25 gennaio 2024

Vaticano II e "cavalli di Troia"

 

ECUMENISMO IN "TRE MOSSE"


IN SINTESI

    1. [pre-Vaticano II] La Chiesa di Cristo è la Chiesa Cattolica. Gli scismatici e gli eretici non sono in comunione con essa e perciò sono fuori della Chiesa.[1]

    2. [da Vaticano II] La Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica, ma «si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse [Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, 11.3]».[2]

    Dunque, in tali comunità scismatiche e/o eretiche non si incontrano semplicemente elementi propri della Chiesa di Cristo (dottrina di sempre), ma proprio la Chiesa di Cristo. E infatti si parla di comunione imperfetta con tali comunità, di «una certa vera unione nello Spirito Santo». Esse, pertanto, sono qualcosa di sostanzialmente positivo.

    Domanda: chi fa parte di tali comunità è ancora fuori della Chiesa? È dentro la Chiesa? È un po’ fuori e un po’ dentro?

    3. [da "Francesco"] La Chiesa di Cristo è in tutte le religioni (tutte sono una sapiente volontà divina), perché in ogni religione in qualche maniera si trova Dio e certamente tutti siamo figli di Dio e perciò fratelli (todos, todos, todos).

BREVE APPROFONDIMENTO

    La dottrina conciliare, comprensibilmente, ha portato alcuni a pensare che, se si dice che la Chiesa di Cristo è presente nelle comunità cristiane non cattoliche, allora deve riconoscersi anche in esse una certa sussistenza.

    Perché mai, infatti, laddove si riconosce che la Chiesa di Cristo è in qualche modo presente e operante, essa non può dirsi in qualche modo sussistente? Il sussistere è forse più dell'essere? 

    A quanto pare sì. La nuova espressione subsistit in sembrerebbe essere stata coniata proprio per poter liberare l’utilizzo della copula per le comunità cristiane non cattoliche.

    Se infatti prima si diceva che la Chiesa di Cristo è la Chiesa Cattolica, escludendo in tal modo qualsiasi possibilità di chiamare Chiesa di Cristo un’altra realtà; ora si dice che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica, per indicare che in essa, e solo in essa, la Chiesa di Cristo è concretamente presente nella pienezza dei suoi elementi.

    E così, a partire da tale significato, ora «si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse»[3].

    Ci si può domandare: perché si è arrivati a questa formulazione? Qual era il fine del Concilio?

    Il fine - afferma la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede - era quello di esprimere «più chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino "numerosi elementi di santificazione e di verità” (LG, n. 8)», ma senza cambiare la precedente dottrina della Chiesa. I Vescovi, infatti, «ripetutamente manifestarono e vollero attuare questa intenzione». Ciò che si voleva, e che si crede di aver raggiunto, era solo uno sviluppo, un approfondimento e una esposizione più ampia della dottrina di sempre.

    Ora, è vero — come si dice — che «questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale»?

    La risposta è che bisogna distinguere. Per quanto riguarda la dottrina sull’unicità della Chiesa Cattolica essa non cambia, almeno in linea di principio, e ciò è stato ribadito dalla Dichiarazione Dominus Iesus nel 2000. Ciò che cambia, però, è la considerazione delle realtà scismatiche ed eretiche. Se infatti prima esse venivano considerate un male, oggi vengono invece viste positivamente. E così, a partire dal Vaticano II, si è cominciato a dire bene a ciò che, assolutamente parlando, è male. Non basta, infatti, che ci siano elementi positivi in tali realtà perché esse possano dirsi positive. Come ben dicevano gli antichi: Bonum ex integra causa: malum ex quocumque defectu.

    A proposito dell’eresia, poi, san Tommaso d’Aquino spiega che  
  
 «è ben più grave corrompere la fede, in cui risiede la vita delle anime, che falsare il danaro, con cui si provvede alla vita temporale. [...] Se l'eretico rimane ostinato, la Chiesa, disperando della sua conversione, provvede alla salvezza degli altri separandolo da sé con la sentenza di scomunica. [...] Ario ad Alessandria era una scintilla, ma poiché non fu subito soffocato, le sue fiamme hanno devastato tutto il mondo». [4]

    La corruzione della fede era considerata un danno talmente grave da meritare, in certi casi, la pena di morte.

    Pertanto, è quantomeno lecito chiedersi se tale tentativo pastorale abbia conseguito il suo intento oppure, per usare le parole di una bella predica di Benedetto XVI, costituisca un adattamento e un’annacquamento della precedente dottrina della Chiesa.[5]

    
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[1] Pio XII, Lettera Enciclica Mystici Corporis Christi: «fra i membri della Chiesa bisogna annove­rare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione e, professando la vera fede, non si separa­no da se stessi, disgraziatamente, dalla compagine di questo Corpo, per gravissime colpe commesse ne fu­rono separati dalla legittima autorità. “Poiché”, dice l'A­postolo, “in un solo spirito siamo stati battezzati tutti noi, per essere un solo corpo, o giudei, o gentili, o servi, o liberi” (lCor 12,13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Signo­re e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola fede (cfr. Ef 4,5), sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa deve, secondo l'ordine di Dio, ritenersi come gen­tile e pubblicano (cfr. Mt 18,17). Perciò quelli che sono fra loro divisi per ragioni di fede o di governo non posso­no vivere nell'unità di tale Corpo e per conseguenza nep­pure nel suo divino Spirito».

[2] Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, 29 giugno 2007. 

[3] Ibid.

[4] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae II-II, q. 11, a. 3. San Paolo, di cui oggi celebriamo la conversione, così scrive ai Tessalonicesi: «Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi» (2Ts 3,6).

[5] L’omelia, tenuta nella Basilica di san Giovanni in Laterano, è del 7 maggio 2005. Benedetto XVI afferma che «il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. […] Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode».

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