemente imputata dall’esterno.

    Se proprio si vogliono accostare i termini, allora possiamo farlo parlando di "Chiesa per i peccatori".

    Nel "Credo" diciamo che Gesù Cristo per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; così la Chiesa, che ne continua la missione, è per noi peccatori, per la nostra salvezza.
    E «come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (LG, n. 8). 
 
    Per la sua unione a Cristo, dunque, la Chiesa non soltanto è santa ma, per mezzo di lui e in lui, santificante. La Chiesa è santa e santificante! È per questo, come ben ricorda Vittorio Messori, che «non sono i cristiani (nemmeno i Papi) che fanno santa la Chiesa; ma è la Chiesa che fa santi i cristiani. Con i sacramenti, certo. Ma anche col preservare intatto il "deposito della fede": cioè, la Verità».[4]
 
 
 Accordo con sant'Ambrogio

    «La riflessione del cardinal Journet è omogenea anche col pensiero di sant'Ambrogio, autore e responsabile dell'attribuzione alla Chiesa di "casta meretrix". Ci accontentiamo di riferire qui alcune sue frasi.
    "Non in sé, o figlie, non in sé - ripeto - o figlie, ma in noi la Chiesa è ferita" (De virginitate 48).
    "Tutta la Chiesa prende su di sé il carico del peccatore, e alla sua sofferenza doverosamente partecipa col pianto, con la preghiera, col dolore" (De paenitentia I, 81). [...]
    "La Chiesa... giustamente prende la figura della peccatrice, perché anche Cristo assunse l'aspetto del peccatore" (In Lucam VI, 21).
 
 
Il parere degli uomini di Dio
 
    Più che il parere di una teologia un po' desolata, val meglio quello degli uomini di Dio; i quali - se sono veramente tali - hanno gli occhi giusti per percepire la bellezza della Sposa: una bellezza esotica, perché non corrisponde ai canoni dell'estetica terrena; ma una bellezza autentica, che piace al Re (cf. Sal 45,12) e a quelli che condividono i gusti del Re.
    Valga per tutti l'insegnamento del Beato Josemaría Escrivá. "Se amiamo la Chiesa, non sorgerà mai dentro di noi l'interesse morboso di presentare come colpe della Madre le miserie di alcuni suoi figli. La Chiesa, Sposa di Cristo, non ha motivo di intonare alcun mea culpa. Noi invece sì: questo è il vero 'meaculpismo', quello personale, e non quello che infierisce contro la Chiesa, indicando ed esagerando i difetti umani che, in questa Madre santa, derivano dalle azioni che vi compiono gli uomini, fin dove gli uomini possono arrivare, ma che non giungeranno mai a distruggere - anzi neppure a toccare - quella che è la santità originaria e costitutiva della Chiesa... Nostra Madre è santa, perché è nata pura e continuerà a essere senza macchia per l'eternità. Se qualche volta non riusciamo a intravedere la bellezza del suo volto, siamo noi a doverci pulire gli occhi; se notiamo che la sua voce non ci aggrada, curiamo la durezza delle nostre orecchie che ci impedisce di cogliere, nel loro tono, i richiami del Pastore amoroso. La nostra Madre è santa, della santità di Cristo, a cui è unita nel corpo - che siamo tutti noi - e nello spirito, che è lo Spirito Santo, che dimora nel cuore di ognuno di noi se ci conserviamo nella grazia di Dio"».

 

 

 

SINTESI CCC (nn. 823-829)

    La Chiesa «è indefettibilmente santa [...] e i suoi membri sono chiamati "santi" (Cf At 9,13; 1 Cor 6,1; 16,1 (n. 823). Non solo è santa, ma, per mezzo di Cristo a cui è unita, è «anche santificante» (n. 824). Sebbene la sua santità sia vera, è però imperfetta (cf. n. 825). Nei suoi membri, infatti, «la santità perfetta deve ancora essere raggiunta» (n. 825).

    «Mentre Cristo [...] non conobbe il peccato, ma venne allo scopo di espiare i soli peccati del popolo,  la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento. [...] La Chiesa raduna dunque peccatori raggiunti dalla salvezza di Cristo, ma sempre in via di santificazione» (n. 827).

    Dove la Chiesa ha già raggiunto la perfezione è nella beatissima Vergine Maria: «in lei la Chiesa è già tutta santa» (n. 829).

 

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[1] Il card. Biffi nota anche che «ciò che nella Sacra Scrittura non c’è, ed è invece presente largamente nella mentalità dei cristiani contemporanei, è l’idea che dal “mondo” la Chiesa possa essere illuminata e i discepoli di Gesù possano dal “mondo” essere guidati a salvezza o almeno spiritualmente arricchiti».

[2] Un curioso indizio della diffusa volontà di "ridimensionare" la Chiesa nell'opinione comune è dato dal proposito - fermo e vigile in molti autori, anche cattolici, e in diverse case editrici, anche dirette da religiosi - di scriverne il nome costantemente con l'iniziale minuscola. La cosa colpisce particolarmente quando nella medesima pubblicazione e perfino nella stessa pagina si ritrovano poi scritte con la maiuscola, per esempio, Consiglio Presbiterale, Azione Cattolica, Codice di Diritto Canonico, Camera del Lavoro, Settimane Sociali, ecc.

[3] Difficile, dunque, capire a quale fonte abbia attinto il "Santo Padre Francesco" quando, nell'ultimo discorso alla curia romana in occasione degli auguri natalizi, ha parlato di cadute della Chiesa: «Alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere Cristo al centro».

[4] V. MESSORI, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana, EP, Cinisello Balsamo (MI) 1992, p. 379.

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